la risposta non ci convince

Nel 1934 il fotografo Robert Capa pubblicò una delle sue più famose fotografie, “il miliziano colpito a morte” che riscosse un grande successo e divenne un’ icona degli orrori della guerra. La foto in questione suscitò però anche molte polemiche: secondo alcuni testimoni, il miliziano non morì in quel luogo; altri giurarono di ave visto i negativi delle foto scattate in seguito le quali avrebbero riprodotto lo stesso miliziano che rialzarsi, correva. Credo che il lavoro di un giornalista non sia lontano da quello del fotografo, quando quest’ultimo “fotografa” e descrive ciò che gli sta intorno, e per quanto in buona fede, il suo lavoro si differenzia da quello dello scienziato sociale, che a scapito della sintesi, crea l’ossatura della propria ricerca in modo da evitare gli ostacoli che da sempre si trovano sul “cammino” verso una solida analisi scientifica: etnocentrismo, preconcetti, luoghi comuni, bias cognitivi e così via. Capisco che il suo lavoro di giornalista non richiede lo giustificarsi di una qualsivoglia linea metodologica (anche se è ovvio che in qualsiasi lavoro si applica una visione e una linea da seguire) ciononostante, in quanto giornalista, lei non può ignorare la pericolosità di un certo tipo di “fotografie”: quando nel suo articolo scrive frasi come: “una buona parte dei ragazzi... non ha mai visto il mare..” oppure “la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato”, quando lei cita la frase di Alex Zanotelli estrapolandola da un contesto diverso e incollandola nel suo articolo, lei cade purtroppo nello stereotipo e nel luogo comune anche se in buona fede. Che significa “una buona parte”? Quanti ragazzi ha visto? Cosa intende, per ragazzi? Bambini?, adolescenti? Da quale fonte ha attinto questa informazione? Questa variabile è presa in considerazione come indicatore di quale fenomeno in particolare? Su quali basi lei afferma che l’unica appartenenza comune fra i giovani del rione Sanità sia il tifo sfegatato? Come ha escluso le altre forme possibili? E’ per questo motivo che la letteratura scientifica è meno fruibile di quella giornalistica, non potendo, per motivi metodologici, sintetizzare un lavoro in due pagine di giornale e soprattutto perché, uno scienziato sociale, sempre e a-priori, deve esplicitare la sua metodologia e con essa gli ostacoli che lo portano ad una eventuale distorsione del fenomeno da descrivere. Io credo sia nei punti sopra citati, il fulcro della discordanza di punti di vista fra lei e il Sig. Caiafa, fra il giornalista e il sociologo. Non metto in dubbio l’onestà intellettuale che ha nel suo lavoro, ma con un po’ di umiltà dovrebbe chiedersi se le sue frasi “totalizzanti” (“l’unica appartenenza, ”l’unico modello”.. ecc.) descrivono la realtà complessa e varia di un rione dove vivono 65mila persone e dove probabilmente non esiste solo il sottoproletariato e la camorra come modello (e in ogni caso, se già uno solo degli abitanti di questo quartiere smentisce quest’affermazione, la generalizzazione risulta falsa in sé). Il suo lavoro è ben lontano da un tipo di ricerca di stampo sociologico, ma lei mi dirà, è un giornalista non un sociologo. Guardare la foto di Capa, ha aiutato i suoi contemporanei nella conoscenza degli eventi avvenuti durante la guerra civile spagnola? Certamente no, ma lui da ottimo fotografo ne volle fare il simbolo della brutalità della guerra, sinonimo di morte e sofferenza e non certo un trattato di storia. Il suo articolo avrebbe potuto essere almeno una bella fotografia: una foto per denunciare il fenomeno della povertà, della disoccupazione, della disgregazione familiare, della malavita organizzata, della mancanza dei mezzi forniti per arginare tali problematiche, avrebbe potuto sì prendere come esempio il rione sanità, ma inserendolo in un contesto più ampio e meno stereotipato. Ma a mio parere, è invece proprio descivendo il rione sanità in modo così estremo e totalizzante che ha toppato. Perché in guerra ci sono miliziani che muoiono ma la guerra non è la foto di un miliziano che muore.


Nota aggiuntiva riguardante la risposta pubblicata del Sig. Mastandrea
Nel suo articolo di risposta lei scrive:Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla
Non vedo assolutamente nel testo del Sig. Caiafa una qualsivoglia giustificazione alla camorra. Potrebbe indicarmela? Quando lei scrive:In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa”. Non mi sembra che il suo articolo parlasse d’influsso della politica sul quartiere, né di situazione italiana, né della città di Napoli in generale. Il suo articolo prende come esempio - quasi come archetipo della decadenza e della camorra - il quartiere e i suoi abitanti, questi ultimi descritti come massa incolta e decadente, una massa che i pochi «illuminati» cercano faticosamente di emancipare. E’ così che vede il rione Sanità? E’ questa l’idea che ha sviluppato e che vuole descrivere? In ogni caso è questa l’impressione che ho avuto leggendo il suo articolo. Non sarebbe l’unico a pensarla così, questa visione è molto diffusa anche fra certi intellettuali «radical chic» ma è appunto la visione che critico e che ritengo distorta e fuorviante. La realtà è sempre più complessa e meno semplicistica che certe immagini stereotipate. E’ questo approccio che, mi sembra di capire, critichi il Sig. Caiafa e che critico con forza anch’io - e a ragione!: lo stereotipo viaggia veloce come la luce, marca l’immaginario collettivo, crea stigmatizzazioni, giustifica la sua stessa immagine distorta al punto che gli stessi abitanti del quartiere interpretino la realtà così come proposta dai media e la veicolino a loro volta. E’ questo il fulcro della critica non certo il giustificazionismo di cui lei parla e dal quale si difende. [Leandra Figliuolo]  

ieri su "il manifesto"

Lettera alla redazione de “Il Manifesto” Alla cortese attenzione della direttrice Norma Rangieri Cara direttrice le scrivo per avere chiarezza e se possibile pubblicare una smentita in relazione all’articolo pubblicato sul suo giornale il 30 giugno di quest’anno, articolo che parlava del rione Sanità, Napoli. Sono un cittadino del quartiere, volontario da circa 10 anni e studioso del luogo. La prego di leggere attentamente, spero in un riscontro positivo e ulteriori spiegazioni. Con stima. 

Smentita
Il 30/06/13 il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diventare “veline” in tv e i ragazzi pensano solo al motorino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per questo che buona parte dei ragazzi di questa enclave di 67 mila abitanti incastonata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Plebiscito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere. Si continua a legge: “…la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato, quasi una religione, per la squadra di calcio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre (e siamo tantissimi). Mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione per qualche emigrato in provincia e nel nord Italia. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella rione sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino. Da anni lo ripeto e lo scrivo sul blog del rione Sanità, se non cambiamo linguaggio, se non incominciamo a trattare questa gente da esseri umani, se non consideriamo la loro dignità non ricaveremo un bel niente né dalla gloria né dalla nostra stessa presunzione. E’ un errore esprimere i nostri giudizi di valore senza considerare le altre variabili come la povertà, la storia, la singola esistenza. Sul giornale si legge ancora: “L'aspetto peggiore sono i morti ammazzati per strada, il modello socioeconomico camorrista considerato l'unico possibile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [Antonio Caiafa - quartieresanita.org] 

La Risposta del Giornalista 
Gentile Antonio Caiafa, il reportage in questione riguardava il fermento sociale e culturale del Rione Sanità, un quartiere napoletano generalmente ritenuto “difficile” (vogliamo mettere in discussione anche questo?): il teatro “sott’o ponte” in una chiesa sconsacrata, il lavoro delle cooperative di ragazzi organizzate da un prete “di frontiera”, don Antonio Loffredo, che ad esse ha dedicato un bel libro, “Noi del Rione Sanità”, appena pubblicato da Mondadori. Da blogger informato delle vicende del rione, avrà saputo che alla presentazione, alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martini, hanno partecipato decine di giovani del quartiere, e ne hanno discusso con don Antonio Loffredo, il sociologo Vincenzo Moretti che alla Sanità ha dedicato un bel libro ed Ermanno Rea, che mi ha accompagnato nella mia scorribanda giornalistica raccontandomi, tra i vicoli e nelle cave di tufo, com’era il quartiere ai tempi in cui, ragazzino, andava dai nonni nella zona più povera, i Cristallini. Se avesse partecipato, avrebbe potuto fornire il suo punto di vista e, parlando come ho fatto io con i giovani sottratti alla strada da don Antonio, avrebbe scoperto che una delle attività consiste nel far conoscere il mare ai ragazzini che non l’hanno mai visto. Mi dispiace contestarle tutto, ma non mi risulta che Alex Zanotelli abbia smentito le sue affermazioni, per cui respingo gentilmente, ma fermamente, al mittente ogni illazione. Aggiungo che il punto di vista di Zanotelli è persino più duro: sostiene di aver trovato più voglia di reagire tra i baraccati di Korogocho che a Napoli. Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla. Da meridionale come lei, e di estrazione affatto borghese, quando ascolto discorsi giustificazionisti fondati su presunti torti storici o esimenti quali la povertà penso che la rivoluzione meridionale, ad opera dei meridionali stessi come sarebbe piaciuto a un antifascista liberale qual era Guido Dorso, è ancora ben lungi dal maturare. In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa. [Angelo Mastrandrea]

Pubblicato il 23/08/2013 sul giornale "Il Manifesto" nella sezione Lettere alla redazione. 

l'incompetenza di alcuni giornalisti

INIZIATIVA CONTRO ALCUNI GIORNALISTI INCOMPETENTI.


Volevo chiedervi, se possibile, (sempre se lo ritenete giusto), di mandare una mail di protesta alla redazione de Il Manifesto. Il 30/6/2013 è stato scritto un articolo (purtroppo era postato interamente in rete, adesso, non so perché, si vede solo l’introduzione (il manifesto), tradotto anche in altre lingue (vedi commenti all’articolo del blog del rione sanità). Visto che è vergognoso (nell’articolo di "smentita" potete leggere alcune singole assurde affermazioni dell’autore con altre varie citazioni (quartieresanita.org), vi prego di sostenere questa iniziativa visto che ho già scritto alla cortese attenzione della direttrice del giornale di cui sopra ricevendo in cambio un silenzio umiliante. Se inviamo più mail non possono snobbarci, devono prendere in considerazione la dignità della gente del rione. 

PER NON FARTI PERDERE TEMPO COPIA E INCOLLA QUESTE POCHE RIGHE. Questi gli unici indirizzi mail presi dal sito de “Il Manifesto”.

redazione@ilmanifesto.it
amministrazione@ilmanifesto.it

(testo da copiare e incollare) 

Alla cortese attenzione della Direttrice de Il Manifesto
Dopo la pubblicazione poco rispettosa del 30/06/2012 nei confronti dei circa 60mila abitanti che vivono nel rione Sanità, firmato da Angelo Mastrandrea, dal titolo “Sotto il ponte della Sanità dove la vita è tutta un teatro”, chiedo alla direttrice Norma Rangeri di smentire facendo chiarezza sulle affermazioni scritte e pubblicate dal giornale “Il Manifesto”. Per una giusta e corretta informazione, perché la partecipazione e la libertà di pensiero siano più forti del pressappochismo e della gloria - www.quartieresanita.org (http://www.quartieresanita.org/2013/07/il-manifesto-scimmiotta.html)  - grazie. 

big bang

La presunzione degli uomini nei confronti degli animali è indiscutibile. Eppure siamo tutti terrestri, chi ha stabilito che l’uomo è superiore agli animali? Solo perché è più cattivo?, solo perché uccide milioni di specie differente al giorno?, solo perché ha fondato le religioni? Qual è l'intelligenza?: quella che sfrutta la terra fertile fino a farla diventare arida, oppure quella di un essere”inferiore” che vive in equilibro con essa? L’animale se ammazza un altro animale lo fa per mangiare, l’uomo invece per guadagnare o per puro divertimento. L’animale difende la sua specie, l’uomo invece distrugge la sua specie. Gli animali non ammazzano gli uomini. Allora gli uomini, inventori straordinari, decidono di inventare le religioni. E’ vietato (o non) mangiare un maiale, oppure digiunare per un intero periodo ti tempo. È obbligatorio il velo, la confessione, la preghiera; è peccato bestemmiare, è normale la ricchezza, è giustificata l’onnipotenza, è previsto il paradiso, 50 donne per ogni uomo, è prevista la vita eterna.

La supremazia dell’uomo sull’animale. La cattiveria e l’ignoranza. L’essere e l’avere. Dio sarebbe tutto questo, dio sarebbe superiorità, ingegno scientifico nella distruzione, e se in passato veniva disegnato con qualche testa di un animale, oggi l’esasperazione del guadagno ha stampato dio sulla carta moneta. Per certo sappiamo che il Signore oggi si trova nell’Istituto Poligrafico e zecca dello stato. Così se veramente esiste l’Altissimo, queste invenzioni lo faranno sparire di nuovo nel prossimo big bang. [+blogger]      

et



in breve

Abbiamo bisogno di riposo. Il rione va in vacanza. Caldo, umidità, stanchezza, mal di stomaco, afa e tutto quello che si “respira” in questi giorni nel quartiere. Le solite cose. Le promesse dei politici. Continua chiusura e riapertura dei CAF. Le strade bucherellate. La pessima informazione. Le notizie di routine. Non si può combattere contro i mostri sacri del giornalismo, la Repubblica, il Manifesto, il Roma, Il Mattino. Sul rione si pubblicano solo schifezze, si scrivono solo dei morti ammazzati, si fa solo sensazionalismo. “La carità pelosa di donna Prassede” è sempre in agguata. 

C’è un signore anziano che da qualche anno vive nella sanità, magro, smunto, biondo, allegro. Ha fondato da solo, scrivendo con una vecchia macchina da scrivere, l’”Associazione Alcolisti Anonimi”. Mi ha detto: “devo tappezzare il quartiere, distribuire fotocopie per cercare di far uscire allo scoperto una condizione tragica e nascosta”. Chi beve tanto sogna la morte. 

C’è un’altra associazione di anonimi. Quest’ultima si è costituita qualche anno fa: l’”Associazione Giocatori Anonimi. Per 10 euro mi sono giocata il mio corpo e la mia stima. 50mila euro in un mese. I soldi della pensione di mia nonna. Ho rubato, scippato, truffato. Riscuoto il soldi della pensione di mio padre morto. Informazione a tappeto anche per noi, si può e si deve uscire da una condizione di malattia, una malattia infantile per un gioco che non finisce mai. 

Niente da fare, la notizia resiste più dell’informazione, il giornalista deve far sussultare gli animi, così come in una commedia tragicomica si deve piangere si deve ridere. Non è la professione che impone certe inadeguatezze, è la svendita della qualità, come il paparazzo che scatta per inerzia, così come l’inserzionista che impone un format televisivo. Ma la gente non è stupida. Come affermava Albert Einstein: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”. [+blogger]