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analogie di quartiere

Una mail inviata all’amministrazione di un comune di Bologna, una cittadina che chiede spiegazioni, come giusto che siano. Sono così tante le analogie con il nostro quartiere che sembrano che il fruttivendolo, la suora, il barista e il ragioniere della Sanità abbiano deciso all’unisono di scrivere per acclarare le loro indiscusse e antiche argomentazioni. Pubblico il testo integrale.



“Cogliendo   l’invito dell’Assessore Lepore che auspica una cittadinanza “in conflitto” con le istituzioni (sue testuali parole), t’invio una piccola riflessione in merito all’incontro del primo dicembre. Volutamente provocatoria, nella speranza di suscitare un’emozione, ma soprattutto una reazione costruttiva.  Immaginazione civica: parole evocative che dovrebbero riaccendere speranza e fiducia. E allora perché continuo a rimanere sulla difensiva? Non è un pensiero razionale, piuttosto è un impulso, una sensazione di malessere sotto pelle, che non mi permette di fidarmi fino in fondo (dopo Pilastro 2016).

Immaginazione civica: suona davvero bene. Ai cittadini si chiede cooperazione, idee, progetti, soluzioni ai problemi. Ma non sarà che si chiede di sopperire alla carenza di servizi con il volontariato organizzato? Di trovare soluzioni ai bisogni “isorisorse” (tradotto: a costo zero per voi)? Voi di idee ne avete? Perché le risorse non le avete, lo specificate sempre. Però, forse,  aiuterete i cittadini attivi e propositivi  a trovare degli sponsor. Che fortuna! E lo dite molto soddisfatti, dall’alto del vostro pulpito. Non trovate risposte, ma sponsor, forse sì. Perché voi siete sicuri, attaccati alla certezza del vostro presente, mentre a noi, quelli che fanno fatica a sbracare il lunario, tocca immaginare il futuro… ma dov’è il domani? Perché è davvero troppo lontano per noi. Rischiamo di non avere la forza per raggiungerlo. Il tempo assume un valore diverso a seconda della situazione in cui ci si trova, non dimenticatelo mai. 

E non ditemi che mi lamento del fatto che finalmente si apre alla progettazione dal basso, perché faccio fatica a credere che si dia la possibilità di includere chi è realmente escluso. Agli incontri vedo sempre le stesse facce. Anch’io stessa sono privilegiata, perché sono informata. Ma quando ti trovi realmente ai margini, non è così semplice. Quando sei in una situazione di disagio, quando parli la lingua malamente, quando non sai nemmeno che esista una piattaforma virtuale che ti permette di connetterti con l’amministrazione, (e se anche lo sapessi, a cosa ti potrebbe servire?) quando il lavoro non c’è, quando devi associarti anche solo per far sentire la tua voce (e pure questo costa gli euro di una tessera) … ai reietti, quando capita, si fa solo un’estemporanea beneficenza, invece di “immaginare” di aiutarli a uscire fuori dal disagio per sempre. Perché redistribuire vuol dire dare a qualcuno togliendo ad altri. E se gli uni siamo noi, va tutto bene, ma se siamo gli altri… allora no!   Sui progetti delle cooperative sociali ho sempre qualche perplessità. Perché mi sembra che troppo spesso i reali beneficiari siano le cooperative stesse, piuttosto che i “portatori di bisogni”. 

Scrivete “Vogliamo investire nel capitale sociale con fiducia e coraggio e per questo è importante fin da subito aprire una fase di ascolto”.  La fiducia credo che dobbiate metterla voi, perché noi l’abbiamo esaurita molto tempo fa. Il coraggio, invece, è tutto nostro. Perché, credimi, ci vuole tanto coraggio a non arrendersi e a continuare a guardare avanti.  Ascolto? Stiamo urlando da tanto tempo, non ve ne siete ancora accorti?" [lorenza zullo] 

surplus culturale

Napoli è una città protetta, lo è sempre stato fin dalle suo origini. I terremoti e le calamità naturali hanno sempre risparmiato la città partenopea. San Gennaro in primis tra gli artefici della gamma virtuosa di uomini straordinari, ma sarebbe troppo lunga la sfilza di religiosi da citare. Una “profezia che si autoadempie”, la voglia di sopravvivere, di scherzare con la morte, di farsela amica, un miscuglio di idee, passioni, amore, paura, attese. Ma l’arte della teoria è qualcosa di diverso dalla pratica illuminata nel suo divenire. Noi abbiamo la possibilità di provare che tutto è vero se realmente crediamo a tale verità, anzi essa è tangibile nella mente del singolo e molto spesso anche nella mente collettiva. Naturalmente con le dovute differenze tra malattia e superstizione, quello che nasce è una forma cultuale “alta”, qualcosa di altro dal di fuori, qualcosa che si forgia dentro naturalmente. Spesso una forma poetica, ma anche un semplice morso di tarantola (come nella “terra del rimorso” di E. De Martino), il sangue che si liquefa, le mani con le stimmate, la visione celeste.

L’uomo si protegge, la mamma protegge i suoi piccoli, anche con la preghiera e la vocazione; chi non crede s’aggrappa alla materia che ha sempre una sua giustificazione. Vivere nell’oblio è n’u scuore. Così come la jella è una forma di protezione, la causa che risolve le cose; il rito preclude tutta una serie di inadempienze. Un’altra caratteristica è la mancanza, un “sentimento” che non può essere accettato se si è pari. In passato c’erano i ceti, oggi c’è la finanza che nella sua più diretta espressione mette in relazione la ricchezza con un Dio. Un esempio inversamente proporzionale: il cimitero di Poggioreale di Napoli. Se con l’espressione “Signore onnipotente” si alzano gli occhi al cielo, con la stessa onnipotenza, invece, nel cimitero napoletano quanto più s’abbassano gli occhi tanto più si acquistano prestigi e favori. Per il mondo dei trapassati il diavolo non conta anche se appena sotto i piedi. L’ultimo loculo situato all’ultimo piano di una palazzina e materialmente più vicino al cielo, è considerato dai vivi poco redditizio, mentre ai piani inferiori il prezzo sale vertiginosamente. Insomma una forma di protezione dal basso. Eppure le credenze superano di gran lunga la razionalità, credere senza aver mai visto e sentito, gli esseri umani proteggono se stessi e santificano giorno per giorno le loro fatiche.

Qui c’è una componente, qualcosa che plasma l’essere, il divenire e la sua cultura. Qui c’è un illuminismo che rende magica la jella e lo jettatore. Napoli non è una città contraddittoria, Napoli sconta migliaia di governanti che hanno parlato lingue differenti. Ed anche da questi ultimi i napoletani si sono difesi. La difesa è una condizione umana che pone sempre e comunque delle strategie per sopravvivere. Da questa condizione nasce non una vita parallela ma una ricchezza, una condizione umana che s’interseca nella quotidiana rassegnazione, nell’esistenza continua ed esasperata (conoscere questo surplus culturale è importante).  Proteggersi e proteggere diventa una condizione fondamentale, la costruzione della realtà che parte dalla presenza di una entità che con forza afferma la sua storia. Il male fatto a me, e che mi attanaglia, non mi appartiene, il sangue mi preserva, il rito lenisce il mio dolore, lo jettatore è la mia speranza.

Forme di protezione, forme di mancanza, una forza incontenibile, un plasmarsi di esperienze, di interazioni continue, un continuo nel divenire; così oggi nell’attesa come nella vita, nel sogno come nei numeri a lotto. Questa energia è nuova, nasce e sbilancia, un  moto spontaneo che non potrà essere arrestato. Il Vesuvio ci protegge, san Gennaro ci protegge, la lava dei Vergini ci protegge, rito pagano o religioso che sia è una forza collettiva che non conosce fine. [+blogger]