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il fuoco della sanità

Quello di qui sopra non è il titolo di un nuovo articolo sulla sanità pubblica (peccato, perché ne avremmo  bisogno), ma quello che l'altro ieri è successo, o meglio non è successo, nel quartiere: è stato impedito di accendere il fuoco di sant’Antuono che ogni anno si prefigge di cacciare il vecchio marcio e di accogliere il nuovo. Centinaia di adolescenti hanno protestato in piazza Sanità contro le forze dell’ordine. Un divieto, se pur giusto, mai applicato negli anni addietro. I roghi, invece, ieri erano un po’ sparsi per tutta Napoli e provincia nonostante la pioggia.

Sono anni che continuo a dire che il “loro” contro il “noi” è una definizione mentale scellerata. Non è possibile pensare alle forze dell’ordine come nemici, così come non è possibile definire la gente del rione tutti ladri e/o camorristi. Imporre un divieto così all’improvviso crea sempre una situazione di disagio, come quella che si è verificata il 17 gennaio scorso, intorno alle diciannove, in piazza Sanità. Sembra che i poliziotti o i carabinieri siano di un altro pianeta e che gli abitanti del quartiere siano di un’altra galassia. L’invasione entra prima di tutto nelle anime, pervade come il fuoco la mente e il chi va là tappa gli occhi e le orecchie. La mente si ferma alla vista di una divisa, così come quando si intravede il ponte della Sanità, i tutori della giustizia sobbalzano di soppiatto.

Bisogna ritornare alla normalità. Quando vedo lampeggiare o suonare una sirena mi guardo intorno e vedo gente con aria tesa…assurdo; così come gli uomini della forza pubblica hanno modi e posture differenti quando sono alla via Sanità, tutt’altro invece sono i comportamenti alla via Luca Giordano. Queste etichette dobbiamo sradicarle prima dalle nostre parole, poi dai nostri atteggiamenti. Ho esagerato un po’ e l’ho fatto apposta scrivendo questo articolo, in realtà non mi sono mai guardato indietro quando un poliziotto mi ha chiesto i documenti. Ma la normalità deve pur arrivare, i pregiudizi fanno male a noi, alle nostre famiglie, ai nostri figli... A perdere siamo sempre noi, neanche il pareggio ci è dato sperare. [+blogger]              

sandra la prostituta

Ricordo la prima volta che vidi l’organo genitale femminile. Lavoravo in una macelleria, andavo avanti e indietro perlustrando tutto il quartiere portando carne fresca. In pausa, una persona che lavorava con me mi fece vedere la rivista “le ore, vecchio giornalaccio utilizzato da reconditi sbavatori. Quando lo aprì, mostrandomi in primo piano l’apertura angolare delle cosce di quella che io presumevo essere una donna, mi spaventai così tanto che ebbi l’impressione di aver visto un pezzo di “locena” avariata. (La “locena” se non ricordo male, è quel pezzo di carne che si stacca dall’arrosto, ha venature di nervo e grasso e le sue prime fette tagliate possono essere paragonate ad un filetto con l’osso – mi perdoneranno gli amici macellai per questa spiegazione molto approssimata).

Ritornando al mio vecchio e sbiadito ricordo, quelli erano gli anni che in vespa raggiungevo, alla via Marina, alcune prostitute giovani e belle che per lavorare mettevano in mostra la loro seduzione. Io e il  mio amico Roberto, ragazzo di parrucchiere che somigliava a Nick Kamen, dopo diverse settimane diventammo amici di Sandra che volle chiarire subito che con noi non avrebbe mai fatto nulla. Sandra era bella, credo che avesse più di 30 anni, un profumo meraviglioso, capelli brillantinati e minigonna mozzafiato. Portava calze di colore verde, proprio come Shirley MacLaine nel film Irma la Dolce.

A Roberto venne la varicella, presa per essere stato troppo gentile con la signora del piano di sopra, che per lui rappresentava la donna  più bella del mondo. In un balzo di eccessiva gentilezza l’aiutò a portare l’unica borsa che aveva in mano con dentro una sola scatola di pomodoro e 5 uova fresche. Intrufolandosi in una casa buia e sprangata si fece forte dicendo che aveva avuto tutte le malattie da bambino.

Presi coraggio e andai da solo alla via Marina rimanendo subito deluso perché non riuscii a trovare Sandra. Dopo un po’ la vidi uscire da un auto, si avvicinò e subito mi chiese dov'era il mio amico. Le spiegai tutto per filo e per segno facendola sbellicare dalle risate. Forte di questa circostanza ebbi il coraggio di chiederle perché faceva questo lavoro; e lei continuando a ridere mi disse che aveva un figlio adolescente, che abitava in un luogo della provincia di Napoli malfamato e ricco solo di prepotenti. Aveva paura che il figlio potesse perdersi frequentando quell’unico ambiente possibile. Aveva soprattutto paura che il figlio potesse spacciare. Mi sembrò nobile la sua spiegazione, ma in realtà non era l’unica: ce n’era un’altra molto più consistente che riascoltai anni dopo. Sandra mi fece giurare di non dire mai nulla e così farò anche adesso, non svelerò il segreto che mi confessò con avidità e vergogna facendomi capire che la sua non era una missione salvifica ma una semplice condizione della sua esistenza. [+blogger]     

è già di moda

E’ di moda parlare di Napoli, della malavita organizzata e della delinquenza che circoscrive il sud Italia. Ma Napoli è la capitale della chiacchiera: essa esplode in una epidemia di orgasmi cosmici; orgasmi voluti da una commistione d’intendi poco nobili; quelli che inveiscono nella speranza di un Business programmato. Il ragazzo pentito quasi sempre ritorna a studiare facendo l’attore, il giornalista, lo scrittore. Da “disperato” si trasforma in eroe voluto, inneggiato, proclamato. Gli elogi si sprecano, anche se nell'istante in cui l’intervista si conclude, il Davide non ha più la forza di combattere, soccombe sotto Golia che gli trafigge le sue speranze, livido di invidia e di forza. 

Napoli è mitizzata da Giggi D’Alessio che spegne la Terra dei Fuochi con l’acqua minerale. Una proposta indecente e scellerata fa chiudere numerosi pronto soccorsi. Impazzano il Cardarelli e il Loreto Mare: si possono sbagliare le diagnosi quando migliaia di persone affollano le entrate anche solo per un mal i testa. In Campania paghi più per il tiket che per un privato, il pronto soccorso è l’unica ancora di salvezza economica. 

Ma la gente crede ancora. Crede nel Davide che diventa Golia e negli ultimi politici. Crede in una missione salvifica, così come crede in Grillo, in Renzi e ancora in Berlusconi. Il nostro eroe minore uscito dalla malavita crede in se stesso fintantoché un altro, diverso da se stesso, gli dà una pacca sulla spalla e lo manda a cagare. La moda è la costruzione di un passato vecchio e ciarliero che racconta balle per giustificare la sua monotonia. La moda fa parlare di Napoli e la schiaccia sopra e sotto la munnezza. Il sud racconta il sud e Napoli racconta la gente “a botta” di chiacchiere e di meraviglia. 

Gli attori sono gli altri, la volontà della gente è messa a tacere da un cumulo di verdura marcia. La moda fa parare di Napoli, del sud, non parla di guerra. La costruzione di un potere forte si dilegua in una assonanza mitica, la riconoscenza per non aver fatto nulla la definiscono democrazia. I politici si inventano la bonifica culturale di molte aree napoletane, come se la cultura potesse essere definita universalmente. Se pisci su di un fiore quello cresce comunque. [+blogger]

titoli di giornali

“Alcuni ragazzini hanno scagliato qualche pietra contro l’auto dei carabinieri”. È vero? Non è vero? Titolo de Il Mattino sensazionalistico così come tutta la stampa italiana. Sembra che i giornalisti non sappiano far meglio che scrivere notizie, quelle che sentono, che magari non hanno mai visto, quello che detta il senso comune e a volte l’insulsaggine. Non si risparmiano ne Repubblica Napoli, né il Roma, né Cronache di Napoli. È un problema della stampa italiana, ma non solo; anche fuori dai nostri confini c’è voglia di vendere piuttosto che informare. Il mattino ieri sul suo sito ha anche mostrato un video che tradisce le aspettative, non si vede nessun adolescente lanciare pietre, chi sa cosa volevano mostrarci.

Sant’Antuono questa volta farà il miracolo? Dobbiamo imparare ad usare un nuovo linguaggio, a scrivere in un altro modo, magari inventarci un’altra lingua italiana. Queste continue etichette sono superate, non fanno bene a nessuno e creano differenze preoccupati. Inutile che poi un tale racconta che un talaltro eroe sta salvando vite umane per far credere che non è tutto marcio, che non si scrive solo per diffamare. La non conoscenza è un notizia senza riscontro. La non conoscenza abbatte l’informazione, che è la base della comprensione, della acquisizione, del cambiamento. Molti, moltissimi giornalisti hanno la responsabilità di questa grave mancanza, mancanza che gravita intorno ad una logica economica piuttosto che culturale. [+blogger]         

l'essenziale è invisibile agli occhi

Ancora una volta e per l’ennesima volta mi sono ritrovata  in una discussione, questa volta con un signore di Varese, a proposito di Napoli. Dopo la solita frase “ Napoli e’ una bella città peccato che…” ho dovuto “subire” la lista conosciuta dei luoghi comuni: la città bella ma la gente incivile, il Napoletano furbo , talmente furbo che si inventa la maglietta con la finta cintura di sicurezza, “Le Iene” hanno fatto uno speciale , (come non credere alle iene !) che mostra come a Pompei le guide abbiano tutte  il tesserino falso, il problema dei rifiuti  e questo gravissimo problema del Napoletano che è  fondamentalmente incapace di capire cosa sia la raccolta differenziata.  Dimentico qualcosa? Si, sicuramente ma meglio cosi’ (il mio cervello resetta sempre il peggio, meccanismo di difesa )

Mentre cercavo invano di smantellare questi luoghi comuni, (guarda veramente, non ho mai visto nessuno con questa maglietta con la finta cintura, ma forse Napoli e’ sporca , ma sara’ anche per la cattiva manutenzione o dei pochi mezzi a disposizione per pulire le strade no?, la mia famiglia continua a fare raccolta differenziata nonostante non ci sia un ciclo di smaltimento che rende possible un vero riciclo dei rifiuti… eppure perseveriamo ecc ecc) mi arriva come una pioggia fredda la frase finale e totalizzante: “ Si, lo so ma questo e’ un problema vostro , non volete ammettere che queste critiche sono la pura Verità”. La Verità, con la V maiuscola e  il detentore della Verità , il signore di Varese.

Ero ad una cena di lavoro, stanca e con la mente non lucida e ho smesso subito  di combattere. Tanto mi sono detta, queste convinzioni si avvicinano piu’ a delle credenze  che alle conoscenza. E’ come spiegare ad un superstizioso che il gatto nero, il povero ignaro gatto nero, non ha mai portato sfortuna a nessuno, puoi portare tutte le prove scientifiche del caso ma non servirebbe a nulla! Pero’ poi qualche tempo dopo questa discussione mi ha fatto riflettere.  Anche a me è capitato di fare feroci critiche alla mia città: “ma che mass r’incivile, ‘o Vesuvie l’avessa rasà  sta città, Ma che gente assurda!  ma che gente arretrata!“, e  a quanti amici napoletani ho sentito formulare le stesse critiche, ed io lì ad annuire, “sì, veramente, che città di me…” Allora mi sono  sono chiesta il perché non sia innervosita  da queste considerazioni quando è un napoletano che le esprime. Forse perché: “solo un napoletano può criticare Napoli?" Non e’ solo questo.

Adesso lo so , se fossi stata più lucida quel giorno avrei detto al signore di Varese: “Sa, anche i napoletani criticano ferocemente la citta’ dove vivono, e “sopravvivono” , ma la differenza è che… bhé, faccio un esempio:  immagini che stasera le capiti di incrociare una donna per caso,  è brutta, volgare, fuori luogo, fra sè e sè lei pensa : “che cattivo gusto, quant’e’ brutta, ma come si veste, ma quanto e’ stupida ecc, ecc…”  Ecco, adesso immagini una situazione completamente diversa : un litigio con sua  moglie, oppure, una persona che ama, un litigio scaturito  per un motivo o per un altro, perché  qualcosa è capitato  che l’ha innervosita - allora succede che si arrabbia con questa persona,  le viene  «il sangue amaro», le dice: “ma quanto sei stupida” (ma bisogna sempre evitare di dirlo, non e’ chic), o “mi hai fatto fare una brutta figura“, con “questo vestito sei troppo volgare”, “sparisci, non ti sopporto stasera“…  Le due critiche sono simili eppure è indubbio che  nascono da e con  spirito diverso.


La prima e’ una critica fatta senza conoscenza, una critica basata sull’apparenza e quindi  formulata nell’ignoranza. E soprattutto non le cambierà la vita, il giorno dopo la donna degna di critiche l'ha  già dimenticata. La seconda critica invece, è una critica di rabbia, di insoddisfazione, deriva dalla conoscenza e dalla consapevolezza che la persona che ama non si valorizza, potrebbe essere migliore, ma  non ci riesce (ai suoi occhi). Questo tipo di critica seppur formulata con rabbia ha comunque il pregio di portare in sé qualcosa di importante: il desiderio di un cambiamento. E' una critica sì, ma è anche una rivolta, è  allo stesso tempo un desiderio, un rimpianto e un rimorso. Le due critiche possono essere simili nella formulazione, ma è  l’amore che si porta nella critica che le differenzia.  Ecco, caro signore, l'essenziale.  Non si vede, ma si sente.-  "L'essenziale è invisibile agli occhi" dice il piccolo principe nel racconto di Saint Exupery. [l. f.] 

l'incompetenza di alcuni giornalisti

INIZIATIVA CONTRO ALCUNI GIORNALISTI INCOMPETENTI.


Volevo chiedervi, se possibile, (sempre se lo ritenete giusto), di mandare una mail di protesta alla redazione de Il Manifesto. Il 30/6/2013 è stato scritto un articolo (purtroppo era postato interamente in rete, adesso, non so perché, si vede solo l’introduzione (il manifesto), tradotto anche in altre lingue (vedi commenti all’articolo del blog del rione sanità). Visto che è vergognoso (nell’articolo di "smentita" potete leggere alcune singole assurde affermazioni dell’autore con altre varie citazioni (quartieresanita.org), vi prego di sostenere questa iniziativa visto che ho già scritto alla cortese attenzione della direttrice del giornale di cui sopra ricevendo in cambio un silenzio umiliante. Se inviamo più mail non possono snobbarci, devono prendere in considerazione la dignità della gente del rione. 

PER NON FARTI PERDERE TEMPO COPIA E INCOLLA QUESTE POCHE RIGHE. Questi gli unici indirizzi mail presi dal sito de “Il Manifesto”.

redazione@ilmanifesto.it
amministrazione@ilmanifesto.it

(testo da copiare e incollare) 

Alla cortese attenzione della Direttrice de Il Manifesto
Dopo la pubblicazione poco rispettosa del 30/06/2012 nei confronti dei circa 60mila abitanti che vivono nel rione Sanità, firmato da Angelo Mastrandrea, dal titolo “Sotto il ponte della Sanità dove la vita è tutta un teatro”, chiedo alla direttrice Norma Rangeri di smentire facendo chiarezza sulle affermazioni scritte e pubblicate dal giornale “Il Manifesto”. Per una giusta e corretta informazione, perché la partecipazione e la libertà di pensiero siano più forti del pressappochismo e della gloria - www.quartieresanita.org (http://www.quartieresanita.org/2013/07/il-manifesto-scimmiotta.html)  - grazie. 

oltre la moda

“Il gusto è gusto”, questa è una massima non sempre condivisa. Tutti pensiamo che sia giusta ma la realtà spesso è un’altra. Facciamo esempi generalizzati: un laureato del rione ama la musica classica, il blues oppure il jazz;  allo stesso modo, un lavoratore operaio che ha la terza media serale ascolta la neomelodia di Ciro Rigione e Gigi D’Alessio; in casa del primo possiamo trovare libri, mentre in quella del secondo riviste di gossip; mentre l’uno ama il cinema di Bergman, l’altro ha visto solo Scarface; in tv, il sabato sera, il laureato vede programmi di politica mentre il serale vede c’è posta per te. Queste differenze possono essere portate alle estreme conseguenze, così come la divisione netta di due mondi, di due idee, di due vite. La prima è sinonimo di eleganza, la seconda di ignoranza.

Nel quartiere alla via San Gennaro dei Poveri vive una famiglia con 4 figli, tre bambine e un adolescente. I genitori, lui ha la terza media mentre la mamma ha la quinta elementare. Tutti i figli vanno a scuola. Alla via  Luca Giordano, invece, vive una famiglia con 2 figli, un maschio e una femmina di 14 e 15 anni. Entrambi i genitori sono laureati, la mamma è medico mentre il padre è un commercialista. Se osservate i figli di entrambe le coppie la cosa diventa alquanto imbarazzante. I 4 ragazzi/bambini della prima famiglia sono di un’ educazione disarmante, non intervengono mai a sproposito, annuiscono e rispondono brevemente mai sovrapponendosi, si rivolgono con rispetto verso i genitori e verso gli adulti. L’esatto opposto sono invece i figli dei due professionisti del Vomero. Parlano Napoletano, maleducati sia a tavola che verso i genitori, non amano la scuola, la figlia preferisce già truccarsi, ha un iphone costosissimo  mentre il fratello gioca tutta la giornata con il videogame portatile, guarda la tv preferendo solo programmi calcistici.

Oggi le ragazze della Sanità (continuo a generalizzare), portano scarpe alte colorate, i cosiddetti zatteroni che un tempo, negli anni 70, venivano calzate da donne emancipate, attrici e femministe. Diversi anni fa avere una bella moto era roba da ricchi. Il tatuaggio se lo faceva solo l’ergastolano o chi aveva scontato diversi anni di galera. Le ragazze della Sanità sono cafone e prive di eleganza colpa di quelle scarpe arcobaleno; i ragazzi con le moto sono tutti buffoni e pagliacci; mentre resiste ancora il tatuaggio perché “chi ha il potere di confermare” lo ha imposto a tutti. La normalità la decidiamo giorno per giorno e quando non ci piace più pensiamo che chi la attua sbaglia incondizionatamente. Come la moda, un vestito prima è bello poi è brutto, insomma, prima se porta poi nun se porta cchiù!

Non tutti per fortuna ragionano così, ma la “stranezza” di chi ascolta un neomelodico educando i suoi figli in modo ineccepibile ed onesto rispetto a chi preferisce la musica classica e i libri senza curare la propria famiglia, non è sicuramente figlia dell’ignoranza popolana, né del gusto né della generosità. Essa è definita volta per volta da chi ha il potere di confermare e/o sconfermare la norma e, come la moda, resiste in un determinato periodo sottraendo tutto quello che di differente propone l’alterità.  Per dirla in modo diverso, laddove il linguaggio economico determina per definizione dei presupposti, le somiglianze e le definizioni cambiano a secondo degli interessi, che in seguito si trasformano in speculazione culturale. [+blogger]  

il manifestino

Ieri [30/06/13] il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diven­tare “veline” in tv e i ragazzi pen­sano solo al moto­rino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per que­sto che buona parte dei ragazzi di que­sta énclave di 67 mila abi­tanti inca­sto­nata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Ple­bi­scito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere.

Si continua a legge: “…la disgre­ga­zione sociale appena miti­gata dall'unica appar­te­nenza comune: il tifo sfe­ga­tato, quasi una reli­gione, per la squa­dra di cal­cio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre, mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione qualche emigrato. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino.

Ma tutto questo non mi farebbe arrabbiare più di tanto visto ormai l’abitudine a trattare il rione e la sua gente con etichette e stereotipi, se non fosse per il fatto che a scrivere è sempre qualcuno che sa poco o niente del luogo, come i dirigenti che occupano un posto di responsabilità utilizzando la competenza di qualcun altro. Da anni lo ripeto e lo scrivo su questo blog, se non cambiate linguaggio, se non incominciate a trattare questa gente da esseri umani, voi giornalisti, scrittori, articolisti e intellettuali non ricaverete un bel niente né dalla gloria né dalla vostra stessa presunzione. Chi scrive dovrebbe almeno avere l’umiltà di informarsi e capire, dovrebbe avere la facoltà e l’intelligenza di non esprimere giudizi di valore.


Sul giornale si legge ancora: L'aspetto peg­giore sono i morti ammaz­zati per strada, il modello socio-eco­no­mico camor­ri­sta con­si­de­rato l'unico pos­si­bile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [+blogger]  l'articolo de "Il Manifesto" 


cappio sacrificale

Napoli, rione sanità, ore 13,00 (circa) via Sanità, palazzo del Sanfelice. Un cappio appeso ad un balcone, un lenzuolo bianco aggrovigliato sotto, una specie di pallone con dentro qualcosa che si muove, che geme e si contorce. Ad un certo punto carabinieri e polizia. Poi fotografie e istantanee come ad immortalare una scena di un film, stile “Il Camorrista”. Molta la gente e curiosi che guardano, anche se oggi è solo il 17 agosto. Ma cos’è quel “borsone” che pende sulla teste delle individui della Sanità? Qualcuno parla di un impiccato, altri di una esecuzione, altri ancora di una opera d’arte fatta di immondizia napoletana.

Una palla gigante bianca che viene fotografata continuamente, come una stella che cade dal cielo e si posa su uno dei palazzi più belli di Napoli. Forse una rappresentazione artistica? Forse si anticipa la festa di sant’antuono, oppure il capodanno dove ogni cosa viene buttata per la strada, dove si spazza via la libertà e la regola? Peccato però, non siamo al “32 dicembre”, è invece il mese dove un tempo gli operai e gli impiegati andavano al mare, si fittavano la casa in Calabria e ad Ischia.

Abbiamo fotografato le “artiste” con una reflex e una telecamera amatoriale: loro invece immortalavano quella scena, la gente che guardava inebetita e qualche credulone che pensava che realmente lì ci fosse un morto. Speriamo che non sia la solita minestra senza sale, oppure una opera che guarda all’infinito del rione, chi sa, vedremo. L’interpretazione del mio amico Lucio però è, per adesso, la più convincente: “doveva essere un giustiziato dalla camorra napoletana, appeso, con reazioni popolari, fotografate dalle due straniere. Retorica europea”. Sarà realmente così? Ennesimo fallimento artistico? Mi auguro di no. [+blogger]





Foto di Lucio Ranieri