adesco


6 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto divertente e fatto bene. Un modo per far pensare allegri che questa faccenda è veramente seria. Come fare per riformare il mondo del lavoro? Facile: Basta togliere ai ricchi per dare ai poveri. Una vera Utopia? Non così VERA.

Anonimo ha detto...

ironico, cinico, ma quanta verità.

Roby ha detto...

adeschiamo il mondo del lavoro, distrutto da vent'anni senza che nessuno lo ricostruisca. chi rimane nella melma affamata è la povera gente che, come da questo video, finalmente si sente occupata. Poi quando si parla di idealismo si crede che ad una storia vecchia, superata, invece c'è sempre e vicina anzi vicinissima.

Lello ha detto...

ho avuto un contratto record: 5 giorni di lavoro per 7 ore al giorno. sostituisco un portiere di un palazzo perché in malattia. Straordinario. meglio di quelli che te lo fanno per un giorno, fatto di aria e di malanni.

Anonimo ha detto...

il lavoro, una parola che non riconosco più.

WIKI ha detto...

Con il termine precariato si intende, generalmente, la condizione di quelle persone che vivono, involontariamente, in una situazione lavorativa che rileva, contemporaneamente, due fattori di insicurezza:
mancanza di continuità del rapporto di lavoro e certezza sul futuro, e
mancanza di un reddito adeguato su cui poter contare per pianificare la propria vita presente e futura.
Con questo termine si intende fare altresì riferimento al cosiddetto lavoro nero e al fenomeno degenerativo dei contratti cosiddetti flessibili (part-time, contratti a termine, lavoro interinale, lavoro parasubordinato). Occorre rilevare che sebbene flessibilità e precariato siano due fenomeni solo indirettamente correlati, ma non sovrapponibili e assimilabili, si caratterizzano entrambi per l'espansione delle forme contrattuali atipiche. All'interno degli schemi contrattuali c.d. flessibili, il precariato emerge quando si rilevano contemporaneamente più fattori discriminanti rispetto alla durata, alla copertura assicurativa, alla sicurezza sociale, ai diritti, all'assenza o meno dei meccanismi di anzianità e di Tfr, al quantum del compenso ed al trattamento previdenziale. Il precariato si connota soprattutto come compressione dei diritti del lavoratore dentro gli schemi del mercato del lavoro e limitazione, quando non violazione, dei diritti d'associazione sindacale. Soprattutto il precariato intacca la qualità della vita in termini di progettualità personale e sociale.
La presenza in Italia di redditi mediamente più bassi, sia in valore assoluto che in termini di potere d'acquisto [1], rispetto per es. agli altri paesi dell'Unione Europea pre-2004 o agli USA, che risulta solitamente ancora più accentuata proprio tra i lavoratori precari, comporta peraltro l'impossibilità di accumulare sufficienti risparmi per affrontare in sicurezza i periodi di disoccupazione e ricerca di nuovo lavoro successivi ad un mancato rinnovo del contratto (condizione invece abituale in quei paesi dove i redditi sono mediamente più alti soprattutto tra i lavoratori flessibili), esponendo quindi il lavoratore al rischio di dover accettare giocoforza lavori ancora più flessibili e meno renumerativi dei precedenti pur di avere un reddito con cui provvedere alla propria sussistenza, creando quindi una forma di retroazione che accentua ulteriormente l'insicurezza e gli altri problemi derivanti dalla precarietà.
Il tema del precariato è di difficile misurazione statistica a causa di vari elementi, primo fra tutti il fatto che nel momento in cui la flessibilità nel mercato del lavoro ha iniziato ad aumentare non erano ancora disponibili specifici strumenti di rilevazione che consentissero di valutare i possibili fenomeni degenerativi di questa realtà. È questa la valutazione da cui occorre partire per capire il motivo delle differenti opinioni e valutazioni sul fenomeno, anche perché non esiste ancora una definizione scientifica o pacifica di precariato che metta d'accordo le varie sensibilità.
In un contesto lavorativo come quello italiano, essere precari significa non poter mettere a frutto il proprio titolo di studio - che ai fini reddituali risulta del tutto ininfluente - significa dequalificare il proprio profilo personale. Significa soprattutto incrementare i profitti delle imprese e comprimere i redditi, senza per altro offrire i benefici della flessibilità.