fine anno alla scuola







natale è sempre natale


pranzo a badolato

Questo weekend siamo andati in Calabria, a Badolato, un paese arroccato sul cucuzzolo di una montagna. Le bellezze dell’Italia non le racconto io per la prima volta: scenario incantato, clima perfetto anche in inverno, insediamenti medievali, panorami e colori bellissimi. Io, Sara e Caterina siamo partiti con Tiziana e Roberto. A casa di quest’ultimo ci ha accolto una famiglia allegra, cordiale, che per tutto il tempo non ha fatto altro che giocare con la piccola Caterina. Non è di questo però che intendo parlare, ma della straordinaria scorpacciata fatta, in stile “Grande Abbuffata” con tocco calabrese.

Arrivati alle ore 23, una decina di persone ci hanno accolto con una tavola imbandita di ogni ben di dio. Faccio fatica a mangiare la carne, ma era praticamente impossibile rifiutare l’accoglienza. Il rito era preparato per la convivialità, commensali pronti per la conoscenza, per lo scambio, per la comprensione. Tutti a parlare in calabrese stretto, noi spesso in napoletano verace, l’allegria di vivere attraverso relazioni reciproche, attraverso la famiglia che si completa senza distinzione di “ceto”.

Il giorno dopo si festeggia l’ottantaseiesimo compleanno del nonno ed i quattro anni di una delle nipoti. Doppia festa, doppia generazione, triplici ruoli che si integrano, che si forgiano nel passato e nel presente, tradizione che si rispetta attraverso il nuovo che prende corpo, che diventa altro senza distruggere le tradizioni. Qui la straordinarietà del cibo mi ha letteralmente “affatturato”. Una quarantina di persone di ogni età intorno ad una tavola semplice e in parte traballante, non tutti hanno avuto la fortuna di sedersi. Dopo gli auguri di rito le donne hanno portato a tavola: mulingiani sutt’ogliu, carciofini selvaggi, allivi niri e allivi giarra, cuccuzzi spinusi sutt’ogliu, vrascioluni e carna. Dopo mangiato la prima volta hanno riportato tutto daccapo con in più mulingiani chini, baccalà, posirha e cicori, vrascioli e risu, sarsizzi e capicorhu.

La sera stessa siamo andati dal fratello di Roberto che festeggiava, con in più un’altra famiglia, il compleanno della figlia. A tavola c’erano dolci fatti in casa di ogni genere e per ogni gusto. Attaccati a quest’ultimi la pancetta, la soppressata, gli allivi ecc, ecc. La cosa che mi ha strabiliato maggiormente è la rapidità nel trangugiare tutto ciò che di commestibile era previsto. Dieci ore circa per preparare il tutto e un quarto d’ora per finire e fare piazza pulita senza lasciare nemmeno una briciola di pane. Mi sono entusiasmato così tanto della convivialità che mi risultava difficile mangiare come di solito faccio. Ho assaggiato il primo piatto misto di tutto il possibile servitomi da Roberto. In tre minuti ho fatto fuori tutto. Mi ha consegnato un altro piatto che dovevo portare a Sara, ma non è stato possibile, la frenesia degli astanti mi ha fatto dimenticare che mia moglie stava allattando digiuna: ho fatto fuori anche l’altro piatto senza accorgermene. Tutti erano felici e dopo poco anche spariti per poi ritornare dopo 20 o 30 minuti per la torta di compleanno.

Dialetto, cibo, famiglia, relazioni e naturalità. Per un giorno e mezzo circa sono stato proiettato in un libro di Carmine Abate. Un “mosaico del tempo grande” che definisce la sua volontà attraverso la genuinità dell’alimento; come i rapporti di vita e di storia che riconfermano la volontà di rimanere dentro, attaccati ad un pezzo di passato, così anche il passato che ritorna, che vive, così come vivono le sue consuetudini, pezzi di armonia che bramano la riconquista della purezza fatta come si fa u’ cunfettu cu a giugiulena. [+blogger] 

diritto di cittadinanza













l'essenziale è invisibile agli occhi

Ancora una volta e per l’ennesima volta mi sono ritrovata  in una discussione, questa volta con un signore di Varese, a proposito di Napoli. Dopo la solita frase “ Napoli e’ una bella città peccato che…” ho dovuto “subire” la lista conosciuta dei luoghi comuni: la città bella ma la gente incivile, il Napoletano furbo , talmente furbo che si inventa la maglietta con la finta cintura di sicurezza, “Le Iene” hanno fatto uno speciale , (come non credere alle iene !) che mostra come a Pompei le guide abbiano tutte  il tesserino falso, il problema dei rifiuti  e questo gravissimo problema del Napoletano che è  fondamentalmente incapace di capire cosa sia la raccolta differenziata.  Dimentico qualcosa? Si, sicuramente ma meglio cosi’ (il mio cervello resetta sempre il peggio, meccanismo di difesa )

Mentre cercavo invano di smantellare questi luoghi comuni, (guarda veramente, non ho mai visto nessuno con questa maglietta con la finta cintura, ma forse Napoli e’ sporca , ma sara’ anche per la cattiva manutenzione o dei pochi mezzi a disposizione per pulire le strade no?, la mia famiglia continua a fare raccolta differenziata nonostante non ci sia un ciclo di smaltimento che rende possible un vero riciclo dei rifiuti… eppure perseveriamo ecc ecc) mi arriva come una pioggia fredda la frase finale e totalizzante: “ Si, lo so ma questo e’ un problema vostro , non volete ammettere che queste critiche sono la pura Verità”. La Verità, con la V maiuscola e  il detentore della Verità , il signore di Varese.

Ero ad una cena di lavoro, stanca e con la mente non lucida e ho smesso subito  di combattere. Tanto mi sono detta, queste convinzioni si avvicinano piu’ a delle credenze  che alle conoscenza. E’ come spiegare ad un superstizioso che il gatto nero, il povero ignaro gatto nero, non ha mai portato sfortuna a nessuno, puoi portare tutte le prove scientifiche del caso ma non servirebbe a nulla! Pero’ poi qualche tempo dopo questa discussione mi ha fatto riflettere.  Anche a me è capitato di fare feroci critiche alla mia città: “ma che mass r’incivile, ‘o Vesuvie l’avessa rasà  sta città, Ma che gente assurda!  ma che gente arretrata!“, e  a quanti amici napoletani ho sentito formulare le stesse critiche, ed io lì ad annuire, “sì, veramente, che città di me…” Allora mi sono  sono chiesta il perché non sia innervosita  da queste considerazioni quando è un napoletano che le esprime. Forse perché: “solo un napoletano può criticare Napoli?" Non e’ solo questo.

Adesso lo so , se fossi stata più lucida quel giorno avrei detto al signore di Varese: “Sa, anche i napoletani criticano ferocemente la citta’ dove vivono, e “sopravvivono” , ma la differenza è che… bhé, faccio un esempio:  immagini che stasera le capiti di incrociare una donna per caso,  è brutta, volgare, fuori luogo, fra sè e sè lei pensa : “che cattivo gusto, quant’e’ brutta, ma come si veste, ma quanto e’ stupida ecc, ecc…”  Ecco, adesso immagini una situazione completamente diversa : un litigio con sua  moglie, oppure, una persona che ama, un litigio scaturito  per un motivo o per un altro, perché  qualcosa è capitato  che l’ha innervosita - allora succede che si arrabbia con questa persona,  le viene  «il sangue amaro», le dice: “ma quanto sei stupida” (ma bisogna sempre evitare di dirlo, non e’ chic), o “mi hai fatto fare una brutta figura“, con “questo vestito sei troppo volgare”, “sparisci, non ti sopporto stasera“…  Le due critiche sono simili eppure è indubbio che  nascono da e con  spirito diverso.


La prima e’ una critica fatta senza conoscenza, una critica basata sull’apparenza e quindi  formulata nell’ignoranza. E soprattutto non le cambierà la vita, il giorno dopo la donna degna di critiche l'ha  già dimenticata. La seconda critica invece, è una critica di rabbia, di insoddisfazione, deriva dalla conoscenza e dalla consapevolezza che la persona che ama non si valorizza, potrebbe essere migliore, ma  non ci riesce (ai suoi occhi). Questo tipo di critica seppur formulata con rabbia ha comunque il pregio di portare in sé qualcosa di importante: il desiderio di un cambiamento. E' una critica sì, ma è anche una rivolta, è  allo stesso tempo un desiderio, un rimpianto e un rimorso. Le due critiche possono essere simili nella formulazione, ma è  l’amore che si porta nella critica che le differenzia.  Ecco, caro signore, l'essenziale.  Non si vede, ma si sente.-  "L'essenziale è invisibile agli occhi" dice il piccolo principe nel racconto di Saint Exupery. [l. f.] 

paghe a somma zero

Se trent’anni fa mio padre guadagnava un salario di 1milione e 300milalire, l’equivalente dei  circa 800 euro dei contratti che attualmente ti offrono, sempre nelle migliori ipotesi, questo vuol dire che non solo il nostro paese in tutto questo tempo non è avanzato, ma che è tornato indietro sottraendo lavoro e ricchezza, un gap degenerativo a somma zero. Per i salariati e tutti i nuovi contratti, la busta paga si calcola così: 1+1 = 1 oppure 1+1+1 = 1. Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha detto che per mantenere il posto di lavoro il calcolo dello suo stipendio è stato fatto in questo modo: 1+1 = 0. Mi spiego meglio.

Nella ditta dove lavora è arrivata una comunicazione informale: “i dipendenti devono rinunciare volontariamente al contratto stipulato precedentemente per firmarne un altro”. Quest’ultimo impone ai lavoratori 30 ore settimanali rispetto alle 40 previste dall’altro. Tutti hanno dovuto accettare per forza questa nuova imposizione previo licenziamento. La cosa più “interessante” è che non solo alla fine del mese hanno visto diminuire del 25% la loro paga (senza discriminazione, da chi prendeva un stipendio di 1500 euro all’apprendista che ne prendeva solo 600), ma in realtà hanno continuato a lavorare per 8 ore al giorno e per 5 giorni settimanali.

Questa nuova forma di lavoro “partecipato” ha una sola univoca caratteristica: è legittimo. Oggi giovani laureati se non hanno una sacrosanta “raccomandazione” (anche se questa sta perdendo i suoi presupposti originari), sono costretti ad accettare paghe di 400 o 500 euro al mese. Diciamo che ci si può anche accontentare se non fosse per le parole di un saggio senatore della repubblica che qualche anno fa ha dichiarato su radio24 che “…15mila euro al mese non bastano per vivere e fare la vita da politico”.


Se la nuova o vecchia classe imprenditoriale, se i ministri e i sottosegretari e se le leggi che regolano il mercato hanno in se i germi della disuguaglianza (anche questa parola sta cambiando i suoi “connotati”), quello che ci deve mettere in guardia maggiormente è la norma che definisce e che può rendere ovvio anche le assurdità.  Offrire uno stipendio da fame attualmente è legittimo specialmente se negli affari si coinvolgono i poveri. Se dietro un lavoratore ce n’è un altro che accetta questo stato di cose è assurdo prendersela con quest’ultimo anche se è normale accusarlo. Questa normalità è diventata regolare, tantoché gli stipendi non si elargiscono secondo i propri bisogni ma secondo le proprie aspettative (figuriamoci se parliamo di lavoro fatto con la forza fisica… anatema). Se dopo 30 anni torniamo indietro di 30 anni vuol dire che L’Italia è rimasta ferma  nel 1950. [+blogger]                        

per lo ius soli

INSIEME PER LO IUS SOLI: NASCERE IN ITALIA E NON ESSERE ITALIANO

INIZIATIVA DEL FORUM ANTIRAZZISTA DELLA CAMPANIA

SABATO 7 DICEMBRE 2013 DALLE ORE 16,00 AL TEATRO SAN FERDINANDO PIAZZA  EDUARDO DE FILIPPO NAPOLI


Il Forum antirazzista della Campania organizza un evento il 7 dicembre 2013, alle ore 16,00,  al Teatro S. Ferdinando, in piazza Eduardo de Filippo, per rilanciare la campagna per lo IUS  SOLI. Vi parteciperanno la ministra per l'integrazione Cécile  Kyenge, lo scrittore Erri De Luca e il missionario padre Alex Zanotelli, insieme ad artisti.

L'obiettivo della serata è un dibattito pubblico sul tema dello Ius Soli : il diritto di cittadinanza italiana per i figli di genitori stranieri nati sul suolo italiano, per forzare il nostro Parlamento all'approvazione di una legge in merito. I ragazzi/e nati/e in Italia da genitori stranieri sono circa 600.000 , vivono nel limbo dei diritti in questo paese.
Per questo il Forum antirazzista della Campania invita tutta la cittadinanza a mobilitarsi, per difendere il diritto di cittadinanza di questi nostri ragazzi/e nati/e in Italia da genitori stranieri.

Chiediamo a tutti i gruppi, comitati, reti, associazioni di Napoli e Campania impegnati contro il razzismo a mobilitarsi, perché finalmente il principio dello Ius Soli diventi legge in questo nostro paese. Per maggiori informazioni contattare Louis: elbi77@hotmail.com

azzardo

Il gioco d’azzardo è una piaga sociale che coinvolge persone di qualsiasi età, rango e posizione. Questo fenomeno dilagante porta alla distruzione di singoli individui e di intere famiglie.“Giocatori anonimi” offre aiuto a tutti coloro che sono determinati a smettere con il gioco, l’associazione Gamanon, invece riguarda le famiglie e gli amici dei giocatori, inoltre, svolge un ruolo fondamentale nel riconoscimento del gioco come malattia e a relazionarsi con questo problema. Ci sono mamme, mogli e sorelle, figlie, amici che entrano in Gamanon con enormi difficoltà, sia psicologicamente che economicamente. I familiari dei giocatori, nel gruppo, riescono a trovare accoglienza, ascolto, conforto e comprensione riguardo la malattia che è entrata a far parte della loro vita.

Mi chiamo Antonella e sono moglie di un giocatore d’azzardo, mio marito giocava da molti anni ed in casa le discussioni erano all’ordine del  giorno. Io lavoravo tutta la giornata per far fronte alle spese e ai bisogni dei miei due bambini, ma chiaramente non riuscivo ad arrivare alla fine del mese a causa dei numerosi debiti di mio marito. La mia vita era diventata un inferno fino al punto di pensare di andar via nonostante non avessi mai avuto il coraggio. Non riuscivo a parlarne con nessuno perché mi sentivo giudicata e oltretutto provavo un forte senso di vergogna. L’unico mio scopo era quello di far smettere di giocare mio marito, pregavo, piangevo, mi arrabbiavo e lo minacciavo affinché ciò accadesse ma senza risultati; sentivo solo di aver fallito sia come moglie che come madre perché di tutto questo ne risentivano anche i miei figli. Un giorno trovai il coraggio di parlare con un sacerdote il quale mi indirizzò in Gamanon. Sono ormai tre anni che partecipo alle riunioni e la mia vita è completamente cambiata e finalmente in casa è tornata quella serenità tanto sperata e fino a quel momento impensabile.

[Associazione Gamanon Campania con sedi Scafati, Portici, Napoli Via dei Cimbri, Napoli Via Supportico Lopez. Per contatti: 3886226880].

napoli non parla

Napoli non “parla”, Napoli non si ribella, Napoli è schiacciata dall’indifferenza e dalla delusione. Napoli, peggiore città: “Se l’Italia ha il raffreddore, Napoli ha la bronchite”. Sul “Venerdì” di Repubblica l’autore ci ha spiegato che adesso il capoluogo campano ha la polmonite, metafora che assicura un pò di gloria all’ex sindaco Jervolino sotterrando definitivamente De Magistris e la sua giunta. Nepotismo, malaffare, criminalità e mancanza di senso civico sono le definizioni che ricorrono nell’articolo, settimanale 1331 del 20 settembre 2013.

Su Economia e Finanza dell’8 gennaio 2012 si legge che le regioni più interessate dall’evasione fiscale con un netto incremento sulle altre sono la Lombardia e il Veneto. Tra le città, inoltre, dove si commettono più reati, in cima alla classifica ci sono: Milano (fonte: ilgiornale.it), subito dopo Roma, poi Torino, Napoli, Genova, Bologna, Bari, Firenze e Brescia (fonte: ilsole24ore.com). Il Nord Italia batte il Sud avendo più del doppio delle città incriminate. Anche se l’articolo su Venerdì di Repubblica parla della ribellione dei napoletani nei confronti dei nazisti, per contro di quella ribellione che invece adesso non c’è, l’infiammazione polmonare attribuita alla città partenopea fa male e, ancora una volta, non inquadra l’esatto problema né mette in luce le dinamiche che Napoli subisce da trent’anni a questa parte.

Mentre tutti urlano alla vittoria contro il 41bis la congestione tra politica e mafia/camorra si scioglie a suon di voti e raccomandazioni. A partire dal 1980 in poi il carcere duro infittisce la rete e sposa l’elettorato attraverso un’influenza criminale, sfruttando la povertà dei quartieri e delle periferie. Nel frattempo si organizzano anche le grandi città, cosicché le irregolarità diventano legittime. Questa legittimità è ormai evidente è ciò che sfrutta di più questo stato di cose sono i luoghi comuni.


Non dobbiamo cadere in questa trappola, è molto facile accusare e riservare nella storia un primato negativo, un primato che ci vede come l’ombelico del culo. Se Napoli ha una particolarità è anche perché tutti quelli che la leggono (eccezioni escluse), non hanno capito un cazzo. Fior di etichette pullulano nel marasma di una definizione, tanto che nemmeno i dati grezzi possono far cambiare idea. Se questa città è particolare è perché essa fa parte di una nazione particolare, di uno stato giovane che continua ad andare a votare solo perché da poco ha raggiunto la sua indipendenza. Perché il prossimo sindaco sarà di destra? Perché la gente in parte non ha capito cosa sia realmente la democrazia, se una forma di potere invisibile alle masse oppure un escamotage per sottintendere una stato dispotico che, per grattarsi i coglioni, ha bisogno delle mani dei lavoratori e dei più poveri. [+blogger]     

spazi froebeliano

Con la presente, la Commissione III Ambiente e Sviluppo del territorio, riunitasi in più sedute per discutere degli spazi interni all'Istituto Froebeliano, propone al Consiglio Municipalità 3, di destinare la struttura in oggetto, non solo ad attività di tipo artistico-culturale (che ne limiterebbe l'utilizzo a specifici eventi una tantuum), ma di aprire i locali alle associazioni e ai comitati di cittadini, al fine di garantire un profitto sociale ed un uso 365 giorni l'anno della struttura. Si allegano di seguito, approfondimenti e valutazioni che ci hanno portato a strutturare la presente proposta.

Premessa
Dinanzi ad una crisi economica devastante e a nuove trasformazioni sociali e culturali, in un territorio come quello storico di Capodimonte e rione Sanità, dimenticato e sottovalorizzato più che mai, bisogna ripensare ai non luoghi affinché tramutino in luoghi, capaci di affrontare e superare i problemi della caduta del senso di appartenenza dei segmenti della società più fragili, per una rinnovata capacità di essere strumento di promozione sociale e culturale. 
In questo processo e trasformazione le istituzioni devono essere osservatori attenti e sostenitori. Tale convinzione nasce da un’analisi della realtà che viviamo che possiamo racchiudere nei seguenti punti:  la generale impossibilità di dare risposte ai bisogni che stanno alla base dell'esistenza individuale: la conoscenza, la critica culturale, la comunicazione, la sicurezza della collocazione sociale, l'emancipazione dalle forme di sfruttamento materiale e culturale; la parzialità ed il limite delle scelte di pura resistenza attuate attraverso la ricerca di aggregazioni di soggettività apparentemente omogenee: i giovani, gli emarginati, gli anziani e tutti coloro che vivono una condizione di estrema instabilità socio economica; la totale carenza di spazi e strutture a disposizione.

PROPOSTA PROGETTUALE FROEBELLIANO “CENTRO POLIFUNZIONALE INTERGENERAZIONALE”
Pensare ad un progetto per Napoli vuol dire ragionare in termini di processi (culturali, sociali, aggregativi) da attivare e di strutture da potenziare e/o da realizzare, utilizzando in maniera condivisa e innovativa la progettualità di chi determinate problematiche le conosce e le affronta quotidianamente.  Il progetto elaborato è un percorso da intraprendere infatti con i comitati di quartiere, le associazioni, i  cittadini e quanti vogliano partecipare, tenendo conto del carattere multidisciplinare del loro agire e prevedendo la collaborazione tra più settori al fine di integrare differenti discipline ed elaborare soluzioni organiche di interventi. Lo spirito che sta alla base di questo progetto è infatti la messa in rete di conoscenze e know how maturate dalle organizzazioni  che aderiranno, impegnate sul territorio con diverse progettualità e diverse competenze, le quali se integrate in una cornice progettuale unica, possono trovare una sintesi e diventare uno strumento di empowerment reale per la cittadinanza.

 OBIETTIVI GENERALI
Incentivare il processo di formazione di una cittadinanza attiva e consapevole, in grado persino di ripensare la città, promuovendone un'etica sociale ampiamente condivisa con politiche di sviluppo bottom-up. Attraverso l’implementazione delle specifiche azioni e con "la presentazione di buoni esempi", si inviteranno i cittadini tutti, ad acquisire la consapevolezza della necessità di essere/diventare cittadini protagonisti.

OBIETTIVI SPECIFICI
Promuovere e favorire il dialogo intergenerazionale attraverso il meltingpot generazionale nelle attività previste;  Coinvolgere i cittadini in una rivisitazione critica dell'utilizzo degli spazi urbani in degrado o in disuso a tutela dei bisogni sociali, ambientali ed economici della comunità stessa e del patrimonio storico, artistico e culturale della città; Sperimentare l’attivazione di laboratori tematici, servizi per la cittadinanza, giovani, anziani, bambini, studenti fuori sede, turisti ed immigrati.

AZIONI
Di seguito le azioni programmabili che vedrebbero la partecipazione e il contributo delle numerose organizzazioni che fanno parte del territorio: Biblioteca pubblica, provando a trasferire all’interno della struttura le biblioteche Angiulli e Flora. Integrare lo studio adibendo il locale libreria ad aula studio capace di accogliere la sempre crescente richiesta di spazi per i numerosi studenti del territorio. Creazione della banca dei libri di testo; Sala riunioni e convegni dove ospitare tutte le organizzazioni che hanno necessità di un luogo dove potersi confrontare, organizzare eventi pubblici (prestazione di libri, docufilm, mostre d'arte, fotografiche, eventi musicali, spettacoli teatrali, etc) dibattiti, proiezioni; Attività ginniche, per tutte le età. Tra le possibili attività : corsi di difesa personale, risveglio muscolare e ginnastica dolce per terza età, balli di gruppo, yoga, danza contemporanea, etc.. In più attività associazionistiche specifiche come tornei carte, dama, scacchi,  etc; Laboratori di creatività urbana, laboratori di artigianato e antichi mestieri per avviare percorsi di dialogo intergenerazionale alla ricerca di nuove opportunità di lavoro, laboratorio di riciclaggio creativo, attraverso il riutilizzo dei materiali; Dialogo interculturale, favorendo l’integrazione dei migranti e valorizzare la propria esperienza di cittadini attivi. Corsi di lingua straniera e italiana per migranti. Si propone inoltre di destinare, chiaramente previo bando, un locale ad uso di un'associazione di protezione civile, al fine di ricevere in cambio la custodia e la tutela del bene stesso. [la commissione III ambiente e sviluppo del territorio]

dentro eduardo

Ieri (31/10/2013) nessuno si è ricordato che sono passati ventinove anni dalla morte di Eduardo de Filippo. Il più grande drammaturgo di tutti i tempi ignorato, dimenticato dai grandi network nazionali. Eduardo ha smontato le tesi dei grandi scrittori, con il suo teatro e la sua filosofia ha buttato i grandi pensatori di "Napoli" nella più viva depressione culturale. Osteggiato perché aveva visto più lontano degli altri oggi invece... il silenzio c'assale. Noi lo ricordiamo così. 


chiude il poliambulatorio

No alla Chiusura DEL POLIAMBULATORIO di VIA CARLO DE MARCO
RIPRISTINARE LE PRENOTAZIONI: NON TAGLIARE UN SERVIZIO SANITARIO 
ESSENZIALE AL TERRITORIO; PROROGARE IL PIENO 
FUNZIONAMENTO DELL’AMBULATORIO 
FINO AL REPERIMENTO DI NUOVI LOCALI (DELLA REGIONE 
O DEL COMUNE) OVE TRASFERIRLO E RIQUALIFICARLO

Mentre proseguono le mobilitazioni degli utenti affinché il Poliambulatorio di via Carlo De Marco resti aperto e pienamente funzionante,
VISTO CHENESSUNO DEGLI ATTI 
ISTITUIZONALI DELLA MUNICIPALITA’, NESSUNA 
INIZIATIVA DI MOVIMENTO E NESSUN INCONTRO 
CON/TRA LE ISTITUZIONI 
HA OTTENUTO ANCORA ALCUN RISULTATO 
UTILE ALLA CITTADINANZA; NONOSTANTE 
il cosiddetto fitto passivo di 120.000 euro 
l’anno sia molto ben compensato dai ticket 
e altri tributi per oltre 200.000 euro annui, che entrano nelle casse del Poliambulatorio 
ASL di via Carlo De Marco;
NONOSTANTE la Regione disponga di un patrimonio immobiliare (es. le 54 palazzine vuote dell’ex ospedale “L. Bianchi”) e/o possa ottenere dal Comune in comodato idonei locali ove trasferirvi il Poliambulatorio;
CONSIDERATO CHE
la cittadinanza - in nome della quale le Istituzioni governano - ha più volte affermato, scritto, gridato che
LA CHIUSURA DEL POLIAMBULATORIO DI VIA CARLO DE MARCO È 
UN VIOLENTO ATTACCO AL DIRITTO ALLA SALUTE PERCHÈ 
COSTRINGERÀ OLTRE 30.000 UTENTI (BAMBINI, ANZIANI, MALATI, 
INVALIDI) A TRASBORDI PRESSO AMBULATORI LONTANI 4 – 5 
CHILOMETRI ALMENO;
il consigliere della Municipalità 3 Stella San Carlo all’Arena del Comune di Napoli,
Francesco Ruotolo
in rappresentanza dei bisogni e dei diritti della cittadinanza di questa Municipalità
ha iniziato
alle ore 8 di martedì 29 ottobre 2013
 UN DIGIUNO NONVIOLENTO
presso l’ingresso del Poliambulatorio, ripromettendosi di continuarlo fino 
a tutto il 31 ottobre, ultimo giorno di apertura del Poliambulatorio

AFFINCHÉ  in questo momento decisivo in cui sembrano non esservi provvedimenti in sintonia con
 la volontà popolare, ignorata e calpestata,
QUESTO ATTO
di servizio alla Cittadinanza, costituisca
L’ESTREMO APPELLO ALLA COSCIENZA, ALLA SENSIBILITÀ POLITICA ED UMANA
del Presidente Stefano Caldoro, del Direttore generale Ernesto Esposito e del Sindaco Luigi De Magistris, affinché si proroghi il funzionamento del Poliambulatorio in via Carlo De Marco, per consentirne il trasferimento – nei tempi necessari – in idonei locali, in prossimità degli oltre 30.000 utenti. Napoli, 29 ottobre 2013 [francesco ruotolo]

abisso ecologico

Stiamo andando nel silenzio generale verso un altro importante appuntamento internazionale: la Conferenza delle Parti (COP 19) che si terrà a Varsavia, 11-12 novembre. Eppure non c’è nell'agenda dei nostri politici. E questo nonostante il quinto Rapporto IPCC ( Panel Internazionale per i Cambiamenti Climatici) presentato a Stoccolma il 27 settembre scorso  e frutto di una ricerca scientifica durata sei anni. Il Rapporto afferma che la concentrazione di CO2 (anidride carbonica) nell'atmosfera è al limite di guardia e tra dieci anni saremo fuori dall'area di sicurezza. Le emissioni di gas serra continuano a crescere del 2-3% l’anno. Andando avanti così, gli scienziati dell’IPCC dicono che , a fine secolo, la temperatura potrebbe arrivare a 5,5 gradi. Gli scienziati indicano anche le cause responsabili  di questo processo: i combustibili fossili (petrolio, carbone e metano) e la deforestazione. E la comunità scientifica concorda che la colpa è dell’uomo.

Il clima è impazzito e la Madre Terra non sopporta più il più vorace degli animali: l’uomo. Ci attende una tragedia con conseguenze devastanti per l’umanità(scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, tempeste come Sandy, centinaia di milioni di rifugiati climatici). E’ in atto un biocidi, un genocidio. “Moralmente noi abbiamo sviluppato una risposta al suicidio, all'omicidio, al genocidio - ha scritto il teologo ecologista Thomas Berry - ma ora ci troviamo a confrontarci con il biocidio, l’uccisione di sistemi vitali, e il genocidio, l’uccisione del Pianeta Terra nelle sue strutture vitali e funzionali. Queste opere sono un male maggiore di quanto abbiamo conosciuto fino ad oggi, male per il quale non abbiamo principi né etici, né morali di giudizio. Una semplice dottrina della custodia del creato non sembra più adeguata per affrontare problemi così gravi.”  E’ una situazione che interpella tutti, credenti e non. Giustamente lo stesso Berry afferma che “la più significativa divisione tra gli esseri umani non è basata né su nazionalità né sull'etnia né sulla religione, ma piuttosto è una divisione fra coloro che dedicano la loro vita a sfruttare la terra in una maniera deleteria, distruggendola, e coloro che si dedicano a preservare la terra in tutto il suo naturale splendore.”.  Credenti e non sono convocati oggi nella storia a un salto di qualità per affrontare una situazione così grave e minacciosa. E’ in ballo la vita, è in ballo il futuro dell’umanità.

Lo stiamo toccando con mano qui in Campania, una terra avvelenata da rifiuti tossici, dai  fuochi di materiali tossici, dalle megadiscariche… Noi stiamo morendo di tumori, leucemie.  Lo stiamo toccando con mano a Taranto avvelenata dall'inquinamento industriale, con quasi novemila malati di cancro, con piombo nel sangue dei bambini e diossine nel latte materno. Nel microcosmo osserviamo quello che avviene nel macrocosmo: la Madre Terra è violentata, avvelenata, degradata; non sopporta più la specie umana.

Sono però profondamente convinto che ce la possiamo fare partendo dalle nostre realtà locali. Per questo c’è bisogno di un grande lavoro di informazione e coscientizzazione che porti a una rivoluzione culturale (è agghiacciante il silenzio dei media su questi temi!). Una rivoluzione culturale che chiede a tutti: stile di vita più sobrio ed essenziale; riciclaggio totale dei rifiuti ,opponendoci agli inceneritori; bilancio energetico nazionale che riduca del 30% le emissioni di gas serra entro il 2020; sostegno al Piano della Commissione Europea che prevede una riduzione per tappe dell’80%delle emissioni di gas serra entro il 2050; un fondo per le nazioni del Sud del mondo per fronteggiare i cambiamenti climatici,  ricordando il nostro debito ecologico nei loro confronti.


E’ partendo da queste basi che dobbiamo mobilitarci, dal basso, come cittadinanza attiva, per forzare i governi e la politica a una svolta epocale. Purtroppo in questi anni abbiamo in larga parte fallito sia a livello locale che nazionale ed internazionale. Basterebbe, a livello mondiale, ricordare il fallimento delle varie Conferenze delle Parti (COP) sui cambiamenti climatici, da Copenhagen (2009) a Durban (2010), da Cancun (2011) a Doha (2012). Il prossimo appuntamento importante sarà a Varsavia dove si terrà la COP19 (11-12 novembre 2013). Dopo un Rapporto così duro dell’IPCC sulla situazione climatica del Pianeta, non possiamo accettare un altro fallimento a Varsavia. L’IPCC afferma che il disastro ambientale potrebbe essere evitato se in pochi anni si dimezzassero le emissioni di gas serra causate dall'uso di petrolio, carbone e metano. Ma manca la volontà politica per farlo. Infatti dopo il fallimento del vertice del 2009 a Copenhagen i governanti si sono affidati agli impegni volontari di riduzione del CO2, rimandando al 2020 una cura più efficace… “Proseguendo su questa strada- ha scritto il teologo della liberazione Leonardo Boff - ci troveremo di fronte, e non manca molto, a un abisso ecologico. Come ai tempi di Noè, continuiamo a mangiare, a bere, e ad apparecchiare la tavola del Titanic che sta affondando. La casa sta prendendo fuoco e mentiamo agli altri dicendo che non è niente.” [Alex  Zanotelli]

"che sarà di san severo"

“Che sarà, che sarà, che sarà… che sarà di San Severo chi lo sa!”. Cantavo questa canzone, insieme con i miei amici della parrocchia, quando don Michele e don Giuseppe Rassello ci informarono che il mandato parrocchiale era finito e che entrambi erano stati assegnati a luoghi differenti. La basilica di San Severo prima del loro arrivo era pressoché abbandonata. Negli anni ‘80/90, invece, divenne uno splendore: i due preti riuscirono a mettere su attività straordinarie e rivoluzionarie come il campeggio estivo, le attività ludiche, il doposcuola, una mensa per i poveri. Ricordo che molte persone che visitavano il quartiere cercavano di conoscere e capire chi erano questi due uomini che stavano “trasformando” le abitudini della gente del rione. La piccola catacomba divenne attrazione straordinaria, così come un gruppo enorme di giovani e giovanissimi. Io appartenevo a quello degli adolescenti, eravamo circa 100, poi c’erano i grandi e i bambini. Per circa 10 anni nel rione Sanità la Basilica di San Severo divenne un simbolo per gli abitanti del quartiere, così come i parroco e il suo vice.


A vederla adesso non si direbbe, gli annali “illustri, nobilissimi e perfetti da fare invidia a principi e reali”, sono scomparsi del tutto. Il piccolo cortile antistante la basilica è stato trasformato in campo di calcetto. Il portale della chiesa è semidistrutto, dalla facciata cadono calcinacci e pezzi di intonaco in bilico, colpa delle pallonate e dell’incuria. Non è che io sia un fautore della bellezza, di Basiliche a Napoli ce ne sono tante, ma la tristezza mi assale nel momenti in cui attraverso la piazzetta, un tempo ricca di ragazzi e ragazze, oggi lasciata in “agonia”. Dietro, Salita Cinesi, infestata dai continui rifiuti ingombranti. Quando si entra pezzi di umidità scrostati invadono la navata centrale. Ricordo che don Giuseppe Rassello diceva sempre: “questa basilica è viva”. Oggi invece è in fin di vita e muore in una eterna agonia. Non mi interessa spendere tanti soldi per restaurarla, per me può restare anche così, meglio investire risorse in un altro modo. Questo che ho scritto è solo un ricordo nostalgico, un ricordo che mi fa pensare che anche tra le pietre c’è disuguaglianza. [+blogger] 

marechiaro non si tocca

Siamo venuti a conoscenza del fatto che in questi giorni è in atto una forte campagna di propaganda denigratoria contro il Centro di Marechiaro per fare in modo che una parte della struttura sia ceduta alla succursale della scuola Cimarosa di Posillipo. Rivolgiamo un appello al Sindaco De Magistris e all' Assessore al Welfare Gaeta affinché si opponga... no a manovre del genere.

Sarebbe un'ingiustizia cedere una struttura che da anni ospita in tutti i mesi dell'anno ragazzi provenienti da tutti i quartieri della città in particolare quelli di tutte le scuole, delle associazioni territoriali e parrocchie delle periferie degradate per destinarla ai ragazzi di cui la maggior parte VA A SCUOLA CON IL SUV e che abita un in un quartiere come Posillipo che è servito da molte altre scuole ampie e spaziose ed a poca distanza. 


MARECHIARO E' ED E' SEMPRE STATA DEI RAGAZZI DELLA SANITA', DI SCAMPIA DI PONTICELLI, DI BARRA, DI PIANURA, DEI TRIBUNALI, DI MERCATO. AI NOSTRI RAGAZZI QUESTA CITTA' HA GIA' TOLTO TROPPO!

Sosteniamo il gruppo Marechiaro nella battaglia per difendere il Centro. Scriviamo tutti sulla pagina Luigi De Magistris Sindaco di Napoli e Assessorato Welfare Comune di Napoli chiedendo a gran voce : Marechiaro non si tocca! [collettivo marechiaro]

francesco si è convertito

Francesco continua a fare dichiarazioni "shock": "le lobby gay in Vaticano, i preti che vogliono per forza diventare vescovi, la banca che non serve a nulla, bla, bla, bla...". Mi chiedo: chi sono questi gay destabilizzatori? E gli arrampicatori della fede? Perché, non capisco, chiudono lo Ior? Se un papa non vuole, come previsto, una stanza grande e dei servitori, perché non si stabilisce una volte per tutte di seguire il concilio vaticano II? A che serve girare in una utilitaria in Brasile quando il viaggio e l'organizzazione sono costati milioni di euro? 

Non servono dichiarazioni sensazionalistiche, roba da festival. Giovanni XXIII scrisse e produsse documenti (leggi), che nessuno ha mai seguito. Papa Luciani aveva già pronti degli atti ma tacque per sempre. Qualche giorno fa un prete mi ha detto: “ è vero, Jorge Mario Bergoglio quand’era vescovo ha taciuto la dittatura e nell’era Menem non ha praticamente fatto nulla, poi sembra che ci sia stata una conversione”. 

Se scendere dal piedistallo è uno slogan vecchio per infangare i cattolici, è pur vero che quest'ultimi non hanno mai fatto nulla per provare che il piedistallo è solo una invenzione mediatica. Se il papa si è convertito ai poveri meglio, ma un altro grande comunicatore proprio non lo sopporto. I mass media sono una cosa, la realtà è un’altra. [+blogger]

tra la vita e la morte


l'ossario chiarisce

Prendiamo atto della rispostadell’Assessore e del riconoscimento che si è trattato di un errore, naturalmente anche per noi la questione è chiusa. Non abbiamo nulla contro le diverse associazioni che a pagamento  fanno visite guidate al cimitero delle Fontanelle, anzi siamo fermamente convinti che il bene debba essere gestito in forma d’impresa culturale e dare lavoro. Proprio per questi motivi abbiamo deciso di limitare ad una sola visita mensile le nostre visite guidate gratuite.
Ciò nonostante riteniamo di dover cogliere l’occasione per rinnovare alcuni rilievi critici.  In primo luogo, nei confronti delle altre associazioni che, a nostro parere, attraverso le loro ripropongono stancamente quella visione della città cosiddetta postmoderna che si è affermata negli ultimi decenni: una Napoli decaduta, nell’immaginario collettivo, da città dei lumi, della musica e delle scienza a superstiziosa ed esoterica città della morte.  Ciò è per noi fonte di grande rammarico poiché, come noto, da tempo l’associazione I-care fontanelle si sforza di promuovere una diversa impostazione, finalizzata ad analizzare e comprendere il ruolo del cimitero nella più ampia vicenda storica della città. In secondo luogo e soprattutto, i nostri rilievi critici e il nostro rammarico si rivolgono nei confronti del Comune che, in modo costante attraverso le diverse amministrazioni, ha dimostrato di non voler affrontare il problema della gestione del cimitero e, più a monte, di rifiutarsi di prendere atto che si tratta di un cimitero, storico, ma pur sempre un cimitero. Inoltre le informazioni sul cimitero proposte dal sito del Comune sono a dir poco approssimative e ciò è un vero peccato, dato che si tratta di un sito istituzionale che avrebbe tutti gli strumenti, economici e culturali, per essere di alto profilo. Pigrizia, ignoranza. Forse solo superficialità.
Infine, cogliamo la disponibilità dell’Assessore a incontrarsi con le associazioni del quartiere sul futuro del cimitero delle Fontanelle. L’esperienza ci porta a essere scettici, ma con ottimismo e tenacia andiamo avanti. Il documento della Rete della Sanità, già a conoscenza dell’Assessorato, può fornire la base di un prossimo incontro. [Rocco Civitelli - Ass. I care ]


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Ho qualche dubbio sul primo punto.
Non sono molto d’accordo sul primo punto dell’articolo. In questo caso sarebbe meglio che se ne occupasse il Comune. Attraverso la sua gestione creare posti di lavoro e di responsabilità per il Cimitero delle Fontanelle. Già diverse e troppe associazioni hanno mostrato intenzione di voler occuparsene, di voler speculare senza averne le competenze e i permessi previsti. La dice lunga l’errore commesso sul sito del Comune di Napoli. L’assessore previsto deve assumersi la responsabilità istituzionale, per tali errori bisognerebbe dimettersi. Bisogna che i beni pubblici siano pubblici e non privati, come l’assurda gestione del sottosuolo di Napoli, del tutto impropria e illegale, che sta facendo arricchire una, due, al massimo tre persone. [+blogger]  

[s]miracolo italiano

Non so cosa credere maggiormente se al miracolo di san Gennaro oppure alle parole pronunciate ieri sera da Silvio Berlusconi. Sarebbe bello che tutti potessero avere la possibilità di fare quello che ha fatto l’ex presidente del consiglio, monopolizzare tre reti per difendersi da un terzo grado di giudizio. Ci sono ragazzini che marciscono in galera per aver commesso uno scippo, gente che lavora e che non viene pagata, sarebbe bello far parlare tutti quei “salariati” disoccupati o inoccupati (anche con la laurea) che ad un colloquio di lavoro si sentono dire: “400 euro mensili, una giornata intera di lavoro… c’è gente che è disposta a lavorare per meno”.

Ho chiesto anche io il miracolo a san Gennaro. Mio padre è stato licenziato diversi anni fa, dopo aver lavorato 40 anni con la stessa azienda, senza ricevere il trattamento di fine rapporto  né i contributi pensionistici. Ma purtroppo il sangue non si è liquefatto. La storia è più complicata e tragica ma avrò il tempo di scriverla (se ne avrò voglia) la prossima volta. La televisione ieri ha trasmesso la [s]democrazia in diretta, stamattina il [s]miracolo napoletano.


La passione, l’affetto, la verità si misurano con il consenso, così come lo schermo proietta la sensazione che migliaia, milioni di persone annuiscono come automi. Tutti dettano il proprio accordo, le riprese creano senso pacifico e di affratellamento così come, ad esempio, la telecamere accesa 24 ore su 24 sulla tomba di padre Pio. Quello di Berlusconi è un linguaggio seminatrice, è un  fallo di Priapo che crea la situazione magica. Il sangue di san Gennaro fa applaudire “inconsapevolmente”. La sintonia digitale è solo una sensazione, la realtà e il pensiero sono ben altro. Tutti possiamo credere a Berlusconi; tutti possiamo credere al miracolo del sangue; tutti possiamo lavorare per 400 euro al mese. Viva la libertà. [+blogger]                   

il credo a ma'lula

Stamane, al primo caffè, la tv parlava dei cecchini, che imperversano a Ma’lula, occupata dai ribelli siriani. Ricordo quella mattina, che ci arrivai. Montagne, nude come scogli infuocati, rosse di ferro. Grumi di case, cubi malconci di calce e mattoni, sgretolati dal vento, in bilico su crinali impossibili. Capre e capre a brucare erba invisibile. Un sole rovente, incessante, esasperante sul tuo corpo, che non ha più liquidi per sudare. Bambini dagli occhi enormi, muti, sorpresi di te, che ti seguono, tendendoti una mano che non sa chiedere. Si scende, per un viottolo, in una voragine infernale. Quale paura, quali orrori, spinsero i monaci a costruire un convento, così celato? Il Mar Sarkis ti ricorda che S. Sergio, come un'infinità di altri santi, è di qui. Paolo l'hai lasciato, a terra, a Damasco, fulminato da Dio. 

La Siria possiede più di un centinaio di insediamenti paleocristiani, a ricordarti che Gesù stava a pochi passi da qui. Il cristianesimo vive in un reticolo di musulmani sciti e sunniti, curdi, armeni. Il monaco, che ci accoglie, ci porta su, per gradini sconnessi, a una terrazza che dà sul azzurro del cielo. Il convento de Mar Taqla o santa Tecla è difronte, chiuso in caverne irregolari, quasi bocche fameliche. Il vento caldo del deserto lascia sabbia negli occhi e tra i denti. Il monaco mi porge un bicchiere d'acqua, che si appanna, tanto è fredda la sorgente, una verde fessura nella parete rocciosa della chiesa. - "É l'unico luogo, al mondo”, - ha una voce calda, in un italiano quasi perfetto, che sa stupirti – “dove si parla ancora l'aramaico dei tempi di Cristo. É tramandato solo oralmente. Ne abbiamo perso la grafia. Ora, sentirete dalla mia voce il suo Credo, con la sua stessa sonorità di linguaggio" Ricordo quel suono. [lucio paolo ranieri]

giù le armi

Per bloccare l’attacco alla Siria, per scongiurare il flagello di un’altra guerra, papa Francesco ci chiama domani 7 settembre a una giornata di preghiera e di digiuno. Un’occasione per ribadire al governo italiano il no all’acquisto dei caccia F-35 e a una spesa militare annua di 26 miliardi di euro. Il nostro dev’essere un “no” secco alla guerra in Siria. Dovremmo aver capito dalle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia e Mali che questi interventi armati, che hanno ucciso civili innocenti, donne e bambini, non hanno risolto nulla. Basta con la guerra! «L’intervento americano in Siria nasce nell’illusione di una “guerra lampo” – ha scritto il massimo poeta arabo, il siriano Adonis. Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata sia il regime siriano. La guerra è un’attrazione demoniaca».
Per questo ascoltiamo il grido accorato di papa Francesco: «Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione». Ed esorta la comunità internazionale «a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in Siria, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana». Anche noi oggi ci uniamo a papa Francesco e a tutti gli uomini/donne di buona volontà per dire “no” a un attacco militare contro la Siria che mieterebbe altre vittime innocenti oltre ai centomila morti e ai sei milioni di rifugiati siriani. «Troppi interessi di parte – ha scritto il papa al leader russo Putin – hanno impedito finora l’inutile massacro!».
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha già deciso l’attacco. Aspetta solo il consenso del Congresso. Non così il presidente francese Hollande che è già pronto. Purtroppo Obama è prigioniero del “complesso militarindustriale americano”(così lo definiva Eisenhower, presidente Usa negli anni ’50), che investe oltre 700 miliardi di dollari all’anno nella difesa. Queste armi servono a difendere lo stile di vita del 20% del mondo che consuma l’80% delle risorse del pianeta. La guerra è insita in questo nostro sistema di morte. Ma noi non ci rassegniamo, siamo anche noi prigionieri di quell’antico sogno del profeta Isaia: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, non impareranno più l’arte della guerra”.
Per questo, credenti e non credenti, ma amanti della pace, accogliamo l’invito di papa Francesco a digiunare, possibilmente insieme, davanti alle chiese o nelle piazze. E i credenti di tutte le religioni si ritrovino nelle chiese, nei luoghi di culto, nelle sinagoghe e nelle moschee, a pregare l’unico Dio, che è il Dio della vita e non della morte. Ma non basta pregare e digiunare se non ci impegniamo a costruire la pace nella quotidianità con un impegno serio. Noi italiani siamo chiamati a: accettare la nonviolenza attiva e viverla nelle nostre relazioni familiari, sociali, culturali, religiose; premere perché il governo italiano non accetti di partecipare alla guerra in Siria e non permetta l’uso delle nostre basi militari per questo attacco; rifiutare che il governo italiano spenda 26 miliardi di euro nella difesa come ha fatto lo scorso anno (3 milioni di euro ogni ora!); annullare l’acquisto dei 90 cacciabombardieri F-35, che ci costeranno 15 miliardi di euro; rifiutare che Sigonella (Sicilia) diventi la capitale mondiale dei droni e Niscemi (Sicilia) diventi il più importante centro mondiale delle comunicazioni militari.
Solo così questa giornata di preghiera e di digiuno potrà essere efficace e far ripartire con forza in questo paese, un movimento unitario per la pace (non è concepibile che le varie realtà che operano in Italia per la pace non riescono a creare un unico grande movimento!). La Pace può e deve sbocciare sulla faccia della Terra. [alex zanotelli - articolo del 6/9/'13 fonte nigrizia.it]

chi ha letto il libro

Vincenzo Minei volontario della rete Sanità e abitante del rione ha scritto una recensione sul libro di don Antonio Loffredo "Noi del rione sanità", pubblichiamo integralmente la mail inviataci il giorno 3/9/'13  
   
Tra i libri che mi hanno accompagnato questa estate c'era il libro di Antonio Loffredo intitolato "Noi del Rione Sanità" edito da Mondadori. Il libro, che l'autore apre con una ipotetica lettera al padre ormai scomparso, tenta di dare voce e volti a quella che è un'esperienza forse unica nel suo genere, cioè scommettere sulle risorse in loco, puntando sul recupero della storia e della bellezza di un quartiere, la Sanità che si è ritrovata nel corso dei secoli ad essere da passaggio obbligato per il centro di Napoli, ad una sorta di ghetto nel cuore della città. Ed è proprio per cercare di uscire da questo isolamento non solo fisico, rappresentato visivamente dal "tremendo ponte" di età murattiana, ma anche mentale che l'autore del libro, insieme a quei ragazzi nel frattempo diventati giovani uomini e donne, molti dei quali conosco personalmente da piccoli, hanno avviato tramite le varie cooperative che vanno dalla valorizzazione degli antichi cimiteri paleocristiani alla formazione e all'arte come il teatro e la musica classica. 

Scritto in un buon italiano, con molte licenze verso l'immaginifico, come è nello stile dell'autore, il libro presenta tuttavia alcune lacune, che è doveroso sottolineare. Anzitutto, mi dissocio assolutamente dagli attacchi a priori contro l'autore, che molti hanno accusato di volere trasformare il quartiere in una bomboniera per cacciare via i locali o chi accusa i componenti della Rete Sanità (che tra l'altro nel libro non viene nemmeno menzionata nemmeno in poche righe), di essere solo capaci di rosicare e di parlare. Simili atteggiamenti non fanno che creare conflitto e divisione. Il dissenso è giusto e doveroso, ma deve sempre svolgersi in uno spirito costruttivo e non su idee preconcette, il puro volontariato da una parte e il privato sociale visto come il demonio e il male assoluto. E riguardo appunto al privato sociale, il cosiddetto terzo settore, proprio perchè punta a creare lavoro deve avere almeno un minimo di ritorno economico. Va inoltre rispettato il lavoro di tante persone che nelle idee e nei sogni del Loffredo ci hanno creduto e ci credono, partendo praticamente da zero e arrivando ad avere riconoscimenti nazionali spesso superando i labirinti delle pastoie burocratiche. 

E fin qui ho evidenziato i pregi, passiamo ai limiti: doverose le pagine in cui si nominano suor Rosetta e suor Lucia, o padre Alex, tuttavia l'autore dimentica di citare la Rete del Rione Sanità di cui egli stesso fece parte per un periodo (dimenticanza?). L'iniziativa della scuola di italiano per stranieri che ha sede presso l'Istituto Ozanam, portata avanti con notevoli sforzi da suor Lucia e di cui chi scrive fa parte da ormai due anni, va ricordato, è stata un'iniziativa della Rete, ma non lo scrivo in spirito di polemica, ma solo per aggiungere un tassello che evidentemente manca. 

Quanto alla cosiddetta Operazione San Gennaro, sul progetto di diciamo così riqualificazione delle catacombe dedicate al patrono cittadino e che è stata la miccia che ha innescato le polemiche, siamo sicuri che sia conveniente farci delle piscine o delle discoteche? Certo non sono d'accordo con chi afferma a priori che il rione "è bello così com'è", ed è giusto cercare di migliorarlo, ma bisogna partire dalla mente e soprattutto dal cuore delle persone, solo così si possono ottenere risultati duraturi. Poi le catacombe, la musica, sono si tutte cose molto belle, ma in un quartiere che ha una tradizione artigianale che sta scomparendo, non sarebbe meglio puntare al rilancio degli antichi mestieri di guantai e calzolai, riadattandoli ovviamente alle nuove esigenze del mercato del lavoro? Va benissimo il progetto di Comunità Locale, e il modello da seguire potrebbe essere quello di Messina, purchè sia salvaguardata l'anima autentica del rione, associandomi alle perplessità di chi teme uno snaturamento del quartiere stesso tipo quello avvenuto a Taormina. 

Sono sicuro che don Antò, da persona intelligente qual è saprà accogliere queste mie osservazioni, tra l'altro da lui stesso richieste al sottoscritto con lo spirito giusto senza sentirsi offeso e, mettendo da parte i risentimenti personali anche chi finora ha alimentato solo la polemica, possiamo tenere tutti presente che quello che conta di più è il quartiere e non i piccoli protagonismi personali [vincenzo minei]

chiariscono anche gli altri

L’articolo di Mastandrea mi ha fatto pensare a un problema centrale degli intellettuali italiani, almeno dal mio punto di vista: l‘incapacità di entrare in contatto reciproco con l’uomo comune. Ovviamente l’autore aveva delle buone intenzioni, e altrettanto ovviamente si è servito piuttosto degli esperti dotti che delle persone su cui voleva scrivere. Ha attraversato il quartiere assieme a Ermanno Rea, ha discusso con Padre Alex Zanotelli, e infine ha tratto le sue conclusioni secondo uno schema abbastanza “provato”, cioè secondo quella alleanza di sentimentalismo e denuncia che io, come straniero, trovo spesso nei confronti del giornalismo sul popolo. 

Come ha menzionato Stefano de Matteis, autore del celebre libro sull’ “antropologia della città del teatro”, l’autocoscienza della borghesia napoletana non si è mai realizzata a pieno. Invece di rispecchiarsi nei comportamenti e nelle strategie del popolo la borghesia ha preferito il compromesso (le canzoni dolci, le cronache) , come dice de Matteis, evitando così allo stesso tempo di riconoscere se stessa e di autocriticarsi. In questa linea di un assistenzialismo “rosa”, privo di autocoscienza e altresì lontano dal prendere atto delle risorse del ceto basso, vedo anche l’articolo recentemente apparso sul “Manifesto”. E’ da diversi mesi che abito e studio nel rione Sanità. [Ulrich Van Loyen]

la risposta non ci convince

Nel 1934 il fotografo Robert Capa pubblicò una delle sue più famose fotografie, “il miliziano colpito a morte” che riscosse un grande successo e divenne un’ icona degli orrori della guerra. La foto in questione suscitò però anche molte polemiche: secondo alcuni testimoni, il miliziano non morì in quel luogo; altri giurarono di ave visto i negativi delle foto scattate in seguito le quali avrebbero riprodotto lo stesso miliziano che rialzarsi, correva. Credo che il lavoro di un giornalista non sia lontano da quello del fotografo, quando quest’ultimo “fotografa” e descrive ciò che gli sta intorno, e per quanto in buona fede, il suo lavoro si differenzia da quello dello scienziato sociale, che a scapito della sintesi, crea l’ossatura della propria ricerca in modo da evitare gli ostacoli che da sempre si trovano sul “cammino” verso una solida analisi scientifica: etnocentrismo, preconcetti, luoghi comuni, bias cognitivi e così via. Capisco che il suo lavoro di giornalista non richiede lo giustificarsi di una qualsivoglia linea metodologica (anche se è ovvio che in qualsiasi lavoro si applica una visione e una linea da seguire) ciononostante, in quanto giornalista, lei non può ignorare la pericolosità di un certo tipo di “fotografie”: quando nel suo articolo scrive frasi come: “una buona parte dei ragazzi... non ha mai visto il mare..” oppure “la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato”, quando lei cita la frase di Alex Zanotelli estrapolandola da un contesto diverso e incollandola nel suo articolo, lei cade purtroppo nello stereotipo e nel luogo comune anche se in buona fede. Che significa “una buona parte”? Quanti ragazzi ha visto? Cosa intende, per ragazzi? Bambini?, adolescenti? Da quale fonte ha attinto questa informazione? Questa variabile è presa in considerazione come indicatore di quale fenomeno in particolare? Su quali basi lei afferma che l’unica appartenenza comune fra i giovani del rione Sanità sia il tifo sfegatato? Come ha escluso le altre forme possibili? E’ per questo motivo che la letteratura scientifica è meno fruibile di quella giornalistica, non potendo, per motivi metodologici, sintetizzare un lavoro in due pagine di giornale e soprattutto perché, uno scienziato sociale, sempre e a-priori, deve esplicitare la sua metodologia e con essa gli ostacoli che lo portano ad una eventuale distorsione del fenomeno da descrivere. Io credo sia nei punti sopra citati, il fulcro della discordanza di punti di vista fra lei e il Sig. Caiafa, fra il giornalista e il sociologo. Non metto in dubbio l’onestà intellettuale che ha nel suo lavoro, ma con un po’ di umiltà dovrebbe chiedersi se le sue frasi “totalizzanti” (“l’unica appartenenza, ”l’unico modello”.. ecc.) descrivono la realtà complessa e varia di un rione dove vivono 65mila persone e dove probabilmente non esiste solo il sottoproletariato e la camorra come modello (e in ogni caso, se già uno solo degli abitanti di questo quartiere smentisce quest’affermazione, la generalizzazione risulta falsa in sé). Il suo lavoro è ben lontano da un tipo di ricerca di stampo sociologico, ma lei mi dirà, è un giornalista non un sociologo. Guardare la foto di Capa, ha aiutato i suoi contemporanei nella conoscenza degli eventi avvenuti durante la guerra civile spagnola? Certamente no, ma lui da ottimo fotografo ne volle fare il simbolo della brutalità della guerra, sinonimo di morte e sofferenza e non certo un trattato di storia. Il suo articolo avrebbe potuto essere almeno una bella fotografia: una foto per denunciare il fenomeno della povertà, della disoccupazione, della disgregazione familiare, della malavita organizzata, della mancanza dei mezzi forniti per arginare tali problematiche, avrebbe potuto sì prendere come esempio il rione sanità, ma inserendolo in un contesto più ampio e meno stereotipato. Ma a mio parere, è invece proprio descivendo il rione sanità in modo così estremo e totalizzante che ha toppato. Perché in guerra ci sono miliziani che muoiono ma la guerra non è la foto di un miliziano che muore.


Nota aggiuntiva riguardante la risposta pubblicata del Sig. Mastandrea
Nel suo articolo di risposta lei scrive:Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla
Non vedo assolutamente nel testo del Sig. Caiafa una qualsivoglia giustificazione alla camorra. Potrebbe indicarmela? Quando lei scrive:In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa”. Non mi sembra che il suo articolo parlasse d’influsso della politica sul quartiere, né di situazione italiana, né della città di Napoli in generale. Il suo articolo prende come esempio - quasi come archetipo della decadenza e della camorra - il quartiere e i suoi abitanti, questi ultimi descritti come massa incolta e decadente, una massa che i pochi «illuminati» cercano faticosamente di emancipare. E’ così che vede il rione Sanità? E’ questa l’idea che ha sviluppato e che vuole descrivere? In ogni caso è questa l’impressione che ho avuto leggendo il suo articolo. Non sarebbe l’unico a pensarla così, questa visione è molto diffusa anche fra certi intellettuali «radical chic» ma è appunto la visione che critico e che ritengo distorta e fuorviante. La realtà è sempre più complessa e meno semplicistica che certe immagini stereotipate. E’ questo approccio che, mi sembra di capire, critichi il Sig. Caiafa e che critico con forza anch’io - e a ragione!: lo stereotipo viaggia veloce come la luce, marca l’immaginario collettivo, crea stigmatizzazioni, giustifica la sua stessa immagine distorta al punto che gli stessi abitanti del quartiere interpretino la realtà così come proposta dai media e la veicolino a loro volta. E’ questo il fulcro della critica non certo il giustificazionismo di cui lei parla e dal quale si difende. [Leandra Figliuolo]  

ieri su "il manifesto"

Lettera alla redazione de “Il Manifesto” Alla cortese attenzione della direttrice Norma Rangieri Cara direttrice le scrivo per avere chiarezza e se possibile pubblicare una smentita in relazione all’articolo pubblicato sul suo giornale il 30 giugno di quest’anno, articolo che parlava del rione Sanità, Napoli. Sono un cittadino del quartiere, volontario da circa 10 anni e studioso del luogo. La prego di leggere attentamente, spero in un riscontro positivo e ulteriori spiegazioni. Con stima. 

Smentita
Il 30/06/13 il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diventare “veline” in tv e i ragazzi pensano solo al motorino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per questo che buona parte dei ragazzi di questa enclave di 67 mila abitanti incastonata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Plebiscito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere. Si continua a legge: “…la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato, quasi una religione, per la squadra di calcio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre (e siamo tantissimi). Mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione per qualche emigrato in provincia e nel nord Italia. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella rione sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino. Da anni lo ripeto e lo scrivo sul blog del rione Sanità, se non cambiamo linguaggio, se non incominciamo a trattare questa gente da esseri umani, se non consideriamo la loro dignità non ricaveremo un bel niente né dalla gloria né dalla nostra stessa presunzione. E’ un errore esprimere i nostri giudizi di valore senza considerare le altre variabili come la povertà, la storia, la singola esistenza. Sul giornale si legge ancora: “L'aspetto peggiore sono i morti ammazzati per strada, il modello socioeconomico camorrista considerato l'unico possibile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [Antonio Caiafa - quartieresanita.org] 

La Risposta del Giornalista 
Gentile Antonio Caiafa, il reportage in questione riguardava il fermento sociale e culturale del Rione Sanità, un quartiere napoletano generalmente ritenuto “difficile” (vogliamo mettere in discussione anche questo?): il teatro “sott’o ponte” in una chiesa sconsacrata, il lavoro delle cooperative di ragazzi organizzate da un prete “di frontiera”, don Antonio Loffredo, che ad esse ha dedicato un bel libro, “Noi del Rione Sanità”, appena pubblicato da Mondadori. Da blogger informato delle vicende del rione, avrà saputo che alla presentazione, alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martini, hanno partecipato decine di giovani del quartiere, e ne hanno discusso con don Antonio Loffredo, il sociologo Vincenzo Moretti che alla Sanità ha dedicato un bel libro ed Ermanno Rea, che mi ha accompagnato nella mia scorribanda giornalistica raccontandomi, tra i vicoli e nelle cave di tufo, com’era il quartiere ai tempi in cui, ragazzino, andava dai nonni nella zona più povera, i Cristallini. Se avesse partecipato, avrebbe potuto fornire il suo punto di vista e, parlando come ho fatto io con i giovani sottratti alla strada da don Antonio, avrebbe scoperto che una delle attività consiste nel far conoscere il mare ai ragazzini che non l’hanno mai visto. Mi dispiace contestarle tutto, ma non mi risulta che Alex Zanotelli abbia smentito le sue affermazioni, per cui respingo gentilmente, ma fermamente, al mittente ogni illazione. Aggiungo che il punto di vista di Zanotelli è persino più duro: sostiene di aver trovato più voglia di reagire tra i baraccati di Korogocho che a Napoli. Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla. Da meridionale come lei, e di estrazione affatto borghese, quando ascolto discorsi giustificazionisti fondati su presunti torti storici o esimenti quali la povertà penso che la rivoluzione meridionale, ad opera dei meridionali stessi come sarebbe piaciuto a un antifascista liberale qual era Guido Dorso, è ancora ben lungi dal maturare. In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa. [Angelo Mastrandrea]

Pubblicato il 23/08/2013 sul giornale "Il Manifesto" nella sezione Lettere alla redazione. 

l'incompetenza di alcuni giornalisti

INIZIATIVA CONTRO ALCUNI GIORNALISTI INCOMPETENTI.


Volevo chiedervi, se possibile, (sempre se lo ritenete giusto), di mandare una mail di protesta alla redazione de Il Manifesto. Il 30/6/2013 è stato scritto un articolo (purtroppo era postato interamente in rete, adesso, non so perché, si vede solo l’introduzione (il manifesto), tradotto anche in altre lingue (vedi commenti all’articolo del blog del rione sanità). Visto che è vergognoso (nell’articolo di "smentita" potete leggere alcune singole assurde affermazioni dell’autore con altre varie citazioni (quartieresanita.org), vi prego di sostenere questa iniziativa visto che ho già scritto alla cortese attenzione della direttrice del giornale di cui sopra ricevendo in cambio un silenzio umiliante. Se inviamo più mail non possono snobbarci, devono prendere in considerazione la dignità della gente del rione. 

PER NON FARTI PERDERE TEMPO COPIA E INCOLLA QUESTE POCHE RIGHE. Questi gli unici indirizzi mail presi dal sito de “Il Manifesto”.

redazione@ilmanifesto.it
amministrazione@ilmanifesto.it

(testo da copiare e incollare) 

Alla cortese attenzione della Direttrice de Il Manifesto
Dopo la pubblicazione poco rispettosa del 30/06/2012 nei confronti dei circa 60mila abitanti che vivono nel rione Sanità, firmato da Angelo Mastrandrea, dal titolo “Sotto il ponte della Sanità dove la vita è tutta un teatro”, chiedo alla direttrice Norma Rangeri di smentire facendo chiarezza sulle affermazioni scritte e pubblicate dal giornale “Il Manifesto”. Per una giusta e corretta informazione, perché la partecipazione e la libertà di pensiero siano più forti del pressappochismo e della gloria - www.quartieresanita.org (http://www.quartieresanita.org/2013/07/il-manifesto-scimmiotta.html)  - grazie.