le iene alla sanità

Ieri la trasmissione di Barbara D'Urso ha mostrato come il proprietario un negozio della via Sanità s’è inventato il costume di carnevale di Michele Misseri vendendolo completo di Cappelo da "contadino" e corda per strozzare. L'inventore e proprietario del negozio si è giustificato dicendo: “anche alla via Tribunali ogni sorta di pastore natalizio, buono e cattivo che sia, è pubblicizzato e venduto: Bin Laden, Bush, Gheddafi ecc, ecc”.

In realtà il proprietario del negozio del rione sanità non ha tutti torti. Oltre al fatto che i “pastori”, di cui sopra, si sono macchiati dei più efferati delitti contro l’umanità, senza che nessuno della televisione li abbia mai criticati, fa comunque specie che, le trasmissioni mediaset, critichino questa situazione quando invece sul delitto di Avetrana costruiscono, giorno per giorno, pagine di un nutriente gossip degno dei migliori film dell’horror .

Non c’è programma che non parli di Misseri e della sua famiglia, specialmente la D’Urso che, in questo modo (e non ci voglio gli angeli per capirlo), costruisce il suo palinsesto mediatico trattando il caso come una normale inserzione pubblicitaria. La routine televisiva contribuisce poi a “normalizzare” l’evento che, con il passare del tempo, diventa mito, diventa umano, diventa reale.

È lo stesso discorso, come dire: sputa che in faccia ti ritorna! Sul delitto di Cogne, e su quello di Omar e Marica, Vespa ha pubblicizzato milioni e milioni di euro, come le stesse trasmissioni di canale5 rete4 Italia1. Centinaia di ore televisive trasmettono sempre le stesse cose; un tormentone che, dopo un po’, fa nascere la voglia alla Franzoni di creare un asilo nido e di scrivere un libro, mentre Marica riceve un nuovo fidanzato e vari comitati che la difendono.

Ecco i nuovi mostri, ma questa volta c’è qualcosa in più: essi non sono gli stessi creati dalla genialità di Dino Risi; questa volta c’è un valore aggiunto che supera di gran lunga la fiction cinematografica e/o televisiva: è la S.T.U.P.I.D.I.T.A'. [+blogger]

sconcertanti silenzi

Perché la Santa Sede non parla? Perché dall’inizio della crisi non c’è una parola del Vaticano, almeno sugli aspetti strettamente umanitari, di condanna delle violenze spaventose e dei massacri che stanno avvenendo in Libia? Perché nel comunicato emesso alla fine del colloquio tra il papa e il presidente libanese Sleiman c’è solo un accenno generico ai “recenti avvenimenti in alcuni Paesi arabi”? Perché il Papa mercoledì ha accennato ai morti nel terremoto in Nuova Zelanda e non ha pronunciato neppure una parola circa i morti in Libia?

La Santa Sede ha rapporti diplomatici con Tripoli. Il nunzio apostolico Tommaso Caputo rappresenta la Santa Sede sia a Malta che a Tripoli. E risiede prevalentemente a Malta. E da lì ha parlato brevemente con la Radio Vaticana, ma senza entrare nel merito della crisi. La diplomazia vaticana passa per le migliori del mondo.

E allora perché Caputo non è stato spostato a Tripoli? Durante le guerre contro l’Iraq i nunzi apostolici non hanno mai abbandonato Baghdad. Stavano vicini alla popolazione e non a Saddam. Perché non accade la stessa cosa per Tripoli? Anche il vescovo di Tripoli, monsignor Martinelli, di cui sono noti i buoni rapporti con il Colonnello Gheddafi, dal quale è riuscito recentemente a farsi restituire una chiesa nella capitale, in questi giorni ha solo minimizzato la crisi. Perché? E poi: con Giovanni Paolo II sarebbe successa la stessa cosa? Il silenzio della Santa Sede comincia a procurare imbarazzi negli stessi ambienti diplomatici della Segretaria di Stato.

Certamente la posizione del nunzio è assai delicata. E’ ambasciatore presso un Paese dell’Ue in prima linea e contemporaneamente è accreditato a Tripoli. C’è un evidente conflitto di interessi. Ma non basta a giustificare il silenzio vaticano. Dunque forse c’è altro. Il silenzio vaticano è dettato dalla prudenza per le sorti dei cattolici in Libia oppure è giustificato dalla volontà di non criticare il governo di Silvio Berlusconi?

In Vaticano fino a non tanto tempo fa c’era un uomo che ha sempre parlato chiaro rispetto allo scellerato patto Italia-Libia: monsignor Agostino Marchetto, capo del dicastero per i Migranti. Ma è stato costretto a dimettersi, dopo che più volte è stato precisato che le sue erano opinioni personali e non riflettevano quelle della Santa Sede. Insomma di fronte ai morti, agli stupri, alle immagini e ai racconti drammatici che arrivano dalla Libia, conta di più la realpolitik bertoniana: è proprio infondato il sospetto che non intenda disturbare il manovratore in attesa di incassare qualcosa circa i valori non negoziabili del testamento biologico già calendarizzato alla Camera? Tutti noi speriamo di essere smentiti a stretto giro da parole forti del papa. [ilmondodiannibale.it]

blocco

Ogni tanto le istituzioni si affacciano nel rione, a chi acchiappano acchiappano, ed infine dalla via Vergini spariscono gli ambulanti e i commercianti che mettono fuori la merce. Puntualmente lo fanno ogni 4 o 5 mesi e, il giorno successivo, tutto ritorna alla [s]normalità. Le solite auto in 3°fila, i parcheggi selvaggi, il senso unico di marcia mai rispettato, i vigili che non si vedono manco a pagarli una tangente. Poi ci vanno sotto sempre i soliti ambulanti o stranieri o di altra nazionalità.

Venerdì sera verso le 17,30 a piazza Cavour, angolo Mario Pagano, un camion di pompieri è rimasto bloccato per più di mezz’ora, fermo con la sirena squillante, assordante. Le auto parcheggiate in 2° fila impedivano il passaggio. Una situazione paradossale, tutti guardavano, tutti come inebetiti compreso il sottoscritto. Poi la penultima si scostava, finalmente soltanto una e la via era libera.

Dopo un quarto d’ora arrivano i vigili urbani che iniziano a fare multe e quando finalmente la donna che aveva parcheggiato così meschinamente con fare flemmatico spostava la sua (ultima) inutile auto nella curva il camion si bloccava di nuovo. La sirena continuava, anche le facce inebetite... anche il vigile continuava a fare le multe. [+blogger]

san felice non è un santo

L’Assessore alla Toponomastica del Comune di Napoli ha disposto “l’apposizione di una nuova epigrafe a cura dell’Ufficio Toponomastica il 18 Febbraio 2011, nel cuore dell’antico e popoloso rione della “Sanità” per sanare una grossolana svista di circa un secolo fa. L'epigrafe modifica la denominazione di vico SAN FELICE, stradina che, come un “cardo”, taglia il rione “Sanità” congiungendo tre antiche arterie quasi parallele: via Cristallini, via santa Maria Antesaecula, via Sanità ed è posta in prossimità del celebre Palazzo SANFELICE.

Il collegamento viario nella lingua parlata continuerà a chiamarsi vico san felice, mentre la tabella stradale subirà un impercettibile ma fondamentale cambiamento: tra il “SAN” e “FELICE” non ci sarà più uno spazio…

“L'Assessorato consultata la commissione toponomastica cittadina, ha voluto porre fine ad una imperdonabile disattenzione degli artigiani (e degli amministratori locali succedutisi nel tempo) in quanto circa 100 anni fa sulle lastre di ardesia furono scolpite le lettere giuste ma scambiando l’architetto Sanfelice per l’omonimo San Felice.” La correzione del toponimo si deve al lavoro di un attento giornalista, che ha segnalato l’errore all'amministrazione comunale alcuni mesi fa e che ha manifestato la sua soddisfazione alla comunicazione della modifica.

Per porre termine al grossolano errore si è scelta – su proposta dello stesso giornalista - la data del 18 febbraio in quanto si celebra il 336° anniversario della nascita del grande architetto Ferdinando Sanfelice, nato a Napoli il 18 Febbraio 1675. Comunicato stampa - Napoli, 17 febbraio 2011]

uno srilankese

Cosa spinge uno srilankese a suicidarsi dopo tre mesi di depressione? Nel vico Canale, perpendicolare alla via S. M. Antesaecula e alla via Cristallini, ieri un ragazzo di vent’anni si è tolto la vita, era un ragazzo di colore, era uno di quelli che forse non ne voleva sapere dell’Italia, uno che forse non ne voleva sapere di stare lontano dalla sua famiglia. Chissà?!

Certo, questi vengono qui a rubarci il lavoro. Dopo il lavoro non c’è più niente: non ci sono i sentimenti, non c’è la nostalgia, non c’è l’affetto, non c’è la passione. Partire per raggiungere un paese ricco è sempre una cosa buona invece lasciare gli affetti, la famiglia, la propria ragazza è pur sempre un fattore secondario.

Quindi noi continuiamo a fare del bene, chi vieni qui è un ospite. Tutto deve essere lasciato indietro sia l’italiano confuso sia quello non capito. Il dialetto napolsrilankese: le finali sbagliate, i verbi confusi, le parola distorte, le finali saltate. Solo un buon napoletano riesce a sbagliare le finali come un immigrato.

Lasciare i proprio vent’anni, lasciarli nella solitudine, nell’indifferenza, nella repressione. Una piccola suora mi telefona e, con un po’ di vergogna, mi dice: “è morto, suicida… così te lo volevo far sapere”. [+blogger]

pane e baobab

Dakar 11 febbraio 2011. Ultimo giorno del Forum sociale mondiale di Dakar, con tanti intoppi che hanno reso ancora una volta difficile lo svolgersi dei dibattiti. I disagi procurati non sono dovuti solo a incapacità organizzativa. Ma, da quanto ci consta, sembra che ci sia stata la volontà politica di mettere i bastoni tra le ruote affinché venisse un po’ sporcata l’immagine del Forum.

Una giornata caratterizzata delle “assemblee convergenti”, molte delle quali non si sono svolte. Una di queste è stata l’assemblee dedicata a Epa/Ape (Accordi di partenariato economico tra Ue e Acp). Eppure questo è un tema centrale per il futuro del continente africano. La sua classe dirigente non comprende la gravità di questi accordi e sta tradendo la sua gente. La Ue, che avrebbe dovuto stringere gli accordi con le sei aree interessate in Africa, Caraibi e Pacifico, sta ora premendo per farli firmare ai singoli stati, spaccando così, maggiormente, i mercati comuni africani. Firmare gli Ape significa affamare di più il continente, perché i contadini africani non possono reggere la competizione con un’agricoltura sussidiata.

E’ stata rilanciata con forza la campagna contro gli Ape, promossa anche da Africa-Europe-Faith and Justice Network (Aefjn) che raccoglie decine di organizzazioni missionarie per fare lobbyng a Bruxelles. Oggi si è svolto un incontro tra un’ottantina di missionari e missionarie presenti al Forum (tra cui una ventina di comboniani) con i rappresentanti dell’Aefjn. Un’altra assemblea convergente mancata è stata quella sul debito. Eppure di debito si è parlato parecchio in questo Social forum, soprattutto per quello africano che è diventato un peso insopportabile per il continente. La mancata sintesi su questo tema lascia un vuoto inspiegabile.

Dobbiamo invece riconoscere che la voce delle donne, in particolare quelle africane si è fatta molto sentire in questo Forum in tutte le sessioni. E’ un fatto nuovo, questo, e molto positivo. Ed è stato anche un elemento caratterizzante dell’evento Dakar. Riuscitissima, anche, l’assemblea convergente sul fenomeno del “land grabbing” in Africa (cioè gli acquisti da parte di paesi stranieri - soprattutto arabi - e di multinazionali, di vaste aree agricole in Africa per coltivarle per il proprio fabbisogno alimentare). Con una sala strapiena, è stata lanciata con forza una campagna globale contro questo fenomeno. In India, sempre su questo tema, si sta preparando la marcia dei cento mila. E così pure è stata lanciata, per ottobre 2012, una marcia su Ginevra, sempre per i diritti fondiari. L’assemblea del Forum ha lanciato un altro appello di Dakar, stavolta contro il “land grabbing”, che conclude: “Noi abbiamo il dovere di resistere e di appoggiare le popolazioni che ora lottano per la loro dignità”.

Un tema, invece, che non è stata assolutamente valorizzato è quello della pace. In un momento di così forte militarizzazione è stato incredibile notare l’assenza o quasi dei movimenti pacifisti. Le uniche eccezioni sono state Pax Christi internazionale e il movimento francese per la pace e un piccolo gruppo di Castellamare di Stabia. In un mondo che spende 1.531 miliardi di dollari in armi, con un’industria bellica florida, il vuoto su questo tema è un brutto segnale.

A livello politico, sono stati due gli eventi che hanno toccato il Forum: la rivoluzione tunisina e quella egiziana e lo scontro sull’indipendenza del Sahara Occidentale. E’ importante sottolineare l’impatto che hanno avuto i movimenti popolari che hanno rovesciato i regimi autoritari in Tunisia ed Egitto. Quelle due esperienze stanno ad indicare che la gente è stanca, che desidera cambiare e che non vuole più saperne di dittature. C’è un vento nuovo che soffia nel mondo arabo e il Forum l’ha recepito, perché la rivolta è nata dalla società civile e soprattutto dai giovani.

Il Sahara Occidentale ha inviato una ampia delegazione per chiedere che l’ultima colonia dell’Africa ottenga la sua indipendenza. Il governo marocchino, che occupa il Sahara Occidentale, preoccupato per la ribalta internazionale del tema sahrawi, ha inviato a Dakar due aerei colmi di marocchini col compito di destabilizzare il Forum quando affrontava il nodo Sahara Occidentale. Tanto che sono avvenuti già in occasione della marcia inaugurale del 6 febbraio alcuni scontri, che poi si sono ripetuti il 7 febbraio, quando i marocchini hanno occupato la tenda dove doveva tenersi il dibattito sul Sahara Occidentale.

Nonostante tutti i problemi affrontati quotidianamente e le enormi difficoltà insorte, dobbiamo confessare che abbiamo respirato un’aria di speranza e di energia vitale in questa settimana, grazie in particolare al popolo senegalese. Una vera sorpresa. Abbiamo incontrato un popolo sereno, mite, gioioso, molto ospitale. Un paese, il Senegal, dove i cristiani e i musulmani vivono tranquillamente insieme. Chi ha partecipato al Forum si porterà via questo fascinoso ricordo, insieme al profumo del pane che si respira camminando per le strade di Dakar, e negli occhi resterà la vista degli immensi baobab che costellano la savana africana. [alex zanotelli]

le accise

Ecco perché noi al sud, e in particolar modo in Campania, paghiamo di più la benzina verde e il gasolio: gravano sul prezzo finale: 1,9 centesimi finanziamenti guerra in Etiopia del 1935; 14 lire dovuto alla crisi del canale di Suez del 1956; 10 lire per il disastro del Vajont del 1963; 10 lire per alluvione di Firenze del 1966; altre 10 lire per terremoto 1966 del Balice; lire 99 per l’altro terremoto in Friuli del 1976 e lire 75 per quello in Irpinia del 1980.

Non è finita qui. 205 Lire per sostenere la guerra in Libano del 1983; 22 lire per la missione Nato in Bosnia Erzegovina del 1996 e altri 20 centesimi per sostenere il contratto dei ferrotranvieri del 2004. Aggiungiamo che, dopo tutte queste sovrattasse, le Regione possono fare come cazzo vogliono applicando le aliquote che gravano naturalmente sui cittadini.

Mi piacerebbe commentare ancora ma vi assicuro che non so realmente cosa dire. Queste precisazioni sono state pubblicate ieri sul corriere della sera. Che sensazione brutta vedere in prima pagina la parabola Ruby e, quasi nell’ultima, quest’articolo. [+blogger]


razza intelligente

Ieri, 8/2/11, il programma radiofonico la “zanzara” condotto da Giuseppe Cruciani con l’assistenza di Parenzo, ha ospitato la finiana Tiziana Maiolo, tema della discussione: i rom. Al di là della forma razzista della Fli, che paragonava l’educazione del suo cane superiore a quella dei rumeni, con accenno di indignazione da parte di Parenzo, non capisco, ma non mi meraviglio affatto, come trasmissioni di questo genere possano dare voce ad una signora, ex assessore d’altronde, invasa dalla sua pregiudizievole ignoranza.

Il conduttore ufficiale del programma, Giuseppe Cruciani, che non riesce a superare la sua stupidità, meditando come l’eccitato gorilla di De Andrè, regredisce giorno per giorno facendo intravedere chiaramente la sua totale inadeguatezza in relazione ad argomenti di natura complessa che, per semplificarli, s'infarciscono di etichette e stereotipi.

Se il conduttore si fosse un po’ più informato sulla cultura rom, sinti, kalé o meglio ancora avesse lasciato la sua incompetenza “travisando” un po’ di letteratura a riguardo, non avrebbe mai permesso alla deputata Fli di affermare, come si afferma alla radio padania, in sozzure e stoltezze di questa portata. Non capsico come programmi radiofonici, così fuori luogo, possano occupare una parte importante del palinsesto giornaliero. Allora per scagionare tutto e tutti bastava che i conduttori si fossero informati o avessero letto la definizione di cultura di Edward Burnett Tylor, anche se credo che le capacità di capire tale definizione, da parte dei conduttori, sia pari alla stessa differenza che percepiscono tra il cazzo e la banca dell’acqua.

Non si sa mai, io la cito: “La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”. [+blogger]

il ponte di maddalena

Nell’apprendere con viva soddisfazione che è stata accolta nei giorni scorsi da questa Amministrazione comunale la proposta, formulata – fin dal 2007 – dal sottoscritto e firmata da circa 3.000 cittadine/i in calce a una petizione popolare - e cioè l’intitolazione a Maddalena Cerasuolo del ponte che sovrasta il rione della ‘Sanità’- scrivo loro per formulare la sotto descritta proposta.

Propongo che la cerimonia d’intitolazione abbia luogo il giorno Martedì 8 marzo 2011 alle ore 12.00 con la partecipazione del Sindaco, degli assessori Ponticelli, Guida, Pagano della 3° Municipalità e che a tale Cerimonia – oltre che all’A.N.P.I., all’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, a partigiani delle Quattro Giornate, ai familiari e parenti di Maddalena Cerasuolo – possa essere invitato il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, presidente degli Istituti storici italiani per la Liberazione.

Il sen. Scalfaro partecipò il 30.9.1994 in qualità di Capo dello Stato - unitamente al Sindaco Bassolino, alla nostra illustre concittadina Vera Lombardi e tenendo sotto il braccio Maddalena Cerasuolo - alla Cerimonia in ricordo delle “Quattro Giornate di Napoli”, al Maschio Angioino. Ho sempre tenuto personalmente informato il sen. Scalfaro della vicenda di questo riconoscimento a Maddalena Cerasuolo (scomparsa qualche anno dopo, nel 1999) che ebbe un ruolo determinante nel salvare il Ponte che ora le viene intitolato; desidero perciò che allo scoprimento della targa stradale il presidente Scalfaro possa personalmente intervenire.

Credo che l’8 MARZO, Giornata Internazionale della Donna, sia il giorno più idoneo perché Napoli, medaglia d’oro della resistenza, possa intitolare il ponte a Maddalena Cerasuolo con la presenza anche del sen. a vita Oscar Luigi Scalfaro. Sarei lieto, anche in quanto primo firmatario e promotore della petizione popolare giunta a positivo esito, di contribuire all’organizzazione di tale cerimonia e a tal proposito chiedo di essere ricevuto da un membro dell’amministrazione comunale per meglio illustrare la mia proposta e per collaborare alla positiva riuscita di questo singolare evento dovuto alla sensibilità di questa amministrazione comunale. Colgo l’occasione per porgere i più distinti saluti. [francesco ruotolo]

radio web sanità

Stiamo per costituire la prima radio web del rione sanità. L’idea è sorta grazie ad un collaboratore del blog che in passato ha pubblicato diversi articoli, Luigi Busiello. Ogni Martedì Busiello conduce un programma di musica italiana sul web citando e commentando gli articoli del blog. Una occasione ufficiale per ringraziarlo calorosamente, anche da parte della rete Sanità.

Abbiamo contattato alcuni tecnici di radiolina che hanno collaborato subito gratuitamente; hanno detto cosa dobbiamo fare e in che modo, di che tipo di tecnologia dobbiamo avvalerci e, cosa ancora più importante, messo a diposizione il loro server per la trasmissione e la programmazioni. Un grazie particolare anche a loro.

Due persone condurranno il programma e ogni settimana inviteranno tutti quelli che hanno voglia di conversare, di parlare del rione, di Napoli di altro; collaboreremo a stretto contatto con la rete, con il gruppo di facebook e con gli iscritti al blog. Tutti potranno partecipare, iscritti e non iscritti, soprattutto quelli che non possono venire in redazione. Con una semplice connessione internet il programma lo faremo “a domicilio”.

Aiutateci a trovare un nome per la radio, scriveteci e dateci dei consigli, anche in relazione al primo programma, ai temi da trattare, alle iniziative, alle proposte. Radio web Sanità collaborerà con e per il quartiere, ma anche con la città, il comune, la regione e nella sconfinata infinita rete internet, con tutti e in ogni parte del mondo. Per adesso abbiamo collaboratori in Argentina, in Francia, in Australia, a Milano, Roma, Bologna, Torino e Salerno… senza limiti. [+blogger]

oroscopo preventivo


per i nati acquario

Se pensi che tuo/a marito/moglie ti faccia le corna, signore/a acquario, ti consiglio di chiedere aiuto allo scrittore Fialho de Almeida. Se lo conosci buon per te, se invece non sai di chi sto parlando, ti assicuro che fino a poco tempo fa non lo conoscevo neanche io. Insomma, se hai voglia di sapere se c’è tradimento, Fialho ti parlerà così: “Eh, Eh! … Quando il mio collega, l’Eterno, abbandona i suoi clienti, loro si ricordano di venire da Satana. A lui vanno tutti i frutti buoni della terra e a me tutte le cause perse. E adesso viene pure questo. Che cosa vuoi da me?”. Terribile, un racconto portoghese fiabesco all’interno del libro dal titolo “Quando il diavolo ci mette la coda”. Lo scrittore, di estrazione borghese, prese una laurea in medicina che non uso mai, così come una moglie per interesse che non “uso” mai, così come la sua vita monotona che non uso mai… fino alla brillante sensazione di suicidarsi per le allucinazioni.

per i nati pesci

In un film straordinario interpretato da un altrettanto straordinario Jack Lemmon, la condivisione di una casa “squillo”, quella del protagonista, è divisa tra diversi impiegati di una azienda che a turno affittano l’appartamento per le loro avventure extra-coniugali. Il film è girato benissimo, con il solito Jeck Lemmon nei panni di un intelligente arrampicatore: la sua “ingenuità” espressiva nel recitare è così brillante che vestire i panni di una specie di “magnaccio” incute rispetto per l’innocenza che esprime e per la semplicità che emana. Se hai voglia di fare la stessa esperienza, magari coinvolgendo i tuoi colleghi di lavoro, caro/a pesce, ti consiglio di intraprendere la stessa esperienza del protagonista del film, con una lieve differenza però: la condivisione deve essere permanente, un “darti gratis” totale: presterai la tua auto, i tuoi vestiti, le tue cose, la tua intelligenza… incominciando a vivere veramente sottraendo le divisioni che addizioni giorno per giorno. [librifilmsanità]

trasferta al san paolo

Napoli è il suk di piazza Garibaldi. La stazione fresca di restyling post-moderno. I Frecciarossa e gli Espressi che portano al Nord le speranze delle loro rispettive e antitetiche utenze: colletti bianchi contro scugnizzi, fighette contro chiattone. Chi parte e chi resta: chi sospira di malinconia, guardando sfilare al finestrino il boschetto di grattacieli del centro direzionale; e chi rimane con un pugno di mosche e un groppo alla gola dopo aver caricato valigie e fidanzata sul vagone appena sparito dietro Gianturco. I tossici ammucchiati alla fermata davanti al Mc Donalds, in attesa dell’autobus R4 per Scampia. I tassisti ufficiali e quelli ufficiosi che indifferentemente sbraitano senza pudore a caccia di clienti. Le macchine che sfrecciano selvagge, e i pedoni che scattano (più veloci di Lavezzi in contropiede) sulla roulette russa delle strisce pedonali. Un furgone con l’altoparlante che pubblicizza il prossimo film in calendario al cinema a luci rosse di piazza Mercato: musica e orgasmi simulati in sottofondo. Le ciambelle, i bomboloni e i cornetti taglia extralarge esposti nelle vetrinette esterne dei bar, che promettono colazioni goduriose e inimmaginabili a Genova. Il caos del cantiere della metropolitana che taglia la piazza in due. I tappeti di abbigliamento e cianfrusaglie contraffatte stese dai senegalesi dirimpetto ai negozi degli italiani: ininterrottamente, pacatamente, serenamente, per chilometri di marciapiede, fino in fondo al Rettifilo.

Napoli è la bellezza scollacciata del rione Sanità. Il quartiere più verace del centro storico. Il posto dove è nato Totò, dove Sofia Loren ha stregato Marcello Mastroianni in “Ieri, oggi e domani”, e dove la percentuale di abbandono nella scuola dell’obbligo è del 60%. Il posto che pur essendo centralissimo, autentico e impregnato di storia sembra dimenticato dai napoletani, con la maggiore arteria di comunicazione che per collegare piazza Dante a Capodimonte passa sopra la Sanità anziché dentro. Il posto dove se mamma, babbo e bambino sgusciano insieme con lo scooter tutti e 3 senza casco nessuno si meraviglia. Il posto dove la pavimentazione è tutta buche, e ogni intonaco scrostato. Il posto dove non c’è una saracinesca abbassata né un locale sfitto, dove gli alimentari e i fruttivendoli magari si arrangiano fra mille furbizie ma in compenso non l’hanno ancora data vinta al supermercato. Il posto delle contraddizioni tragicomiche, dove le cartacce infestano le strade, ma anche dove i cassonetti più strabordanti sono le campane dei rifiuti diligentemente e inutilmente differenziati. Il posto dove tutti se la prendono coi politici trafficoni ma dove tanti accettano per due lire di regalare il loro voto agli stessi trafficoni. Il posto dove gli uomini comandano ma a lavorare sono soprattutto le donne. Il posto dove i panni sono stesi di traverso come dei festoni, dove il portale della chiesa barocca diventa la porta di un campo di calcetto, dove basta un goccio di pioggia per mandare in tilt le fognature, dove nelle intercapedini fra un isolato e l’altro spuntano orti urbani poetici. Il posto dove i condomìni sono a misura d’uomo e la gente si conosce: si saluta, si relaziona, a volte si aiuta a volte si accapiglia ma di sicuro non si ignora. Il posto dove il teatro si annida in ogni dove: nella gestualità dei negozianti che sommergono di chiacchiere e attenzioni ogni sconosciuto appena entrato; e nella falsa intimità degli appartamenti al piano terra, dove le porte finestre non hanno imposte e le casalinghe disinibite in vestaglia sembra lo facciano apposta per farsi guardare.

Napoli è la casa di padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano più famoso d’Italia, un prete che è passato dall’Università di Cincinnati alle baraccopoli del Kenya, che coi suoi articoli e i suoi palasport gremiti ha portato in Italia il grido dei poveri del mondo, vittime delle grandi ingiustizie e disuguaglianze planetarie, e che a quasi 70 anni ha scelto di trasferirsi alla Sanità: lui, trentino tutto d’un pezzo, insieme ai diavoletti screanzati che parlano solo in napoletano. In quasi 10 anni di Sanità padre Alex ha coagulato intorno a sé un crogiolo di energie solidali. C’è Antonio che dal suo bugigattolo di monolocale anima un blog quotidiano e progetta di far decollare a breve una web-radio di quartiere. C’è Anna che ogni sera cucina per 80 persone senza tetto, convergenti alla Sanità da tutto il circondario per la tregua di un pasto caldo e un letto pulito dentro l’oasi del centro La Tenda. Ci sono Angela e Anna Maria, che hanno unito le mamme del quartiere bene del Vomero e quelle ruspanti della Sanità per gestire insieme un servizio itinerante di pronta assistenza agli homeless partenopei. E c’è Mauro, un romano pazzo scatenato, che dopo una vita da operatore sociale ha mollato il lavoro e le sicurezze per condividere le utopie, i progetti e le battaglie di padre Alex alla Sanità: dalle campagne per l’acqua pubblica a quelle per la raccolta differenziata nel quartiere, dal doposcuola per gli scugnizzi al progetto di microcredito e ai corsi di italiano per immigrati. E’ grazie a Mauro che le porte della Sanità e di casa sua mi si aprono per due giorni intensissimi, sempre a piedi: fra artisti di strada e pezzi di società civile che ridanno vita a un parco pubblico degradato di Montesacro; fra pizze da sogno e srilankesi ubriachi ciondolanti in piazza Cavour; fra nugoli di assistenti sociali che denunciano la loro precarietà di lavoro a suon di tarantella nel cortile del Maschio Angioino; fra cene galanti a casa di biologhe carine e caffè arrangiati a casa di intellettuali rifondaroli comunisti maledetti. A spasso per via della Sanità non facciamo in tempo a camminare cinquanta metri che qualcuno urla “Mauro!”. La gente lo saluta, se lo coccola, non lo capisce fino in fondo (perché sto romano capatosta si ostina a vivere qui, senza soldi, senza arte né parte? Perché vive come un prete senza essere un prete?), ma non per questo smette di volergli bene.

Napoli è fame di calcio. Fame di rivalsa nei confronti del Nord ricco, efficiente e prepotente, la cui superiorità emerge senza storia nell’economia ma molto meno facilmente nel gioco della pedata. Voglia di rispondere a suon di gol alle canzoncine idiote sui napoletani colerosi e vergognosi. Voglia di sognare, di tenere alta una bandiera con orgoglio, di dimostrare che l’Italia che vince siamo anche noi. Il Napoli secondo in classifica nel pieno del girone di ritorno, vent’anni dopo il mito di Maradona - la cui foto un po’ ingiallita resiste come un totem sulle pareti di locali pubblici e portinerie – lontano, epico, certo, ma ora diventato di colpo meno inavvicinabile del previsto. La fame è quella che porta 50mila spettatori allo stadio San Paolo in una partita tranquilla contro una Sampdoria qualunque. La fame sono le code chilometriche degli spettatori davanti ai cancelli chiusi, a più di 2 ore dal fischio d’inizio. La fame sone le torme di bagarini e venditori ambulanti che si fregano le mani come ai tempi d’oro. La fame è la parola scudetto sulla bocca di tutti, è incredulità e gioia sfrenata.

Napoli è il Napoli. Questo Napoli. Il Napoli del presidente De Laurentis, che anno dopo anno riesce a migliorare qualità della squadra e posizione in classifica. Il Napoli di Mazzarri, il nostro ex allenatore che ha inventato un 3-4-3 scoppiettante, e rispetto ai tempi di Genova è diventato anche meno buzzurro e meno presuntuoso. Il Napoli del tridente delle meraviglie, che inventa giocate e corre ai limiti dell’impossibile, che fa impazzire lo stadio e fa vergognare gli 8 sampdoriani assiepati insieme a me nello spicchietto al piano terra fra curva e tribuna. Noi, comprimari a nostro discapito del Napoli show, illusi da un avvio discreto e poi sepolti da una valanga di gol e azioni, mimetizzati in mezzo a uno spreco di 30 poliziotti e 15 steward. Dopo il mercato di gennaio in stile finanziaria di Tremonti, un bel 4-0 era quello che ci voleva. E in più, ecco nel secondo tempo il colpo di grazia dalla radiolina: la doppietta di Pazzini, la voglia di scomparire. Tutto nero. Anzi no, tutto azzurro. Come lo stadio, o almeno tre quarti di esso, che si colora di sciarpate e sul finire esplode in un boato canoro. Tutti in piedi, tutti a intonare il coro più bello e inimitabile. “Oh vita, oh vita mia…”. Beati loro, e peccato per qualche scemo della curva A, proprio accanto a noi, che trova il coraggio nel pieno del trionfo di cantare “figlio di…” a Cristiano Lucarelli, di augurarsi il ritorno in serie B della Samp e (dulcis in fundo) di fischiare “Oh vita mia” contro il resto dello stadio. Roba da psichiatria, purtroppo. Napoli è la lontananza dalla Samp di Alessio, un ragazzo di 25 anni, partenopeo del Vomero, professione rappresentante non so di che cosa. Trasferte intime e impossibili come quella di domenica scorsa regalano incontri come questi. Arriva allo stadio con le stampelle e la felpa SAMPDORIA: dall’italiano pulito e pettinato che sfoggia fin dal primo approccio capisco che lui con la Sanità non ha niente a che vedere. Durante il secondo tempo ci ritroviamo accanto, anneghiamo insieme nella goleada di Fuorigrotta.

Poi, a fine partita, Alessio si offre per fare da guida a me e a un altro lupo solitario di Genova nella non facilissima operazione di allontanamento dallo stadio San Paolo. Ci carica in macchina, con le stampelle si mette alla guida. “Lo so, non potrei”. Ma figurati, e poi siamo a Napoli no? Durante il tragitto nel magma del traffico impazzito in stile vittoria dell’Italia ai Mondiali, cominciamo a scambiarci flash e aneddoti blucerchiati. La galleria di Mergellina, lungomare Caracciolo, le luci della sera, vedi Napoli e poi muori. Finché Alessio non mi spara la bomba: "Sai, sono abbonato alla Samp". All'inizio non ci voglio credere. Poi comincia a elencarmi orari di treni, tragitti notturni, coincidenze, luoghi di Genova. E allora comincio a pensare che sia vero. Ottocento chilometri all’andata e ottocento a ritorno per ogni partita. Da solo. Non so voi, ma dopo le cessioni di Cassano e Pazzini io ho trovato il mio nuovo idolo. La Sampdoria siamo noi. [tommaso giani, tifoso sampdoriano]


uccellacci e uccellini


vittime

Giovedì 27 gennaio si è celebrata la giornata della memoria, in ricordo di quando, nella stessa data di molto tempo fa le truppe sovietiche aprirono i cancelli di quello che divenne da allora in poi sinonimo di orrore: quelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, dove si consumò gran parte della "soluzione finale" nazista al problema ebraico in Europa, e dove trovarono la morte una parte consistente dei sei milioni di ebrei ufficialmente registrati. Altrettanto numerosi furono i dissidenti politici, ma anche molti cristiani di tutte le confessioni, testimoni di Geova, omosessuali, zingari, il cui numero esatto di vittime ingoiate dal loro olocausto, il porrajmos, non è certo, sono vittime dimenticate.

Ricordare è giusto, ma se si onorano le vittime di ieri, è giusto non dimenticare i tanti olocausti silenziosi o più o meno rumorosi che a scadenze alterne o quotidianamente si consumano più o meno lontano da noi. Solo vent'anni fa a quarant'anni dalla seconda guerra mondiale e dalla scoperta dei campi di concentramento, nella ex Jugoslavia si è svolto il più grande massacro dei Balcani, quando si sperava che mai più in Europa si assistesse a pulizie etniche, poi il Ruanda con il massacro tra tutsi e hutu, favorito anche e soprattutto dagli interessi della grandi potenze ex coloniali, in particolare Belgio e Francia, e poi il Sudan, la Somalia.

Perché la memoria non diventi vuota retorica, cerchiamo di non commettere l'errore di non vedere, come fecero tutti allora. Altre leggi razziali si stanno attuando sotto i nostri occhi: in Italia, dove un governo influenzato dall'ideologia becera della Lega Nord, ha imposto leggi inumane che vanno contro ogni buon senso e contro ogni norma del diritto, Sarkosy in Francia, che ha deciso la deportazione (è il caso di dirlo) indiscriminata di molti rom, tutto in nome di un concetto di sicurezza che mira più a scatenare guerre tra poveri, che al vero interesse della cosiddetta società civile, tutto per difendere il posto privilegiato alla tavola del benessere, quasi come in un senso di assedio come raramente è capitato nella storia dell'umanità, forse come deve essere capitato nel passaggio dal mondo antico all'età di mezzo.

Come dimenticare i bambini del campo rom del Triboniano a Milano, che un giorno sono stati sfrattati con le ruspe, e che un gruppo di maestre coraggiose e appassionate della loro missione (si, perché insegnare non è un lavoro come gli altri), erano riuscite a portare a scuola. Cosa penseranno quei bambini? Che sono condannati ad essere per sempre ai margini per il fatto di appartenere ad una razza "sbagliata"? E che dire dei barconi di disperati respinti in Libia, e senza che spesso vengano soccorsi? E' per queste nuove vittime della storia che è nostro dovere vigilare, affinché non venga fatta anche a noi la domanda che abbiamo fatto ai nostri padri e nonni: " e voi, che cosa avete fatto?" [vincenzo minei]