Visualizzazione post con etichetta guerra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta guerra. Mostra tutti i post

basta con il silenzio

GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

L’anno 2016 ha visto trionfare la normalità della guerra, la Terza Guerra mondiale a pezzetti, come la chiama Papa Francesco, una guerra spaventosa che ha il suo epicentro in Medio Oriente ed ha mostrato tutta la sua ferocia, disumanità e orrore nell’assedio della città martire, Aleppo. Una guerra che attraversa anche l’intera zona saheliana dell’Africa, dalla Somalia al Sudan (Darfur e Montagne Nuba), dal Sud Sudan al Centrafrica, dalla Nigeria (Nord) alla Libia, dal Mali al Gambia. Senza dimenticare i massacri nel cuore dell’Africa, in Burundi e Congo(Beni). Siamo davanti a desolanti scenari di guerra che si estendono dallo Yemen all’Afghanistan, guerre combattute con armi sempre più sofisticate e a pagarne le spese sono sempre più i civili. “Come è possibile questo?- si chiede Papa Francesco. E’ possibile perché dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi  che sembra essere tanto importante”.
E’ l’industria delle armi, fiorentissima oggi, a gioire di tutto questo. Secondo i dati Sipri, a livello mondiale, investiamo quasi 5 miliardi di dollari al giorno in armi. A livello italiano, secondo l’Osservatorio ne spendiamo 64 milioni di euro al giorno. E’ un’industria fiorente quella italiana delle armi che esportiamo e vendiamo in tutto il mondo. In questo periodo abbiamo venduto bombe all’Arabia Saudita e al Qatar, che poi le hanno date a gruppi armati legati a Al-Qaeda come a Jabhat al –Nusra in Siria. E tutto questo nonostante la legge 185/90 che vieta la vendita di armi a paesi in guerra e a paesi dove vengono violati i diritti umani. L’Italia ha esportato armi nel 2015 per un valore di oltre 7 miliardi di euro a tanti paesi che sono o in guerra o dove sono violati i diritti umani. Ma come fanno i nostri governi a parlare di legalità, quando agiscono in maniera così illegale? E’ la grande Bugia. “La violenza esiste solo con l’aiuto della Bugia”, diceva Don Berrigan, il gesuita nonviolento americano scomparso lo scorso anno. E’ passato il tempo in cui i buoni possono rimanere in silenzio. ”Ed è proprio questo quello che mi sconcerta di più: il silenzio del movimento per la pace davanti a questi scenari di guerra. Non lo posso accettare. Dobbiamo scendere in piazza, urlare , gridare, protestare. Forse non riusciamo a parlare perché il movimento è frammentato. Allora mettiamoci insieme. La situazione è troppo grave. Per questo dobbiamo avere il coraggio di violare la legge, di farci arrestare,di andare in prigione .Questo sarebbe il dovere prima di tutto dei religiosi, dei preti, delle suore come i fratelli Berrigan e le suore domenicane negli USA che si sono fatti anni di carcere nel loro impegno contro la ‘Bomba’. E come cristiano mi fa ancora più male il silenzio dell’episcopato italiano e di larga parte delle comunità cristiane. Per fortuna c’è Papa Francesco che parla chiaro. Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1 Gennaio 2017) afferma che “essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. ”E prosegue”: La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati  così importanti. I successi ottenuti da Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther  King contro la discriminazione razziale…”
Papa Francesco invita le comunità cristiane a perseguire questa strada della nonviolenza attiva, come la strada obbligata per i seguaci di Gesù. “Dite al mondo che non esiste più una guerra giusta- ha detto una suora domenicana irachena Nazik Matty durante il convegno sulla guerra e nonviolenza, promosso in Vaticano da Papa Francesco. Lo dico da figlia della guerra”.
Papa Francesco forse presto ci regalerà un’ enciclica che potrebbe mettere la parola fine alla teologia della guerra giusta e indicare la nonviolenza attiva come la strada inventata da Gesù. E’ la strada che le comunità cristiane devono imboccare con lo stesso coraggio che hanno avuto Gandhi, Martin Luther King, Don Berrigan, Don Milani… Ma queste comunità dovranno avere la capacità di unirsi a tutte le altre realtà nonviolente creando un grande movimento popolare per la pace. Ma per arrivare a questo dobbiamo tutti essere disposti a pagare un alto prezzo. “Noi urliamo pace, pace, ma non c’è pace - diceva Don Berrigan. Non c’è pace perché non ci sono costruttori di pace. Non ci sono costruttori di pace perché fare pace è altrettanto costoso quanto fare guerra - almeno altrettanto esigente perché si paga con la prigione e la morte”. A tutti i costruttori di pace, l’augurio di cuore di un Buon anno, carico di frutti di pace. [alex zanotelli]

prevenire il terrorismo

Francesca Bellino è una mia cara amica. Giornalista e scrittrice con una ossessione in testa che si chiama Tunisia. Non solo la sua famiglia è in parte tunisina (il marito è l’attore Ahmed Hafiene noto in Italia per aver fatto numerosi ruoli tra cui Hassan in La giusta distanza di Carlo Mazzacurati), ma da tempo lo è anche la sua anima. Di recente ha scritto un romanzo, Sul corno del rinoceronte, che ripercorre attraverso la storia di un’amicizia i momenti turbolenti che anticipano la rivoluzione dei gelsomini, l’inizio delle rivolte arabe. Mi ha sempre colpito una frase del romanzo di Francesca. Lei scrive: “I segreti sono nascosti negli occhi. Il mio primo incontro con la Tunisia sono stati gli occhi di Meriem. Poi mi sono imbattuta in quelli dei giovani in trappola, arresi ai bordi delle strade o persi davanti a squallide tazzine di caffè”. In poche righe Francesca Bellino ha fatto una fotografia precisa di quanta frustrazione circolava e circola ancora tra i giovani, soprattutto uomini, tunisini. Me li ricordo pure io quegli occhi. Tanti anni fa ho seguito un corso di arabo all’istituto Bourguiba di Tunisi. Eravamo una multiforme umanità. Tutti lì per un interesse diverso. Chi adorava il poeta Nizar Qabbani, chi voleva imparare una lingua con cui lavorare nel settore del petrolio, altri invece sognavano di tradurre manoscritti medievali. Io non so bene perché fossi lì, forse per non darla vinta a una lingua che mi faceva impazzire con i suoi plurali fratti e le sue coniugazioni. E poi c’erano loro, le signore eleganti. Alcune erano italiane, altre tedesche, altre ancora francesi. I sogni mangiati Lo studio dell’arabo era una scusa, quello che dicevano a casa ai mariti per giustificare il viaggio. In realtà più che alla lingua araba erano interessate agli arabi. Ed ecco che di colpo quei giovani senza lavoro, senza futuro, si attaccavano a queste signore occidentali per un regalo o per una cena in qualche ristorante di lusso. Le signore elargivano generosamente in cambio di qualche prestazione sessuale e di qualche galanteria. Era un commercio alla luce del sole che mi aveva lasciato senza fiato. Ero ingenua forse, ma non me lo aspettavo proprio. E cominciai a osservare quei giovani. Avevano tutti qualche sogno, qualche voglia di futuro, ma allora c’era Ben Ali, il dittatore, quello che Francesca Bellino chiama il rinoceronte, a mangiare i sogni. E oggi? La situazione non è migliorata. I ragazzi sognano ancora di fuggire, di lasciarsi questo paese alle spalle. Un paese, va detto, tra i più battaglieri e laici del Nordafrica. Un paese però che è abbandonato dalla comunità internazionale, che lo considera una pedina poco importante. Ed ecco che le grinfie del fondamentalismo e del terrorismo si sono fatte sentire con brutalità. La Tunisia è stata colpita duramente dal terrorismo, pensiamo solo agli attentati al museo del Bardo e a quello sulla spiaggia di Sousse, e oggi ha alti tassi di radicalizzazione tra i giovani. I giovani, i loro occhi. Ho cercato di guardare quelli di Anis Amri, il terrorista del mercatino di Natale di Breitscheidplatz, a Berlino. Gli occhi rivelati dalle fotografie sono opachi, velati, manca la luce. All’Ucciardone, una delle strutture carcerarie dove è stato recluso, Anis Amri è stato descritto come violento. Riguardo le foto segnaletiche che sono state pubblicate dai giornali. Questa storia ci riguarda, penso. Ci riguarda come Italia. Parla di noi. Anis Amri non ha una faccia poi così diversa dai ragazzi di Messina, Palermo, Enna, Catania. Come ogni giovane, anche lui forse ha sognato per se stesso un futuro migliore, chissà. Cerco di guardare l’uomo dietro al terrorista. Non è facile. Soprattutto non è facile se penso a chi ha perso la vita in quel mercatino berlinese. Non è facile se penso a Fabrizia Di Lorenzo che voleva solo un mondo più bello dove vivere. Se penso ai loro corpi falciati senza pietà, mi sale una rabbia immensa. Ma ecco che dobbiamo essere lucidi, e cercare di capire come siamo arrivati fino a questo punto. Dobbiamo farlo, anche solo per capire come difenderci. Se continuiamo a gridare al lupo al lupo non servirà a niente. Dobbiamo cercare Anis, chiunque esso sia, dietro la parola terrorista. La prima falla Ed ecco che questa vicenda emblematica ci spinge a guardare alle falle del nostro sistema. Parliamo tanto di legalità, ma è proprio l’illegalità del sistema che porta alla diffusione della peste terrorista. Di Anis Amri sappiamo che è arrivato in Italia con un barcone. Ecco la prima falla. Ecco quello che non va, il barcone. Il viaggio dei migranti è in mano ai trafficanti, ai mafiosi. Loro decidono i prezzi, le rotte, le modalità. Qualcosa che dovrebbe essere competenza degli stati oggi è in mano a criminali senza scrupoli. Chi arriva in Europa deve farlo a costo di morire in mare o di morire nelle tappe precedenti. Si può morire in carcere in Libia, dopo uno stupro di gruppo o di sete nel deserto del Sahara. Negli anni settanta i padri di questi ragazzi che fanno il tahrib, così si chiama il viaggio di migrazione in somalo, potevano prendere un aereo e avevano dei visti. Oggi non c’è una maniera legale di arrivare in Europa. Ci sono solo i trafficanti. Questo è un dramma per i migranti, che rischiano la vita. Ma è un dramma per l’Europa. Come sa l’Europa chi arriva nel suo territorio? Un tempo c’era un sistema di visti per arrivare dal Nordafrica in paesi come la Francia o l’Italia. Si era pendolari per un po’. Molti lo erano per lavoro, altri per studio. C’era un viavai controllato dall’una e dall’altra parte. Chi migrava non lo faceva per sempre, aveva la possibilità di tornare indietro. Le procedure non erano ottime, ma sicuramente migliori di quelle di adesso. Oggi non c’è più mobilità tra un lato e l’altro del Mediterraneo. Da mare aperto, oggi il Mediterraneo è diventato un mare chiuso, uccisi tutti gli scambi che hanno creato grandi civiltà. Dal momento in cui Anis Amri mette piede in Italia comincia una sorta di discesa agli inferi che finirà solo con la sua morte a un posto di blocco a Sesto San Giovanni. Ora, Anis Amri era un soggetto a rischio, descritto come violento, etichettato come problema e molto probabilmente era vero. Mi chiedo: si poteva recuperare questo ragazzo in qualche modo? Soprattutto nello stadio iniziale? Non ho una risposta. Mi inoltro nella sua biografia. Ed ecco che lo vediamo chiedere protezione in quanto minore. Lui ha già compiuto 19 anni. Le autorità non lo sanno e lo mettono in un centro per minori. Diciannove anni però non fanno di te un uomo. Anis Amri è un dicianovenne violento, rissoso e confuso. Questo emerge dalle parole del padre intervistato da un giornale tedesco. Il fortino dell’Europa Il sistema, inoltre, porta a mentire. Anis ha mentito, ma forse non è il solo. Il richiedente asilo deve inserirsi in griglie prestabilite per ottenere l’asilo politico. Allora se sei del nord del paese X non puoi ottenere asilo, ma se dici di essere di Y allora la tua domanda sarà valutata. I migranti lo sanno e, pur di non vedersi rifiutata la domanda, si inventano storie non vissute. Le loro sofferenze sono autentiche, ma spesso la commissione non valuta l’individuo e vuole sentirsi raccontare quello che ha già prestabilito. Ed ecco che molti si fingono minori o fingono di essere chi non sono. La realtà è complessa. Se accolgono i siriani, allora anche un tunisino o un marocchino si finge siriano, su internet ci sono i tutorial per rifare l’accento di Damasco, di Homs e di Aleppo e anche se sei di Rabat o di Mahdia allora ci provi anche tu, perché l’Europa è diventata una fortezza. Sì, un fortino che continua a sfruttare il sud del mondo, le sue materie prime, ma che vuole il migrante solo dopo che abbia passato atroci sofferenze, perché dopo accetterà di lavorare per pochi spiccioli. Il sistema è malato. Se ci fosse un viaggio legale (e, sottolineo, legale) tutto questo non avrebbe bisogno di esistere. Nessuno dovrebbe mentire. Ma è al centro di accoglienza che Anis non ancora terrorista si perde completamente. Brucia insieme ad altri ragazzi una parte della struttura. È molto violento. Sconterà, come hanno già detto tutti i giornali, quattro anni di pena in varie strutture siciliane. “Non si è radicalizzato in carcere”, dicono le autorità. Ma il carcere lo ha inabissato sempre di più. Ha creato il terreno fertile per la radicalizzazione. Lo sappiamo, le carceri italiane sono sovraffollate, invivibili. L’Ucciardone, dove Anis è finito, è noto alle cronache. Spazi angusti, corpi addensati in pochi metri soffocanti, detenuti promiscui loro malgrado. Le risse all’Ucciardone e in molte carceri italiane sono all’ordine del giorno. Il personale, soprattutto la polizia penitenziaria, è sempre sul piede di guerra. Sono in pochi e fanno turni massacranti. E poi hanno paura per la loro incolumità. Il loro numero non è sufficiente a tenere tutti quei detenuti. La situazione nelle carceri è drammatica. Luigi Manconi e Rita Bernardini ce lo ricordano sempre che il nostro sistema penitenziario non solo è in crisi, ma produce ancora più frustrazione e criminalità. Il carcere non dichiarato Dopo L’Ucciardone c’è stato il Cie, il centro di identificazione ed espulsione. Un carcere non dichiarato dove si finisce perché si è in stato di irregolarità con i documenti o i n attesa di espulsione. I Cie sono un universo psicotico dove lo spazio e il tempo sono sospesi, si è solo trattenuti, ma in soldoni si è carcerati. Si attende. Puoi guardare la tv, le donne cercano di abbellire le loro celle che qui chiamano camere, ma sei in un non luogo e la tua diventa una non vita. Puoi rimanerci un mese, due, ma anche diciotto. Ci puoi finire dentro perché il tuo datore di lavoro non ti rinnova il contratto e quindi non puoi avere il permesso di soggiorno o, come il futuro terrorista Anis Amri, perché sei in attesa di espulsione dopo aver scontato una pena in carcere. Uscire dal carcere per finire in un altro che ha regole ancora più assurde del primo. La malaccoglienza da troppo tempo in Italia produce schivitù e sfruttamento dei migranti Basta leggere il rapporto Accogliere. La vera emergenza per capire che siamo nei guai. LasciateCIEntrare ha girato l’Italia per un anno intero, il 2015, monitorando i centri di identificazione ed espulsione (Cie), i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e i centri di accoglienza straordinaria (Cas). Quello che emerge dal rapporto è la “malaccoglienza” italiana che diventa teatro dell’assurdo non solo nei Cie, ma mostra le sue crepe anche nelle strutture ordinarie d’accoglienza. Il sistema è costoso, il personale spesso non è preparato, in molti non sanno nemmeno l’inglese e non riescono a comunicare con i migranti, gli appalti non sono chiari, c’è tanta improvvisazione. Quello che ha fatto dire a Stefano Galieni, dell’associazione Diritti e frontiere, che “è la politica la grande assente di quanto sta accadendo in Italia e in Europa. Dietro ogni struttura che nasce o muore vi è opacità assoluta, non ci sono garanzie di standard reali di accoglienza”. Questa malaccoglienza, come ha sottolineato Yasmine Accardo, curatrice del volume e membro di LasciateCIEntrare, in una intervista a Piuculture “da troppo tempo in Italia non fa che produrre schiavitù e sfruttamento dei migranti, mentre continua a rappresentare in troppi casi una fonte facile di guadagno per chi si accaparra bandi o per chi riceve affidi diretti, motivati dall’emergenza”. Malaccoglienza, ecco la parola per capire il mistero Anis Amri, un ragazzo difficile che di tappa in tappa diventa più violento, più opaco, dagli occhi insensibili. Ecco Anis Amri che accoltella il camionista polacco Łukasz Urban, che voleva comprare un regalo alla moglie a Berlino, ecco Anis Amri che mette il piede sull’acceleratore del tir rubato e falcia vite. L’Italia è la porta dell’Europa. Salva vite certo, la guardia costiera fa un lavoro da Nobel della pace, fa un lavoro che non fa nessuno. Di questo possiamo essere orgogliosi. Ma è sul resto che non va. Noi come gli struzzi mettiamo la testa sotto la sabbia. Basta che muoiono un po’ più in là, basta che non si facciano vedere troppo e se ne vadano in Germania e in Svezia. L’Italia non vuole organizzarsi. E questo non da oggi, ma dagli anni novanta. Qualcosa che ormai è un fatto ordinario è ancora definito emergenza. Non abbiamo personale preparato, non abbiamo strutture adeguate, come ci ha mostrato LasciateCIEntrare, non abbiamo carceri all’altezza, non sappiamo nulla dei paesi che si affacciano sul nostro stesso mare. Quando si parla di immigrazione si usano frasi retoriche come l’ormai sempreverde “Se ne tornassero a casa loro”. Ma nessuno parla seriamente di gestione del fenomeno o di piani per il futuro. E men che mai di investimenti. Come si può risolvere il nodo immigrazione senza soldi? Ripenso agli occhi che descrive Francesca Bellino nel suo romanzo. Gli occhi dei giovani al di là del mare, in Tunisia. Alcuni occhi sognano di diventare Mozart, Pelè o Steve Jobs. Altri non hanno idea di cosa sia il futuro, sono arrabbiati, frustrati umanamente e sessualmente. Arrivano sia i Mozart sia gli Anis Amri. Ma la malaccoglienza è uguale per tutti. C’è chi con forza d’animo, ed è la maggior parte, ce la fa nonostante tutto. Alcuni continuano il viaggio verso terre che facilitano l’inserimento, altri restano qui a vendere frutta ai mercati o come un mio amico si trasformano da pescatori in apicoltori. E sì, c’è anche chi non molla e diventa comunque Mozart. E poi ci sono gli Anis Amri. Sarebbe consolante fare come Ponzio Pilato, facile lavarcene le mani, e dire non è roba nostra, non ci interessa, era un violento psicopatico. Probabilmente era un violento psicopatico, forse non avremmo potuto fare nulla per cambiare la sua sorte e quella delle sue vittime. Ma non ci siamo presi il disturbo di fare qualcosa. La nostra politica è stata a guardare. E anche noi non abbiamo fatto nulla, nessuna pressione affinché qualcosa cambiasse. Avevamo il dovere di provare a recuperarlo. Se non per solidarietà, per la nostra sicurezza, per impedirgli di finire tra le braccia del terrorismo. Allora forse una delle armi è proprio l’accoglienza (non la sola, ovviamente, serve anche un coordinamento tra polizie e intelligence). Combattere questa frustrazione che c’è in giro. D’altronde basta leggere la propaganda jihadista per capire che i terroristi hanno paura dell’accoglienza. Dicono, non a caso, che il loro obiettivo è distruggere la “zona grigia”, ovvero lo spazio di convivenza tra diverse fedi e tradizioni. Vogliono odio e frustrazione. Vogliono la nostra paura. Ecco perché per sconfiggerli bisogna andare ostinatamente nella direzione contraria. “Love is the answer” direbbe John Lennon. Certamente. Ma ripristinando la legalità. Solo la legalità, ovvero regole condivise e diritti non violati, potrà salvare la nostra civiltà. I muri ci porteranno tra le braccia dei terroristi e daranno manovalanza ai fomentatori dell’odio. Non permettiamo che questo succeda. Questa volta dipende anche da noi. [igiaba scego, internazionale]

basta!





a parigi ci giochiamo tutto

Oggi, 30 novembre 2015, apre la Conferenza sul clima di Parigi (COP 21) che vede riuniti i rappresentanti di 190 paesi e 150 capi di Stato. “Il mondo deve prendere atto che il Vertice di Parigi- aveva detto la Pontificia  Accademia delle Scienze lo scorso aprile- potrebbe essere l’ultima vera opportunità per giungere a un accordo che mantenga il riscaldamento globale di origine antropica al di sotto di 2 gradi centigradi, a fronte di una traiettoria attuale che porterebbe a un aumento devastante di 4 o più gradi centigradi. ”Una presa di posizione rafforzata dalle parole di Papa Francesco giorni fa alle Nazioni Unite per l’Ambiente a Nairobi(Kenya) :”Sarebbe triste e oserei dire perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune.” Il primo obiettivo di Parigi è cancellare il vertice di Copenaghen (2009) che si concluse in un fiasco clamoroso. I vertici che ne seguirono, Cancun, Durban, Doha, Varsavia,Lima sono finiti in un nulla di fatto. E così siamo giunti sull’orlo del precipizio. “ Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia” - afferma Papa Francesco in Laudato Si’. “Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti, sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco, di alterazione dell’ambiente  ha superato la possibilità del Pianeta in maniera che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi. ”I dati scientifici sono categorici. Lo ha fatto in modo perentorio l’Agenzia ONU per i cambiamenti climatici (IPCC) nel novembre 2014 a Copenaghen. Gli scienziati dell’IPCC affermano: primo, il riscaldamento globale esiste ed è causato dall’uomo; secondo, gli effetti sono già visibili con lo scioglimento dei ghiacciai ed eventi meteo estremi ; terzo, il peggio deve arrivare perché le emissioni globali invece che diminuire, sono aumentate. Infatti gli scienziati dell’IPCC (tutti scelti dai governi!) affermano che, se il sistema continuerà a utilizzare petrolio e carbone al ritmo attuale, a fine secolo, avremo, se ci andrà bene, 3,5 gradi centigradi in più, ma se ci andrà male, 5,4 gradi centigradi. Gli esperti ci ricordano che già 2 gradi centigradi in più costituiscono un dramma per il Pianeta.  E purtroppo, come afferma  Fatih Birol dell’IEA(Agenzia Internazionale dell’Energia):”La porta di due gradi si sta per chiudere. Nel 2017, si chiuderà per sempre.” Abbiamo raggiunto quello che gli esperti chiamano il ‘decennio zero’ della crisi climatica: o cambiamo subito  o rischiamo di precipitare nel baratro.
Ecco perché il Vertice di Parigi è l’ultima vera opportunità per salvarci. Purtroppo la politica è prigioniera dei poteri economico-finanziari che governano il mondo. “Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale - lamenta Papa Francesco in Laudato Si’. La sottomissione della politica alle tecnologie e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune”. Il dramma è che questo disastro climatico sarà di nuovo pagato dagli impoveriti. Dobbiamo saper unire il “grido della Terra”- come dice Papa Francesco - con il “grido dei poveri”. Sarà soprattutto l’Africa a pagare le conseguenze di questi cambiamenti climatici con tre quarti delle terre desertificate e con centinaia di milioni di rifugiati climatici. Dobbiamo dunque affermare che le emissioni incontrollate di gas serra meritano il nome di crimini .Dopo i crimini della schiavitù, della colonizzazione,  dei regimi totalitari, ecco il crimine ecologico. Ridurre la nostra impronta di carbonio non è una semplice necessità ambientale, ma è, come afferma Desmond Tutu, il “più grande cantiere di difesa dei diritti umani della nostra epoca.” Non possiamo accettare che le multinazionali si arricchiscano con attività climaticamente criminali. Desmond Tutu chiede di far fronte alle cause e ai fautori del riscaldamento climatico con le armi dell’indignazione morale, del boicottaggio, della disobbedienza civile, del disinvestimento economico, ma soprattutto  con il disinvestimento dalle banche che pagano per il petrolio e il carbone. Se c’è una cosa che è certa è che, se vogliamo salvarci, dobbiamo lasciare il petrolio e il carbone là dove sono, sottoterra. (E’ una vergogna che Renzi abbia invece aperto le trivellazioni per il petrolio!)
“C’è bisogno di un sussulto morale di chi, nei paesi ricchi non vuole essere complice - scrive Christophe Bonneuil - e lo manifesta in diversi modi: soluzioni per vivere altrimenti e meglio con meno, campagne per costringere le banche a disinvestire dalle imprese assassine del clima, pressioni sui governi affinché passino dalle parole ai fatti in materia di riduzione delle emissioni, resistenza alle grandi opere…”

Mi auguro che l’enciclica Laudato Si’ galvanizzi tutti, in particolare le parrocchie e le diocesi per formare un unico grande movimento per salvare la nostra amata Madre-Terra. [alex zanotelli] 

senza



il credo a ma'lula

Stamane, al primo caffè, la tv parlava dei cecchini, che imperversano a Ma’lula, occupata dai ribelli siriani. Ricordo quella mattina, che ci arrivai. Montagne, nude come scogli infuocati, rosse di ferro. Grumi di case, cubi malconci di calce e mattoni, sgretolati dal vento, in bilico su crinali impossibili. Capre e capre a brucare erba invisibile. Un sole rovente, incessante, esasperante sul tuo corpo, che non ha più liquidi per sudare. Bambini dagli occhi enormi, muti, sorpresi di te, che ti seguono, tendendoti una mano che non sa chiedere. Si scende, per un viottolo, in una voragine infernale. Quale paura, quali orrori, spinsero i monaci a costruire un convento, così celato? Il Mar Sarkis ti ricorda che S. Sergio, come un'infinità di altri santi, è di qui. Paolo l'hai lasciato, a terra, a Damasco, fulminato da Dio. 

La Siria possiede più di un centinaio di insediamenti paleocristiani, a ricordarti che Gesù stava a pochi passi da qui. Il cristianesimo vive in un reticolo di musulmani sciti e sunniti, curdi, armeni. Il monaco, che ci accoglie, ci porta su, per gradini sconnessi, a una terrazza che dà sul azzurro del cielo. Il convento de Mar Taqla o santa Tecla è difronte, chiuso in caverne irregolari, quasi bocche fameliche. Il vento caldo del deserto lascia sabbia negli occhi e tra i denti. Il monaco mi porge un bicchiere d'acqua, che si appanna, tanto è fredda la sorgente, una verde fessura nella parete rocciosa della chiesa. - "É l'unico luogo, al mondo”, - ha una voce calda, in un italiano quasi perfetto, che sa stupirti – “dove si parla ancora l'aramaico dei tempi di Cristo. É tramandato solo oralmente. Ne abbiamo perso la grafia. Ora, sentirete dalla mia voce il suo Credo, con la sua stessa sonorità di linguaggio" Ricordo quel suono. [lucio paolo ranieri]

quanto va ai partiti?

Padre Alex Zanotelli ha lanciato un APPELLO dal titolo: TANGENTI SULLA VENDITA D’ ARMI : QUANTO VA AI PARTITI?
L'appello ha due scopi:
1.Una richiesta al parlamento affinché istituisca  una commissione incaricata di investigare la connessione tra vendita d’armi e politica che elimini il Segreto di Stato su tali intrecci.
2.Un appello a tutti i gruppi, associazioni, reti, impegnati per la pace, a mettersi insieme, a creare un Forum nazionale come è stato fatto per l’acqua. Per sottoscrivere l'appello di p. Alex si può cliccare sul seguente link ILDIALOGO

Articolo:  TANGENTI SULLA VENDITA D’ ARMI : QUANTO VA AI PARTITI?
L’inchiesta giudiziaria della Procura di Napoli su Finmeccanica, il colosso italiano che ingloba una ventina di aziende specializzate nella costruzione di armi pesanti, mi costringe a porre al nuovo governo Letta e al neo-eletto Parlamento alcune domande scottanti su armi e politica. Questa inchiesta, condotta dai pm. V. Piscitelli e H. John Woodcock della Procura di Napoli (ora anche da altre Procure), ci obbliga a riaprire un tema che nessuno vuole affrontare: che connessione c’è tra la produzione e vendita d’armi e la politica italiana? E’ questo uno dei capitoli più oscuri della nostra storia repubblicana.

Le indagini della Procura di Napoli hanno già portato alle dimissioni nel 2011 del presidente e dell’amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, nonché di sua moglie, Marina Grossi, amministratrice delegata di Selex Sistemi Integrati, una controllata di Finmeccanica. Anche il nuovo presidente di Finmeccanica, G.Orsi, è stato arrestato il 12 febbraio su ordine della Procura di Busto Arsizio e verrà processato il 19 giugno, per la fornitura di 12 elicotteri di Agusta Westland al governo dell’India, del valore di 566 milioni di euro, su cui spunta una tangente di 51 milioni di euro. Sale così di un gradino l’inchiesta giudiziaria per corruzione internazionale e riciclaggio che ipotizza tangenti milionarie ad esponenti politici di vari partiti.

Nell'altra indagine della Procura di Napoli spunta una presunta maxitangente di quasi 550 milioni di euro (concordata, ma mai intascata) su una fornitura di navi fregate Fremm al Brasile, del valore di 5 miliardi di euro. Per questa indagine sono indagati l’ex-ministro degli Interni, Claudio Scajola e il deputato PDL M. Nicolucci. Un’altra ‘commessa’ sotto inchiesta da parte della Procura di Napoli riguarda l’accordo di 180 milioni di euro con il governo di Panama per 6 elicotteri e altri materiali su cui spunta una tangente di 18 milioni di euro. Per questo, il 23 ottobre il direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere è finito in carcere.

La Procura sta indagando anche su una vendita di elicotteri all'Indonesia su cui spunta ‘un ritorno’ tra il 5 e il 10%. E’ importante sottolineare che il 30% delle azioni di Finmeccanica sono dello Stato Italiano. Dobbiamo sostenere la Procura di Napoli, di Busto Arsizio e di Roma perché possano continuare la loro indagine per permetterci di capire gli intrecci tra il commercio delle armi e la politica. Noi cittadini abbiamo il diritto di sapere la verità su questo misterioso intreccio. E’ in gioco la nostra stessa democrazia. Soprattutto ora che l’Italia sta investendo somme astronomiche in armi. Secono il SIPRI di Stoccolma, l’Italia, nel 2012, ha speso 26 miliardi in Difesa a cui bisogna aggiungere 15 miliardi di euro stanziati per i cacciabombardieri F-35. Ecco perché diventa sempre più fondamentale capire la connessione fra armi e politica. E’ stata questa la domanda che avevo posto al popolo italiano come direttore della rivista Nigrizia negli anni ‘85-’87, pagandone poi le conseguenze. All'epoca avevo saputo che alla politica andava dal 10 al 15 per cento, a seconda di come tirava il mercato. Tutti i partiti avevano negato questo.

Noi cittadini italiani abbiamo il diritto di sapere se quella pratica è continuata in questi ultimi 20 anni. In questi anni l’industria bellica italiana è cresciuta enormemente. Abbiamo venduto armi, violando tutte le leggi, a paesi in guerra come Iraq e Iran e a feroci dittature da Mobutu a Gheddafi, che hanno usato le nostre armi per reprimere la loro gente. Noi chiediamo al governo Letta e ai neo-eletti deputati e senatori di sapere la verità sulle relazioni tra armi e politica. Per questo chiediamo che venga costituita una commissione incaricata di investigare la connessione tra vendita d’armi e politica. Non possiamo più accettare che il Segreto di Stato copra tali intrecci! Ci appelliamo a voi, neodeputati e neosenatori, perché abbiate il coraggio di prendere decisioni forti, rifiutandovi di continuare sulla via della morte (le armi uccidono!) e così trovare i soldi necessari per dare vita a tanti in mezzo a noi che soffrono. E’ immorale per me spendere 26 miliardi di euro in Difesa come abbiamo fatto lo scorso anno, mentre non troviamo soldi per la sanità e la scuola in questa Italia. E’ immorale spendere 15 miliardi di euro per i cacciabombardieri F-35 che potranno portare anche bombe atomiche, mentre abbiamo un miliardo di affamati nel mondo. E’ immorale il colossale piano dell’Esercito Italiano di ‘digitalizzare’ e mettere in rete tutto l’apparato militare italiano, un progetto che ci costerà 22 miliardi di euro, mentre abbiamo 8 milioni di italiani che vivono in povertà relativa e 3 milioni in povertà assoluta. E’ immorale permettere sul suolo italiano che Sigonella diventi entro il 2015 la capitale dei droni e Niscemi diventi il centro mondiale di comunicazioni militari, mentre la nostra costituzione ‘ripudia’ la guerra come strumento per risolvere le contese internazionali.

Mi appello a tutti i gruppi, associazioni, reti, impegnati per la pace, a mettersi insieme, a creare un Forum nazionale come abbiamo fatto per l’acqua. Cosa impedisce al movimento della pace, così ricco, ma anche così frastagliato, di mettersi insieme, di premere unitariamente sul governo e sul Parlamento? E’ perché siamo così divisi che otteniamo così poco. Dobbiamo unire le forze che operano per la pace, partendo dalla Lombardia e dal Piemonte come stanno tentando di fare con il convegno a Venegono Superiore (Varese), fino alla Sicilia dove è così attivo il movimento pacifista contro il MUOS a Niscemi. Solo se saremo capaci di metterci insieme, di fare rete, credenti e non, ma con i principi della nonviolenza attiva, riusciremo ad ottenere quello che chiediamo. [alex zanotelli]

burattini e pupazzi



rifugiati nord africa

Ho appena partecipato a un caotico incontro con i ‘rifugiati libici’ ,in una sala dell’Hotel  S.Angelo a Piazza Garibaldi a Napoli. Centinaia di giovanotti africani arrabbiati e frustrati, che urlavano, gridavano il loro dolore, la loro disperazione . Ho provato compassione per questo popolo dei rifugiati provenienti dalla Libia:oltre seicento sono stati sistemati negli alberghi di Piazza Garibaldi e abbandonati a se stessi ,per oltre un anno e mezzo, senza far nulla. Niente corsi di formazione, nessuna traccia di inserimento lavorativo, nessun inserimento abitativo. Solo scuole di italiano organizzate da realtà ecclesiali o associative. Per il resto, nulla!

Si tratta di oltre 2.000 rifugiati nella sola regione della Campania, oltre 18.000 nel nostro paese. Sono la conseguenza di quella guerra ingiusta e assurda contro la Libia(2011). Sono il frutto amaro delle politiche razziste dei governi di centro-destra o centro-sinistra, soprattutto del governo Berlusconi e dell’allora ministro dell’interno, il leghista Maroni, che hanno affidato i profughi in fuga dalla guerra in Libia a un circuito della Protezione Civile ,insieme ad albergatori o cooperative. A un prezzo salatissimo: un miliardo e trecento milioni di euro per un anno e mezzo! Il che significa concretamente:40 euro al giorno e più di 1.300 euro al mese per ogni rifugiato. Una vergogna nazionale! Abbiamo ingrassato gli albergatori e tolta la speranza per i rifugiati.

Purtroppo il problema dell’immigrazione, dei rifugiati, della nostra legislazione razzista in proposito non ha nemmeno sfiorato il dibattito elettorale di questi giorni.E’ una vergogna! Silenzio assoluto, rotto solo ora da una nota del Ministero dell’Interno che ha per oggetto:”Chiusura dell’emergenza umanitaria Nord-Africa, per i cittadini nordafricani affluiti in Italia dal 1 gennaio al 5 aprile 2011”. Una nota che arriva a governo scaduto , pochi giorni prima dei risultati elettorali. La nota promette tre cose:permesso di soggiorno, titolo di viaggio (in sostituzione del passaporto) e 500 euro di ‘benservito’. E’ stata soprattutto la pochezza del contributo in denaro a far infuriare i rifugiati. Nell’assemblea di oggi ,all’Hotel S.Angelo , i rifugiati chiedono duemila euro per uscire dagli alberghi e cercare di costruirsi un futuro.

Per questo tutti insieme , rifugiati,Forum antirazzista e associazione 3 febbraio, abbiamo deciso per il 27 febbraio ,alle ore 10 una marcia da pzza Garibaldi , a Napoli ,fino alla Prefettura. Invitiamo  tutti a partecipare alle varie iniziative lanciate in campo nazionale da meltingpot (www.meltingpot.org). Al nuovo governo chiediamo la proroga dell’accoglienza ,con risorse destinate all’inserimento abitativo dei rifugiati, la messa a disposizione di borse lavoro, fondi per la formazione… E’ il minimo per poter offrire un’accoglienza umana a persone che hanno già tanto sofferto nei loro paesi e nell’attraversare il Mediterraneo. Infine un appello alle chiese e alle comunità cristiane perché escano dal loro silenzio e mettano in pratica quelle parole del libro dell’Esodo: ”Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.” [alex zanotelli]

sos rosarno



Fermare questo massacro!

Fare tutto il possibile per difendere Gaza e il popolo palestinese! Non sappiamo se il governo israeliano scatenerà un devastante attacco di terra contro Gaza. Di sicuro Betnjamin Netanyahu vuole  vincere le imminenti elezioni e per farlo vuole offrire al suo elettorato, in sacrificio, il più grande mucchio di cadaveri palestinesi. “Colonne di nuvola”, così le autorità sioniste hanno denominato il loro assalto sanguinario che, mentre scriviamo, ha già fatto 150 vittime e quasi un migliaio di feriti, in gran parte vecchi, donne e bambini. 

Il richiamo a “Colonne di nuvola”, citato nelle sacre scritture, viene fatto in modo strumentale e fondamentalista dall’esercito israeliano per legittimare le sue operazioni genocide. Occorre fermare il massacro in corso, prima che sia troppo tardi, prima che tutto il Medio oriente venga precipitato in un catastrofico caos, a cui probabilmente il regime sionista segretamente cospira, nella speranza che ciò possa spingere gli Stati Uniti a dargli il semaforo verde per l’annunciato attacco apocalittico all’Iran che potrebbe anche portare a un disastro nucleare di proporzioni planetarie. Occorre la mobilitazione più ampia affinché Israele cessi immediatamente i bombardamenti su Gaza, come precondizione per un cessate il fuoco da ambo le parti e per ribadire la nostra solidarietà alla causa della liberazione della Palestina.

Vogliamo infine esprimere il nostro sdegno per la posizione servile assunta dal governo italiano il quale, per bocca del Ministro degli Esteri Giulio Terzi, ha voluto esprimere al suo omologo d'Israele la vicinanza italiana alle autorità sioniste, senza una parola di condanna dei  massicci e criminali bombardamenti israeliani. Troppi crimini insanguinano quell'area del mondo, non ci sono scorciatoie, la guerra no ha mai risolto nulla e anche questa volta sarebbe così, bisogna che i due popoli prigionieri nella sfera della violenza si siedano di nuovo al tavolo del dialogo per trovare una soluzione che garantisca la pace, la stabilità e la sicurezza di tutto il medioriente. Primi firmatari: Alex Zanotelli, Margherita Hack, Manlio Dinucci,  Massimo De Santi, Moreno Pasquinelli, Angelo Baracca.

africa contro africa










invito i giovani

"La terra sostiene la nostra vita sulla Terra, e la Terra non discrimina tra giovani e vecchi, ricchi e poveri, per lei tutti i figli sono uguali. Noi siamo legati alla Terra dal momento che ognuno riceve una giusta, equa e sostenibile parte di risorse: la biodiversità e i semi, il cibo che i semi ci procurano, la terra su cui possono crescere i cibi, l'acqua che scorre nei nostri fiumi e anche l'aria dell'atmosfera che respiriamo.

La più grande sfida che dobbiamo fronteggiare oggi è quello che ho chiamato la rapina dei nostri beni comuni da parte delle multinazionali. I semi come beni comuni sono stati sottratti tramite la privatizzazione e brevettazione, l'acqua è stata privatizzata tramite leggi, la terra è stata privatizzata e rubata nei paesi poveri, in India, in Africa, ma anche nei paesi ricchi a causa dell'aggravarsi della crisi economica. Le vere forze che hanno generato la crisi, tramite una morte finanziaria, ora vogliono  appropriarsi del benessere reale della società e del futuro, vogliono appropriarsi dell'acqua e della terra.

Penso che in questo momento di crisi,  di crisi economica, la terra è l'unico luogo in cui possiamo ritornare per ricostruire una nuova economia; e ogni governo alle generazioni future dovrebbe dire: "non abbiamo molto altro da darvi: abbiamo perso la capacità di darvi lavoro, sicurezza sociale e garantirvi un decente tenore di vita. Ma la terra ha ancora questa capacità, noi consegniamo le terre pubbliche agli agricoltori del futuro: provvedete a voi stessi". Questo è un obbligo, visto il fallimento dei governi, nell'attuale sistema economico, nel prendersi cura dei bisogni della gente; la terra può prendere cura dei nostri bisogni, la comunità può prendersi cura dei nostri bisogni.

E se vogliamo avere un'economia viva, e dobbiamo averla, e se vogliamo avere una viva democrazia, la terra deve essere al centro di questo rinnovamento: dalla morte e distruzione alla vita. Mettere la terra nelle mani delle generazioni future è il primo passo, e se non lo faranno, seguendo la strada giusta, invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze; voi dovete fare un dono al futuro dell'umanità" [vandana shiva]

alternativa

È il decimo anniversario delle spaventose stragi dell’11 settembre 2001, che a detta di tutti hanno cambiato il mondo. Le conseguenze di quegli attentati sono indiscutibili. Tanto per limitarci all’Asia occidentale e centrale, diremo che da allora l’Afghanistan sopravvive a stento, l’Iraq è stato devastato e il Pakistan è sempre più sull’orlo di una crisi che potrebbe rivelarsi catastrofica.

Il 1 maggio di quest’anno Osama bin Laden è stato assassinato proprio in Pakistan, e in quel paese si sono registrate anche le conseguenze più significative dell’11 settembre. A febbraio uno dei massimi specialisti di questioni pachistane, lo storico militare britannico Anatol Lieven, ha scritto sulla rivista The National Interest che la guerra in Afghanistan “sta destabilizzando e radicalizzando il Pakistan, e questo comporta, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo, il rischio di una catastrofe geopolitica che farebbe impallidire qualsiasi cosa possa mai accadere in Afghanistan”.

A tutti i livelli della società pachistana, scrive ancora Lieven, si registrano consensi nei confronti dei taliban afgani: non perché i pachistani li amino, ma perché li considerano “una legittima forza di resistenza contro l’occupazione straniera”, proprio come venivano visti i mujahidin afgani negli anni ottanta, quando lottavano contro i sovietici.

Questi sentimenti sono condivisi dai militari pachistani, che detestano Washington perché li ha coinvolti nella guerra contro i taliban. In Pakistan le forze armate sono un’istituzione stabile, quella che tiene insieme il paese. Gli interventi statunitensi rischiano, scrive ancora Lieven, “di provocare rivolte in alcuni settori dell’esercito”. Se dovesse succedere, “lo stato pachistano si disgregherebbe rapidamente, con tutte le disastrose conseguenze del caso”. Aggravate dal fatto che il Pakistan possiede un arsenale nucleare enorme e che nel paese esiste un forte movimento jihadista. Nel suo libro, Lieven sintetizza così la sua tesi: “Si può dire che i militari americani e britannici vanno a morire in Afghanistan per rendere il mondo più pericoloso per il popolo americano e per quello britannico”.

Più di un analista ha osservato che nella sua guerra contro gli Stati Uniti, Osama bin Laden ha ottenuto alcuni importanti successi. Per esempio, nel numero di maggio di The American Conservative, Eric S. Margolis scrive: “Osama ha ripetutamente affermato che l’unico modo per cacciare gli Stati Uniti dal mondo musulmano è attirare gli americani in una serie di guerre piccole ma costose, che alla fine li mandino in fallimento”. E subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si è capito che Washington era decisa a realizzare gli obiettivi di Bin Laden. Michael Scheuer è un analista della Cia che ha seguito le tracce di Bin Laden dal 1996.

Nel suo libro del 2004, Imperial hubris, Scheuer scrive: “Bin Laden è stato chiarissimo quando ha spiegato all’America per quali motivi ci fa la guerra. Vuole modificare la politica degli Stati Uniti, e di tutto l’occidente, verso il mondo islamico”, e in larga misura è riuscito a farlo. Prosegue Scheuer: “Le scelte politiche statunitensi stanno causando la radicalizzazione del mondo islamico, cosa che Osama bin Laden aveva tentato di fare con un successo relativo, fin dai primi anni novanta. Quindi mi sembra lecito concludere che Washington rimane l’unico alleato indispensabile di Osama bin Laden”. E si può dire che continui a esserlo anche dopo la sua morte.

La sequenza di orrori che ha segnato questi dieci anni fa sorgere una domanda: c’era un’alternativa alla reazione dell’occidente agli attentati dell’11 settembre? Dopo le stragi del 2001, il movimento jihadista, in gran parte critico verso Bin Laden, si sarebbe potuto dividere e neutralizzare se il “crimine contro l’umanità” – come quegli attentati sono stati giustamente definiti – fosse stato affrontato appunto come un crimine, cioè con un’operazione internazionale per catturare i presunti responsabili. Ma nella fretta di fare la guerra quest’idea non è stata neanche presa in considerazione. Anche se Osama bin Laden era stato condannato in gran parte del mondo arabo per gli attentati.

Al momento della sua uccisione Bin Laden era da tempo una figura sempre più sbiadita, e negli ultimi mesi era stato eclissato anche dalla primavera araba. Il suo peso è stato ben descritto dal titolo di un articolo pubblicato sul New York Times da Gilles Kepel, noto specialista di questioni mediorientali: “Bin Laden era già morto”. Quel titolo avrebbe potuto essere fatto molto tempo prima, se gli Stati Uniti, con il loro attacco per rappresaglia contro l’Afghanistan e l’Iraq, non avessero mobilitato il movimento jihadista. Certo, nei gruppi jihadisti Osama bin Laden era venerato come un simbolo, ma ormai non sembra che avesse più un ruolo di primo piano all’interno di Al Qaeda, divisa in sezioni che agiscono spesso in modo indipendente.

Insomma, anche i dati di fatto più evidenti e più elementari di questo decennio ci spingono a riflessioni amare nel momento in cui valutiamo l’11 settembre, le sue conseguenze e le ipotesi sul futuro. [noam chomsky - internazionale 2/9/'11]