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Scrivo un lavoro ogni ora

Feliciano ha svolto, e svolge tutt’ora, così tanti lavori che ad elencarli non basta una giornata intera. Nato, cresciuto e pasciuto nel quartiere, la cosa che più non sa fare è quella di rubare. Ma i lavori, qualsiasi esso siano, quelli sì che sa svolgerli con maestria. Ha uno spiccato senso di praticità ed intelligenza che a paragone con il suo titolo di studio è cosa veramente straordinaria. Ieri sono andato a prendere un caffè a casa sua, mi ha mostrato come ha rifatto la cucina. Qualche mese fa le mattonelle cadevano a pezzi, oggi la stanza è molto accogliente.
Il lavoro che ora più lo impegna è portare le pizze, soprattutto nel fine settimana, da un luogo all’altro del rione. Mentre prendo il caffè mi ha fatto vedere le foto di quando in estate fa il bagnino a Rimini, e in inverno, oltre che scaricare di tir, fa anche l’artista di strada (prevalentemente con l’avvento di qualche festività); poi, in tempi e luoghi differenti, l’imbianchino, il garagista, l’assistente alle vendite di cellulari, il portapacchi, disegnatore di Napoli, assistente agli anziani, piastrellista, accompagnatore di cani, webcontent. Mi fermo qui, impossibile elencarli tutti. Una curiosità, a 35 anni e passa sta pensando di fare il gigolò, il ballerino e per ultimo il trapezista.
Gli eclettici non mi hanno mai spaventato, il che si dica in gergo: “alla fine non sa fare nulla”, invece trovo che sia l’esatto opposto. Naturalmente non ha l’esperienza né la tecnica, ma dalla sua ha la capacità di imparare, arma straordinaria che mette alla prova situazioni difficili. Questo forgiarsi di operosità crea una nuova forma d’interazione che somiglia all’attività di uno scrittore nell’inventare un romanzo. Le bugie si plasmano con un pizzico di verità, oppure una verità esagerata, o una esagerata bugia. Ma bello quanto il don Chisciotte che a fantasia e sincerità non ha eguali.
Se Feliciano ha dalla sua parte la fittizia autenticità è perché lo stato in cui si trova non gli permette di fare calcoli economici. Infatti è una persona povera e di famigli ancora più povera. Di fronte all’esistenza la nostra capacità di elaborazione rompe gli schemi classici (ma pur sempre costruiti), divenendo cosa più semplice, più singola… cosa più autentica. [+blogger]

in una macelleria della sanità

Avevo circa 11 anni quando ho incominciato a lavorare come ragazzo in una macelleria alla via Vergini. E' incredibile come adesso percepisco il cambiamento. Causa la povertà della mia famiglia ho interrotto gli studi quasi bambino, così come tutti i mie fratelli e parenti vicini. E' incedibile il tempo passato fuori di casa a lavorare, nel periodo di Natala dalle sei del mattino fino alle undici di sera; una giornata intera per la strada; la macelleria affollata di gente, la pioggia, il freddo della cella figo. Poi ho imparato a "sfasciare" la carne, prima con un pezzo facile, il gambetto, poi con quella che noi chiamiamo "lociena", il davanti dell'arrosto. Difficile togliere senza staccare la polpa dall’osso, difficile soprattutto in inverno quando nel laboratorio del negozio il gelo raggiungeva le mie mani. Mi diceva il capo: "mettile sotto l'acqua fredda, vedrai che si riscaldano". E così per circa 30 anni della mia vita ho lavorato senza sosta, alla fine ho comprato una panda e mi sono sposato.

Una sera, era circa mezzanotte, visto che le macellerie dove lavoravo erano due, dello stesso proprietario, distanti 100metri l'una dall'altra, mentre mi recavo all'altro negozio mi vide il parroco del quartiere: "Guaglio' ma tu stajo ancora faticanno?". Voleva a tutti i costi dire al "masto" che la sua non era umanità, che un ragazzo appena adolescente non poteva fare quella vita. Gli scongiurai di andarsene che non potevo perdere quel posto di lavoro. Ho lavorato senza sosta e quando guadagnavo 500mila lire alla settimana (ero già grande ed esperto tagliatore), ero felice. Mi ricordo che odoravo (puzzavo) sempre di carne fresca macellata, un odore che non si toglieva mai da dosso anche quando mi lavavo e mi profumavo. Quella esalazione mi perseguitava, avevo paura che qualche ragazza mi chiedesse cos’era.

Un episodio che non dimenticherò mai. All’inizio, quando ero ancora un pivello lavoratore, la cosa che più mi urtava erano le “cazziate” che beccavo dal capo. Quella concezione paternalistica l’ho sempre schifata, l’odiavo quel rompi coglioni ignorante. Mentre pulivo a terra, si era fatto quasi l’ora di tornare a casa, sfinito e senza forze, il capo cazzone usci dal cesso e mentre si allacciava la cinta del pantalone mi disse se potevo andare a “spilare ‘o cesso”, insomma quel vecchio logorroico aveva un servo per lavoratore e nella sua pervertita coscienze tirare la catena equivaleva ad un gesto umiliante. Volevo sputargli in faccia ma “senza soldi nun s'e cantano messe”.      

Adesso dopo trent’anni sono felice. Da qualche mese ho cambiato lavoro, ho ritrovato il sapore della libertà. Guadagno molto di meno e con due figli è un problema, ma non mi interessa. Mi sono iscritto ad una scuola serale, voglio prendere un diploma. Questa scelta non la saprei spigare bene, ma accompagnare i miei figli a scuola è una bellissima sensazione, prima non potevo, era impossibile; adesso quando torno da lavoro posso giocare con loro, scrutarli meglio negli occhi, assaporare la loro felicità, e vederli saltellare con gioia quando a casa porto un piccolo “regaletto”. [+blogger]  

benedetto rione sanità

Lo strabiliante successo che da diversi anni sta vivendo il rione: il quadruplicarsi del flusso turistico, le numerose associazioni che spuntano come funghi, le guide inventate, i negozi tinti e pinti (il migliore, il più buono, il più bello), pone una riflessione se non sul metodo almeno sulle cause principali del fenomeno “virtuoso”. Ideologia a parte, non è sbagliato che migliaia di turisti visitano ogni anno il cimitero delle fontanelle, le catacombe, le chiese, gli ipogei, i palazzi. Così come non è sbagliato che una attività commerciale sfondi per una invenzione o una prelibatezza. Ma le cause di un luogo storico ed artistico come il quartiere sanità non possono essere messe in relazione con il commercio, non c’è nessuna affinità tra arte ed economia, o no?

Questa una domanda cruciale quando visito luoghi turistici. Mi viene in mente il film “Mortecci” diretto da Sergio Citti, dove il povero Lucillo Cardellini (Sergio Rubini), è costretto a suicidarsi perché reduce dalla guerra. Credendolo deceduto in battaglia, nel suo paese d’origine edificano un museo in suo onore. Unica attività lucrativa, dove un po’ tutti ci campano, quando i parenti, i sindaco e il prete si accorgono che il soldato non è trapassato ma vivo lo processano e lo costringono a morire.

Ciò che mi fa sospettare è il fatto che oggi i media parlano del rione considerando in primis la camorra, poi una pizzerie ed infine una pasticceria. Non che ci sia una relazione tra queste tre entità, ma se le cause del successo, escludendo la prima, sono da attribuire al commercio, alla invenzione di un luogo storicamente di frontiera, al tarallo partenopeo, al caos dei motorini bhè allora il sospetto che l’artificio superi il buon senso non è poi così sconsiderato.

Un luogo ha le sue origini. Le pietre, le vie, i vicoli, le piazze hanno tutte una “identità” che si plasma con la gente. Il fruttivendolo sa cosa prendere al mercato, più arance e meno kiwi, anche il salumiere vende più mozzarella e meno prosciutto, e finanche il tabaccaio sceglie le sigarette secondo i gusti. Ma forse sto esagerando, solo che le differenze e le somiglianze di un territorio si imparano guardando i cittadini di quel posto, se puoi si giudica con attenzione è ancora meglio. La genesi di un rione che ha visto così tanti capò senza distinzione tra le diverse appartenenze, ha posto una diversa interazione che in un modo o nell’altro è sopravvissuta. Ma come spesso si scrive, quartiere senza una organizzazione, al contrario, questa mancanza ha creato una nuova forza comunicativa, qualcosa che nasce per identificazione, per riconoscenza, per amore.

Se un adolescente è morto per sbaglio, io non posso pensare che anche mio figlio muoia. Ho paura, sono preoccupato, cerco soluzioni, ma non posso andare via da casa, non ho né la possibilità né la voglia. Perché devo andare via io?!, andassero a fare in culo loro. Ma cosa faccio per ovviare alle mie preoccupazioni? Cerco delle strategie, le cerco per combattere e perché ho paura. Tremo perché mia figlia è andata a scuola, ma che faccio?, non la mando? Ho fiducia nelle istituzioni? Mi sento abbandonato, che per molti al massimo è solo una bella scusa, venite qui a vivere poi ne parliamo; io il coraggio di rimanere ce l’ho, voi fate solo i turisti per caso.         


Anche se sono uscito fuori tema, quello che mi va dire è che quando vediamo, camminiamo, fotografiamo questo benedetto rione Sanità, ci prendiamo l’anima del posto, la espropriamo delle sue caratteristiche, la esaltiamo come quando ci regalano un nuovo telefonino. E’ buono il fiocco di neve, è buona la pizza, la gente sembra indifferente, ma infondo sono abituati… poi finisce che il ricordo è solo un oblio, che sono stanco attraversando tutti questi i vicoli, e che il nuovo smartphone è già vecchio. [+blogger]      

2 euro

Sono bastate due euro cadauno per ripulire vico san Gennaro dei poveri. Sono bastate uno disoccupato, una scopa, una paletta, una busta della munnezza e l’autotassazione. Notizia questa che non fa sensazione né scandali. Eppure quell’esborso l’hanno fatto famiglie di nullatenenti, di cassintegrati, di senza lavoro, di scassati dalla società. A ripulire il tutto un altro scassato reietto della società. Un atto dovuto?, no!, per me un atto rivoluzionario che passa nell’indifferenza. Piccoli spazi ritagliati in 5chilometri quadrati, più di 50mila abitanti che in qualche modo resistono alle accuse. In fondo sono solo due euro. A Napoli si dice: chi sparte ave ‘a peggio parte!  


PRIMA




DOPO




mani di pelle Backstage


sandra la prostituta

Ricordo la prima volta che vidi l’organo genitale femminile. Lavoravo in una macelleria, andavo avanti e indietro perlustrando tutto il quartiere portando carne fresca. In pausa, una persona che lavorava con me mi fece vedere la rivista “le ore, vecchio giornalaccio utilizzato da reconditi sbavatori. Quando lo aprì, mostrandomi in primo piano l’apertura angolare delle cosce di quella che io presumevo essere una donna, mi spaventai così tanto che ebbi l’impressione di aver visto un pezzo di “locena” avariata. (La “locena” se non ricordo male, è quel pezzo di carne che si stacca dall’arrosto, ha venature di nervo e grasso e le sue prime fette tagliate possono essere paragonate ad un filetto con l’osso – mi perdoneranno gli amici macellai per questa spiegazione molto approssimata).

Ritornando al mio vecchio e sbiadito ricordo, quelli erano gli anni che in vespa raggiungevo, alla via Marina, alcune prostitute giovani e belle che per lavorare mettevano in mostra la loro seduzione. Io e il  mio amico Roberto, ragazzo di parrucchiere che somigliava a Nick Kamen, dopo diverse settimane diventammo amici di Sandra che volle chiarire subito che con noi non avrebbe mai fatto nulla. Sandra era bella, credo che avesse più di 30 anni, un profumo meraviglioso, capelli brillantinati e minigonna mozzafiato. Portava calze di colore verde, proprio come Shirley MacLaine nel film Irma la Dolce.

A Roberto venne la varicella, presa per essere stato troppo gentile con la signora del piano di sopra, che per lui rappresentava la donna  più bella del mondo. In un balzo di eccessiva gentilezza l’aiutò a portare l’unica borsa che aveva in mano con dentro una sola scatola di pomodoro e 5 uova fresche. Intrufolandosi in una casa buia e sprangata si fece forte dicendo che aveva avuto tutte le malattie da bambino.

Presi coraggio e andai da solo alla via Marina rimanendo subito deluso perché non riuscii a trovare Sandra. Dopo un po’ la vidi uscire da un auto, si avvicinò e subito mi chiese dov'era il mio amico. Le spiegai tutto per filo e per segno facendola sbellicare dalle risate. Forte di questa circostanza ebbi il coraggio di chiederle perché faceva questo lavoro; e lei continuando a ridere mi disse che aveva un figlio adolescente, che abitava in un luogo della provincia di Napoli malfamato e ricco solo di prepotenti. Aveva paura che il figlio potesse perdersi frequentando quell’unico ambiente possibile. Aveva soprattutto paura che il figlio potesse spacciare. Mi sembrò nobile la sua spiegazione, ma in realtà non era l’unica: ce n’era un’altra molto più consistente che riascoltai anni dopo. Sandra mi fece giurare di non dire mai nulla e così farò anche adesso, non svelerò il segreto che mi confessò con avidità e vergogna facendomi capire che la sua non era una missione salvifica ma una semplice condizione della sua esistenza. [+blogger]     

la certezza della stronzaggine

Spesso mi trovo a discutere con i miei colleghi e amici di lavoro del denaro e della sua funzione. Una domanda che mi fanno spesso per giustificare l’eccessiva ricchezza è la seguente: “se ti fanno un contratto da 1/3/5 milioni di euro all’anno lo rifiuti? Credo che il punto non sia questo ma un altro più “complicato” da comprendere. Quello che critico, e che credo sia ingiusto, sono le regole e la loro determinazione. Forse non c’è niente di male a voler pagare una prestazione, o qualsiasi altra cosa, come un’opera d’arte, stimoli sessuali, il giocatore Messi, una somma considerevole. Ma sappiamo per certo che quanto più una sola persona diventa ricca, tanto più poveri sono gli altri. La crisi del 1929 ci insegna qualcosa. Non ritengo giusto guadagnare somme di danaro smodate. Messi gioca benissimo, è un giocatore straordinario, ma un milione di euro alla settimana è, secondo me, immorale. Immagino chi gli ha offerto questo contratto quanti soldi deve avere. Pazzesco.

 Ritornando alle regole che mi piacciono tanto. Le persone di cui sopra e con cui spesso mi confronto “peccano” di legittimazione; nel senso che se è legittimo, se nessuno te lo impedisce, se sei bravo e se soprattutto fai guadagnare gli inserzionisti, la pubblicità, le televisioni allora hai anche la possibilità di arricchirti smodatamente. Quello che non torna, continuo a ribadirlo, sono le regole. Quest’ultime non funzionano per certe situazioni, per contro funzionano benissimo per altre dello stesso livello. Mi spiego. Un grande cantante, un grande artista, una grande star, un grande calciatore, un grande gangster decide la paga per il suo lavoro senza che nessuno si opponga (capisco il gangster…). In questo caso il libero mercato ti permette questa scelta e, in nome della notorietà, la giustifica completamente (ricchezza chiama ricchezza… per pochi bisognerebbe aggiungere). Le regole in questo caso non possono essere applicate in quanto l’egoismo è uno stimolo di concetto e anche perché gli altri sono ben lieti di sborsare senza limiti. Sui concetti astratti le regole cozzano, come può un giudice condannare per eccessivo godimento organico senza lesa maestà? Eppure stiamo parlando di prestazioni lavorative: artistiche, sportive e creative esse sono sempre prestazioni per fare qualcosa impiegando le mani, i piedi, la mente ecc., ecc.

Esso vale anche per i lavoratori dipendenti. In questo caso le “prestazioni di concetto” sono ben determinate, scandite e scritte senza opposizione e senza dislivelli. Il contratto collettivo nazionale di lavoro è lapalissiano. Allora cos’è che crea questa stronzaggine?, così direbbe Ugo Tongazzi nel film “la proprietà non è più un furto”. Troppo difficile farlo per gli illustri, troppo facile farlo per i senzastoria. Eppure basterebbe poco, così come fissato per le paghe degli operai. Tutti sanno benissimo che in qualsiasi parte del mondo guadagnare 500mila euro all’anno equivale a vivere benissimo. A parte il superlusso che dovrebbe essere bandito, la razionalità dell’essere umano è sospesa tra gli animisti di questo rebus e la coscienza di classe che pur zampilla per virtù e noncuranza. Il succo è semplice. Sono etichettato di sinistra poi basta vedermi con una fiat bravo per esultare che anche io sono fatto di carne e soprattutto di frattaglie. Le giustificazioni, come le religioni, servono sempre. Gli ultimi saranno gli ultimi ho sentito che è il titolo di un nuovo film. I presupposti delle giustificazioni non hanno una matrice politica ma egoistica. L’egoismo è aleatorio: oggi posso esserlo domani divento probo e mi fanno santo. [+blogger]

fuori la cultura della povertà

Il rione Sanità nel 2007 riapre un parco ristrutturato alla via san Gennaro dei poveri, chiuso dalle istituzioni inspiegabilmente e costato più di un milioni di euro. L’anno dopo una occupazione simbolica spalanca le porte del cimitero delle fontanelle; oggi tutti possono visitare gratuitamente l’ossario delle anime purganti. In piena crisi rifiuti e inquinamento la gente spazza le strade, organizza riunioni con il capo della ASIA, propone la raccolta differenziata porta a porta, dalla via Fontanelle alla via Vergini. Unico esempio di quartiere che protesta contro la chiusura di molti pronto soccorso di Napoli; quando l’ospedale san Gennaro diventa PSAUT migliaia di cittadini organizzano manifestazione e fiaccolate. Ogni anno il Carnevale organizzato dall’ex educandato della via Miracoli coinvolge centinaia di famiglie e migliaia di bambini; i temi delle sfilate vanno dalla lotta alla criminalità alla riappropriazione degli spazi pubblici. Una scuola di stranieri (ogni anno più di 200 persone), e un doposcuola per i bambini del rione da anni lavora nell’oscurità e nell’anonimato. Oggi il rione ha portato migliaia di cittadini della III municipalità a protestare contro l’uccisione di un minorenne. La cultura della povertà in questo rione non esiste. L’economia spicciola, il “tutto sommato loro ci trovano anche qualcosa di buono” è una definizione irresponsabile, è il passare la palla al più debole, è una vigliaccata, così come i politici promettono lavoro e nuove cooperative per i disoccupati. Cosa fare? La rivoluzione e la resistenza passiva. Trasformiamo il linguaggio dell’economico in quello sociale. Dichiariamo immorale la ricchezza. Buttiamo le carte di credito. Beviamo solo acqua pubblica. Prendiamo il sole sulle spiagge libere… capisco che non c’è una proposta immediata, ma la vita non si estingue subito, devono passare ancora molti millenni prima che il mondo sparisca di nuovo nel big bang. [+blogger]

stop campo estivo

Questa volta i 100 e passa ragazzi del rione non ce l’hanno fatta a fare il campo estivo. Non sono bastati gli sforzi dei volontari e della gente che già da diversi anni sostengono questa iniziativa. Peccato! Ogni estate, sette giorni a Posillipo e sette giorni nel rione: condivisione, studio, riflessioni, giochi, animazione, invenzione e creatività. Una cosa non è chiara: il campo si fa a luglio, per dare spazio agli operatori,  quest’anno il bando non prevede tale mese. Quindi non prevede l’apporto degli operatori, ma senza di essi è praticamente impossibile farlo. E’ un controsenso oppure sono io che non capisco determinate regole?


Annovero un’altra “sconfitta”, anche se, dice Milan Kundera, Un uomo in grado di pensare non è sconfitto anche quando lo è sul serio… E noi tutti pensiamo di fare. Di fare come quella mamma che qualche anno fa s’è visto il figlio tornare a casa, “mi dispiace signora i posti sono esauriti, quest’anno ci sono più di 110 ragazzi”. Non indebolita delle argomentazioni si è presentata lei e il figlio un’ora prima che partisse io pullman in piazza san Vincenzo. “Mio figlio sta male, vi prego, vuole stare con i suoi amici e se non ve lo portate, ve lo giuro, lo ricoverano”. Scena o controscena anche se solo si tratta di una finzione, vale sempre la pena di recitarla. [+blogger] 

pasqua di sangue

La settimana scorsa un altro operaio è morto, questa volta nel rione sanità. Qualche giorno dopo un lavoratore è rimasto schiacciato a Pordenone. L’Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di incidenti sul lavoro. L’osservatorio di Bologna calcola due incidenti mortali al giorno. Nel 2007 circa 1300 operai sono deceduti sul lavoro. Crescono le morti bianche, cresce la precarietà e la mancanza di regole. Diminuisce l’azione sindacale, oggi e pressoché inutile. Non a caso il benessere è aumentato grazie ai rapporti saldi tra impresa e lavoratore. Attualmente gli accordi tra azienda e operaio sono stati stralciati da una gestione miserevole e inutile. 

L’anello di congiunzione tra diritti mancati e morti bianche fa aumentare esponenzialmente la variabile precarietà, così come l’attaccamento al proprio lavoro, alla propria operosità. L’operaio edile morto nel quartiere Sanità è solo l’esempio (tra una moltitudine), di una mancanza di “certezza”, di passione nel fare, nell’inventare, nel proteggere il proprio lavoro. La morte non è più accidentale ma voluta. Nel porre attenzione si sbaglia “intenzionalmente” quasi come a far spregio per chi non ha rispetto per la vita umana. 

Nel film “Totò e i re di Roma”, Ercole Pappalardo muore volutamente dopo essere stato licenziato: nel limbo, alla borsa nera acquista quattro numeri a lotto e li dà in sogno alla moglie. Quando Dio lo scopre lo convoca al suo cospetto per punirlo, ma sentendo che ha lavorato quarant’anni come archivista capo al Ministero gli urla furioso: “in paradiso”. 

La mancanza di sicurezza sta creando (l’ha già fatto), un nuovo modo di lavorare, un nuovo approccio al fabbisogno e alla sostanzialità. L’imprenditore non muore mai per fatalità, il lavoratore sempre. Il nuovo pensiero ibrido non ha danneggiato la nostra economia, ha solo danneggiato i più poveri. Si parla ancora di sottoproletariato, di laureati ignoranti, di dirigenti che guadagnano come tremila operai. La differenza? La differenza non c’è, è inopportuna, è rifiutata, è sorpassata. Questo articolo non è scientifico, né certo, è solo il frutto di un pensiero stanco… e forse obsoleto. Buona Pasqua [+blogger]

viva la liquidazione

Su di un muro di una delle metropolitane collinare c’è scritto: con 450€ al mese non campano neanche i cani per strada. In realtà conosco persone che guadagnano di meno. Una mia amica sociologa ha lavorato per diversi anni in un asilo nido percependo la somma di euro 300 mensili, anche se sul contratto c’era scritto 600€ netti. Sbagliato o non che sia accettare somme truffaldine di questo genere, fa ribrezzo invece apprendere la notizia che un dipendente pubblico intaschi una liquidazione di 1 milione e passa di euro in prepensionamento.

Vediamo un po’ cosa ne pensano quelli del movimento visto che si sono decurtati lo stipendio. Anche il sig. Pietro Ciucci ha pensato di farlo “votando cinque stelle”. Quest’ultimo fino al 2013 ha ricoperto la carica di presidente, direttore e amministratore delegato dell’ANAS. Ma ha rinunciato alla carica di amministratore anche se ha fatto esplicito reclamo per la sua buona uscita. Insomma tre cariche sono troppe, il governo ne tenga atto! La mia amica non sapeva se denunciare la direttrice dell’asilo nido; invece Ciucci sapeva bene che se non riceveva in tempo un preavviso intascava il triplo della liquidazione.

Infatti è in pensione anche se è ancora dirigente dell’ANAS.  Ha ricevuto circa 2 milioni di euro di liquidazione, e in più, come ha fatto giustamente rilevare il sig. Pietro Ciucci, i danni materiali per il mancato preavviso… che gli avrebbe dovuto fare il suo direttore… cioè lui stesso. Insomma Pietro Ciucci si è dimenticato di avvisare il sig. Pietro Ciucci del licenziamento dalla carica di amministratore delegato; e per questo fatto, il sig. Pietro Ciucci ha citato in giudizio il sig. Pietro Ciucci; sapendo che la legge è dalla parte del sig. Pietro Ciucci quest’ultimo ha ben pensato di intascare la somma dovuta legittimamente di 800 mila euro di, torno a ripetere, mancato preavviso di licenziamento.

Alla fine la mia amica ha citato il suo ex datore di lavoro. Sono più di 6 anni che aspetta che le vengano risarciti gli arretrati degli stipendi che non sono mai stati intascati. [+blogger]

firma anche tu

Sotto al ponte della Sanità, con un banchetto, alcuni volontari stanno raccogliendo le firme per non far chiudere l'ascensore. Straordinaria manutenzione, data di riapertura: non identificata. Può funzionare una ascensore e l’altra in riparazione? Se per forza deve chiudere, si può ristabilire il servizio navetta per chi deve recarsi sopra al ponte? Perché le navette dopo le ore 18 non passano più? Perché non arrivano più fino al Cimitero delle Fontanelle?      
 
 

vico tronari ai cristallini

Giovedì 26 giugno (ieri mentre scrivo) sono stato in vico Tronari con Francesco Ruotolo e Mauro Migliazza. Era in corso un’ordinanza di sfratto nel palazzo dove già dieci anni prima c’erano delle famiglie rom ed era in condizioni igienico-sanitarie pessime. Oggi il palazzo è in condizioni discretamente migliori ma il proprietario sembra non sapere niente ne del palazzo, ne tantomeno dove si trovi. Gli occupanti raggiunti dall’ordinanza di sfratto, una famiglia di sette persone, sembra che fossero in leggero ritardo con il pagamento dell’affitto. C’erano già sul posto due assistenti sociali e, successivamente sono giunti tutti gli altri polizia municipale compresa. Ho avuto anche modo di discutere con alcuni inquilini e ho notato, con rammarico che prevale nella gente comune una mentalità della delega a poche persone, mentre per tutelare i propri diritti bisogna organizzarsi fare le cose insieme. Bisogna insomma rendersi conto di essere cittadini di uno stato di diritto e che abbiamo diritti e doveri. E di cose da fare ce ne sono parecchie. Ad esempio per il San Gennaro che presto chiuderà definitivamente. Servirebbe che un comitato di cittadini, non i soliti pochi noti ma il quartiere  che spinga affinchè il pronto soccorso venga convertito in un presidio per quei servizi sociali e assistenziali di cui c’è grande bisogno e che non possono più essere rinviati, considerato anche l’alto numero di disabili e di dispersione scolastica. Stesso discorso per l’ex mendicicomio dei Cristallini che è nella fase finale della ristrutturazione. Oltre agli ottanta mini appartamenti già sicuri che dovranno essere assegnati ad anziani non autosufficienti, occorrerà insistere perché la gestione della struttura sia partecipata e non finisca in mano privata, dato che un’intera area resterà libera e dovrà essere utilizzata a beneficio della comunità. Mentre scrivo c’è stato un rinvio dello sfratto di una settimana, ma dovremmo domandarci che senso ha che il proprietario di un palazzo speculi sugli affitti senza neanche conoscere il luogo in cui si trova l’immobile di sua proprietà. [vincenzo minei]

vico tronari

“Lo sfratto è una cosa odiosa” disse De Sica nel film Pane, amore e…

Vico Tronari, uno dei tanti del rione Sanità. Perpendicolare a vico Carrette e parallelo al supportino Capodimonte, anche se dal Tronari non si esce perché è cieco. Otto famiglie occupano uno stabile, in parte ristrutturato da loro. Dentro una edicola votiva, finestre e muri tutti dipinti  di bianco, sembra di stare in una tipica casa a Oia, in Grecia. Circa 50 parsone, diversi neonati e anziani, “bisogna trovare un accordo con il proprietario che non vuole vendere né fittare queste casa, ma noi qui ci abitiamo e non sappiamo proprio dove andare; questo è un vicolo che solo chi è nato vuole rimanerci”. Parla un abitante del palazzo che già ha ricevuto lo sfratto definitivo. Poi rivolgendosi ad una vigilessa: “voi di dove siete?, dove abitate?, ditemi la verità ci verreste qui?, comprereste una casa in questo vicolo buio?”.


Le otto famiglie, come mi spiega un alto abitante, vogliono trovare un accordo d’affitto con il proprietario che non ne vuole sapere. Una donna giù al portone mi dice che “non ho capito perché il proprietario non vuole parlare con noi, ma noi non vogliamo occupare abusivamente questo stabile, noi vogliamo un regolare contratto”. Per ora le forze dell’ordine, con un delegato del comune, devono eseguire quello che la legge prevede; per fortuna parlano, si confrontano, cercano anche loro un grado di empatica con questa gente. Vico Tronari è uno dei vicoli più poveri del rione. Noi speriamo in un accordo pacifico e risolutivo. [+blogger].     

i miracoli esistono











tempo umano

Basta guardare su internet o su molti libri di storia dell’arte per capire che il rione Sanità è un luogo ricchissimo.  Da secoli tutto è rimasto com’è, le cape di morta stanno al loro posto, così come gli ipogei, le catacombe, i palazzi del Sanfelice. E’ cosa risaputa che da qui non si muoveranno. Potremmo parlarne o no, essa resteranno nel quartiere per sempre. Quello che invece molti non sanno, o fanno finta di non sapere, è il fatto che oltre all’arte e alla storia qui, in questo luogo, c’è la gente: ci sono lavoratori, gli artigiani, i piccoli imprenditori, i disoccupati. Investire sulla gente non sembra essere un business, cosa si può ricavare da questa massa di degenerati?

Un tempo l’economia del rione girava intorno ai guantai; vicoli, vie, piazze, salite e discese… tutti lavoravano a contatto con la pelle. Uno studio fatto di recente ha dimostrato come il quartiere fosse un piccolo distretto industriale del guanto. Ma anche le sigarette di contrabbando hanno fatto la loro parte nell’economia così come i falegnami, i ciabattini, i venditori ambulanti. Questi rivoli di economia sono stati il fulcro di una società che un tempo si aggrappava alla famiglia, una famiglia che cresceva usando le proprie strategie e iniziative, una famiglia che si allargava per sopravvivere così come per costruire avendo a diposizione un capitale umana, la creatività, la bravura.

Se tutto questo fosse rivisto come “merce di scambio partecipe”, se si considerasse prima l’uomo e poi la [sua] storia, in questo caso l’arte del rione avrebbe un posto più consono nella gestione. Il capitale umano è di gran lunga più importante di quello artistico. Esso è variabile ed è per questo che deve essere gestito bene; può crescere, svilupparsi, migliorarsi fino a diventare straordinario. Il capitale umano è la variabile indipendente, è una risorsa concreta, è la vita che si riappropria della sua sopravvivenza, non si trasforma ma si lascia trasformare. [+blogger]   

paghe a somma zero

Se trent’anni fa mio padre guadagnava un salario di 1milione e 300milalire, l’equivalente dei  circa 800 euro dei contratti che attualmente ti offrono, sempre nelle migliori ipotesi, questo vuol dire che non solo il nostro paese in tutto questo tempo non è avanzato, ma che è tornato indietro sottraendo lavoro e ricchezza, un gap degenerativo a somma zero. Per i salariati e tutti i nuovi contratti, la busta paga si calcola così: 1+1 = 1 oppure 1+1+1 = 1. Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha detto che per mantenere il posto di lavoro il calcolo dello suo stipendio è stato fatto in questo modo: 1+1 = 0. Mi spiego meglio.

Nella ditta dove lavora è arrivata una comunicazione informale: “i dipendenti devono rinunciare volontariamente al contratto stipulato precedentemente per firmarne un altro”. Quest’ultimo impone ai lavoratori 30 ore settimanali rispetto alle 40 previste dall’altro. Tutti hanno dovuto accettare per forza questa nuova imposizione previo licenziamento. La cosa più “interessante” è che non solo alla fine del mese hanno visto diminuire del 25% la loro paga (senza discriminazione, da chi prendeva un stipendio di 1500 euro all’apprendista che ne prendeva solo 600), ma in realtà hanno continuato a lavorare per 8 ore al giorno e per 5 giorni settimanali.

Questa nuova forma di lavoro “partecipato” ha una sola univoca caratteristica: è legittimo. Oggi giovani laureati se non hanno una sacrosanta “raccomandazione” (anche se questa sta perdendo i suoi presupposti originari), sono costretti ad accettare paghe di 400 o 500 euro al mese. Diciamo che ci si può anche accontentare se non fosse per le parole di un saggio senatore della repubblica che qualche anno fa ha dichiarato su radio24 che “…15mila euro al mese non bastano per vivere e fare la vita da politico”.


Se la nuova o vecchia classe imprenditoriale, se i ministri e i sottosegretari e se le leggi che regolano il mercato hanno in se i germi della disuguaglianza (anche questa parola sta cambiando i suoi “connotati”), quello che ci deve mettere in guardia maggiormente è la norma che definisce e che può rendere ovvio anche le assurdità.  Offrire uno stipendio da fame attualmente è legittimo specialmente se negli affari si coinvolgono i poveri. Se dietro un lavoratore ce n’è un altro che accetta questo stato di cose è assurdo prendersela con quest’ultimo anche se è normale accusarlo. Questa normalità è diventata regolare, tantoché gli stipendi non si elargiscono secondo i propri bisogni ma secondo le proprie aspettative (figuriamoci se parliamo di lavoro fatto con la forza fisica… anatema). Se dopo 30 anni torniamo indietro di 30 anni vuol dire che L’Italia è rimasta ferma  nel 1950. [+blogger]                        

napoli non parla

Napoli non “parla”, Napoli non si ribella, Napoli è schiacciata dall’indifferenza e dalla delusione. Napoli, peggiore città: “Se l’Italia ha il raffreddore, Napoli ha la bronchite”. Sul “Venerdì” di Repubblica l’autore ci ha spiegato che adesso il capoluogo campano ha la polmonite, metafora che assicura un pò di gloria all’ex sindaco Jervolino sotterrando definitivamente De Magistris e la sua giunta. Nepotismo, malaffare, criminalità e mancanza di senso civico sono le definizioni che ricorrono nell’articolo, settimanale 1331 del 20 settembre 2013.

Su Economia e Finanza dell’8 gennaio 2012 si legge che le regioni più interessate dall’evasione fiscale con un netto incremento sulle altre sono la Lombardia e il Veneto. Tra le città, inoltre, dove si commettono più reati, in cima alla classifica ci sono: Milano (fonte: ilgiornale.it), subito dopo Roma, poi Torino, Napoli, Genova, Bologna, Bari, Firenze e Brescia (fonte: ilsole24ore.com). Il Nord Italia batte il Sud avendo più del doppio delle città incriminate. Anche se l’articolo su Venerdì di Repubblica parla della ribellione dei napoletani nei confronti dei nazisti, per contro di quella ribellione che invece adesso non c’è, l’infiammazione polmonare attribuita alla città partenopea fa male e, ancora una volta, non inquadra l’esatto problema né mette in luce le dinamiche che Napoli subisce da trent’anni a questa parte.

Mentre tutti urlano alla vittoria contro il 41bis la congestione tra politica e mafia/camorra si scioglie a suon di voti e raccomandazioni. A partire dal 1980 in poi il carcere duro infittisce la rete e sposa l’elettorato attraverso un’influenza criminale, sfruttando la povertà dei quartieri e delle periferie. Nel frattempo si organizzano anche le grandi città, cosicché le irregolarità diventano legittime. Questa legittimità è ormai evidente è ciò che sfrutta di più questo stato di cose sono i luoghi comuni.


Non dobbiamo cadere in questa trappola, è molto facile accusare e riservare nella storia un primato negativo, un primato che ci vede come l’ombelico del culo. Se Napoli ha una particolarità è anche perché tutti quelli che la leggono (eccezioni escluse), non hanno capito un cazzo. Fior di etichette pullulano nel marasma di una definizione, tanto che nemmeno i dati grezzi possono far cambiare idea. Se questa città è particolare è perché essa fa parte di una nazione particolare, di uno stato giovane che continua ad andare a votare solo perché da poco ha raggiunto la sua indipendenza. Perché il prossimo sindaco sarà di destra? Perché la gente in parte non ha capito cosa sia realmente la democrazia, se una forma di potere invisibile alle masse oppure un escamotage per sottintendere una stato dispotico che, per grattarsi i coglioni, ha bisogno delle mani dei lavoratori e dei più poveri. [+blogger]     

[s]miracolo italiano

Non so cosa credere maggiormente se al miracolo di san Gennaro oppure alle parole pronunciate ieri sera da Silvio Berlusconi. Sarebbe bello che tutti potessero avere la possibilità di fare quello che ha fatto l’ex presidente del consiglio, monopolizzare tre reti per difendersi da un terzo grado di giudizio. Ci sono ragazzini che marciscono in galera per aver commesso uno scippo, gente che lavora e che non viene pagata, sarebbe bello far parlare tutti quei “salariati” disoccupati o inoccupati (anche con la laurea) che ad un colloquio di lavoro si sentono dire: “400 euro mensili, una giornata intera di lavoro… c’è gente che è disposta a lavorare per meno”.

Ho chiesto anche io il miracolo a san Gennaro. Mio padre è stato licenziato diversi anni fa, dopo aver lavorato 40 anni con la stessa azienda, senza ricevere il trattamento di fine rapporto  né i contributi pensionistici. Ma purtroppo il sangue non si è liquefatto. La storia è più complicata e tragica ma avrò il tempo di scriverla (se ne avrò voglia) la prossima volta. La televisione ieri ha trasmesso la [s]democrazia in diretta, stamattina il [s]miracolo napoletano.


La passione, l’affetto, la verità si misurano con il consenso, così come lo schermo proietta la sensazione che migliaia, milioni di persone annuiscono come automi. Tutti dettano il proprio accordo, le riprese creano senso pacifico e di affratellamento così come, ad esempio, la telecamere accesa 24 ore su 24 sulla tomba di padre Pio. Quello di Berlusconi è un linguaggio seminatrice, è un  fallo di Priapo che crea la situazione magica. Il sangue di san Gennaro fa applaudire “inconsapevolmente”. La sintonia digitale è solo una sensazione, la realtà e il pensiero sono ben altro. Tutti possiamo credere a Berlusconi; tutti possiamo credere al miracolo del sangue; tutti possiamo lavorare per 400 euro al mese. Viva la libertà. [+blogger]                   

chi ha letto il libro

Vincenzo Minei volontario della rete Sanità e abitante del rione ha scritto una recensione sul libro di don Antonio Loffredo "Noi del rione sanità", pubblichiamo integralmente la mail inviataci il giorno 3/9/'13  
   
Tra i libri che mi hanno accompagnato questa estate c'era il libro di Antonio Loffredo intitolato "Noi del Rione Sanità" edito da Mondadori. Il libro, che l'autore apre con una ipotetica lettera al padre ormai scomparso, tenta di dare voce e volti a quella che è un'esperienza forse unica nel suo genere, cioè scommettere sulle risorse in loco, puntando sul recupero della storia e della bellezza di un quartiere, la Sanità che si è ritrovata nel corso dei secoli ad essere da passaggio obbligato per il centro di Napoli, ad una sorta di ghetto nel cuore della città. Ed è proprio per cercare di uscire da questo isolamento non solo fisico, rappresentato visivamente dal "tremendo ponte" di età murattiana, ma anche mentale che l'autore del libro, insieme a quei ragazzi nel frattempo diventati giovani uomini e donne, molti dei quali conosco personalmente da piccoli, hanno avviato tramite le varie cooperative che vanno dalla valorizzazione degli antichi cimiteri paleocristiani alla formazione e all'arte come il teatro e la musica classica. 

Scritto in un buon italiano, con molte licenze verso l'immaginifico, come è nello stile dell'autore, il libro presenta tuttavia alcune lacune, che è doveroso sottolineare. Anzitutto, mi dissocio assolutamente dagli attacchi a priori contro l'autore, che molti hanno accusato di volere trasformare il quartiere in una bomboniera per cacciare via i locali o chi accusa i componenti della Rete Sanità (che tra l'altro nel libro non viene nemmeno menzionata nemmeno in poche righe), di essere solo capaci di rosicare e di parlare. Simili atteggiamenti non fanno che creare conflitto e divisione. Il dissenso è giusto e doveroso, ma deve sempre svolgersi in uno spirito costruttivo e non su idee preconcette, il puro volontariato da una parte e il privato sociale visto come il demonio e il male assoluto. E riguardo appunto al privato sociale, il cosiddetto terzo settore, proprio perchè punta a creare lavoro deve avere almeno un minimo di ritorno economico. Va inoltre rispettato il lavoro di tante persone che nelle idee e nei sogni del Loffredo ci hanno creduto e ci credono, partendo praticamente da zero e arrivando ad avere riconoscimenti nazionali spesso superando i labirinti delle pastoie burocratiche. 

E fin qui ho evidenziato i pregi, passiamo ai limiti: doverose le pagine in cui si nominano suor Rosetta e suor Lucia, o padre Alex, tuttavia l'autore dimentica di citare la Rete del Rione Sanità di cui egli stesso fece parte per un periodo (dimenticanza?). L'iniziativa della scuola di italiano per stranieri che ha sede presso l'Istituto Ozanam, portata avanti con notevoli sforzi da suor Lucia e di cui chi scrive fa parte da ormai due anni, va ricordato, è stata un'iniziativa della Rete, ma non lo scrivo in spirito di polemica, ma solo per aggiungere un tassello che evidentemente manca. 

Quanto alla cosiddetta Operazione San Gennaro, sul progetto di diciamo così riqualificazione delle catacombe dedicate al patrono cittadino e che è stata la miccia che ha innescato le polemiche, siamo sicuri che sia conveniente farci delle piscine o delle discoteche? Certo non sono d'accordo con chi afferma a priori che il rione "è bello così com'è", ed è giusto cercare di migliorarlo, ma bisogna partire dalla mente e soprattutto dal cuore delle persone, solo così si possono ottenere risultati duraturi. Poi le catacombe, la musica, sono si tutte cose molto belle, ma in un quartiere che ha una tradizione artigianale che sta scomparendo, non sarebbe meglio puntare al rilancio degli antichi mestieri di guantai e calzolai, riadattandoli ovviamente alle nuove esigenze del mercato del lavoro? Va benissimo il progetto di Comunità Locale, e il modello da seguire potrebbe essere quello di Messina, purchè sia salvaguardata l'anima autentica del rione, associandomi alle perplessità di chi teme uno snaturamento del quartiere stesso tipo quello avvenuto a Taormina. 

Sono sicuro che don Antò, da persona intelligente qual è saprà accogliere queste mie osservazioni, tra l'altro da lui stesso richieste al sottoscritto con lo spirito giusto senza sentirsi offeso e, mettendo da parte i risentimenti personali anche chi finora ha alimentato solo la polemica, possiamo tenere tutti presente che quello che conta di più è il quartiere e non i piccoli protagonismi personali [vincenzo minei]