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ceta

UNA TESTA DELL’IDRA

"Le disuguaglianze e il riscaldamento sono le principali sfide del nostro tempo", scrive il noto economista francese T. Piketty. Da qui la necessità di stipulare trattati internazionali che consentano di rispondere a queste sfide promuovendo un modello di sviluppo sostenibile. Da questo punto di vista, l’Accordo commerciale tra Canada e Unione Europea (CETA) è un trattato di altri tempi. E va quindi respinto". Piketty, autore del noto studio Il Capitale del XXI secolo, motiva così questo suo giudizio sul CETA. “Il trattato è di natura strettamente commerciale e non contempla alcuna misura vincolante sul piano monetario o climatico".

Penso che Piketty abbia colto, in poche parole, il perché il CETA vada respinto al mittente. E’questo il momento di farlo. Infatti il 30 ottobre si sono chiusi a Bruxelles i negoziati portati avanti, per sette anni, in maniera quasi segreta, dalla Commissione Europea e dal governo canadese. Questo nonostante le proteste popolari e mediatiche culminate nella coraggiosa opposizione del Parlamento Vallone, purtroppo superata dal Sì del Belgio alla condizione però che l’ok finale dovrà essere dato non solo dai parlamentari del Canada e della UE, ma anche da quelli dei 27 paesi della UE. Ora tocca al Parlamento europeo discuterlo ed approvarlo, facilmente a fine gennaio/inizio febbraio. Per questo è necessario far montare, come abbiamo fatto per il TTIP (Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti), una campagna mediatica contro il CETA.

Ma dobbiamo fare uno sforzo grande per informare i cittadini sul perché rifiutiamo questo Accordo. Questo trattato è prima di tutto un grande regalo alle multinazionali e una lotta al ruolo e alle competenze dei governi ed enti locali. Il trattato infatti prevede l’abbattimento delle cosiddette barriere non tariffarie’, Questa è un’espressione precisa per definire l’attacco al diritto al lavoro, alla difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici come acqua, scuola, sanità. Il Trattato poi prevede il diritto delle multinazionali di chiedere compensazioni agli Stati contro l’"espropriazione indiretta" dei profitti previsti. Una clausola che consente alle multinazionali di citare gli Stati davanti a tribunali arbitrali. Il CETA poi contiene clausole che impediscono la ri-pubblicizzazione dei servizi idrici, ferroviari…

Inoltre l’Accordo prevede un "Forum sulla cooperazione regolatoria" che istituzionalizza l’influenza delle lobby nel processo legislativo. In poche parole il CETA consentirebbe ad almeno 40 mila multinazionali USA tra le quali Coca Cola, Wal Mart e tante altre di ottenere grandi benefici nei 27 paesi della UE. Questo Accordo  poi, se approvato dal Parlamento europeo, aprirà le porte agli altri due Trattati ancora più pericolosi: il TTIP (Partenariato Commerciale USA-UE ) e il TISA (Accordo sul Commercio dei Servizi).

Il TTIP è ora su un binario morto, sia per la forte opposizione popolare sia per l’arrivo di Trump. Ma in questo momento i prestigiatori finanziari potrebbero tirar fuori dal cilindro il più pericoloso di tutti i trattati: il TISA che impedirebbe i monopoli pubblici (educazione nazionale) e fornitori esclusivi di servizi, anche a livello regionale e locale (per esempio le municipalizzate per i servizi idrici). Come cittadini non possiamo accettare l’approvazione di questi accordi il CETA, TTIP, TISA che consegnerebbero l’Europa e il mondo alle sole logiche del mercato. E’ proprio quanto Papa Francesco bolla con tanta forza: "l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria".
Se vogliamo bloccare questa deriva, dobbiamo fermare ora il CETA che apre le porte a tutto il resto. 

Il tempo è breve, febbraio è alle porte. Per informazioni ulteriori basta entrare nella rete#stopttipItalia che porta avanti anche la campagna contro il CETA. Mobilitiamoci! E’ quanto ci invita a fare Papa Francesco, che parlando al terzo Congresso Mondiale dei Movimenti Popolari tenutosi a Roma il novembre scorso ha detto: “Quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle ‘grandi decisioni’ che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste”. Insieme ce la possiamo fare. [alex zanotelli]

mors tua vita mea

L'arretratezza dei napoletani? Sono forse un cittadino represso, ma la storia che gli italiani al nord si sono liberati da soli e quelli al sud, invece, hanno aspettato gli alleati dimostra ancora forti lacune. Paradigma o no, gli effetti di quello che sta succedendo nel rione, parere personale, sono dovuti ad una scellerata commistione, d'altronde abbastanza antica, di sviluppo verticistico unilaterale. (mamma mia che parolone). E' la vecchia storia: mors tua vita mea. Quello che forse non ho inteso è il fatto che chi, per esempio, organizza una rappresentazione teatrale nell'ossario delle Fontanelle lo fa anche perché... sono i morti a chiederglielo: perché dovrebbero privarsi di tutto ciò? Ricordate lo striscione che comparve sull'entrata del cimitero di Poggioreale nell'anno del primo scudetto del Napoli?!: "Che ve site perz"!!", e il giorno dopo un altro striscione diceva: "Ma chi ve l'a ditto?!"

Se una concezione particolare ci unisce alla morte, questo non sfugge all’economia che fa proseliti in nome di una giustificata concezione messianica: con i soldi puoi fare tutto. Ma anche se in ritardo qui le differenze iniziano a farsi sentire, e se prima la popolana gravida urlava a squarciagola, oggi spizzicca un po’ l’italiano antico. La questione salvifica, immaginazione creata da una commistione di giudici e giudizi, attualmente fa leva su delle incongruenze . Qualche associazione mette su un comizio politico di vecchi democristiani nostalgici, e subito parte una kermesse di azioni intellettuali. Il proselitismo sfoggia la sua ultima pizza, il suo babà ricco di arte e di cultura e così se su google cerchiamo rione Sanità in primis esce la camorra, poi una pizzeria e subito dopo una pasticceria. Il che è abbastanza confortante visto le premesse passate di un rione ombra. 

Il rivoluzionario oggi non si vanta di avere gli ipogei dei Cristallini o i palazzi del Sanfelice, meglio una accomandazione per il paradiso. “Sono il solito criticone che sa solo lamentarsi”. La pezza a colori la conosciamo un po’ tutti e intanto il gioco non sono io a condurlo. I cani sciolti fanno affari. Il politico si vanta, l’eroe di turno anche, si vanta il religioso e le suore, il cittadino medio e l’intellettuale, mi vanto anche io di aver scritto quest’articolo pur avendo la febbre a trentanovemezzo. Ma non è tanto per giustificare le inesattezze di cui sopra direte, forse se stavo zitto avrei almeno colto il murale di piazza Sanità, vera trasformazione e rivoluzione formativa. [+blogger]

paghe a somma zero

Se trent’anni fa mio padre guadagnava un salario di 1milione e 300milalire, l’equivalente dei  circa 800 euro dei contratti che attualmente ti offrono, sempre nelle migliori ipotesi, questo vuol dire che non solo il nostro paese in tutto questo tempo non è avanzato, ma che è tornato indietro sottraendo lavoro e ricchezza, un gap degenerativo a somma zero. Per i salariati e tutti i nuovi contratti, la busta paga si calcola così: 1+1 = 1 oppure 1+1+1 = 1. Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha detto che per mantenere il posto di lavoro il calcolo dello suo stipendio è stato fatto in questo modo: 1+1 = 0. Mi spiego meglio.

Nella ditta dove lavora è arrivata una comunicazione informale: “i dipendenti devono rinunciare volontariamente al contratto stipulato precedentemente per firmarne un altro”. Quest’ultimo impone ai lavoratori 30 ore settimanali rispetto alle 40 previste dall’altro. Tutti hanno dovuto accettare per forza questa nuova imposizione previo licenziamento. La cosa più “interessante” è che non solo alla fine del mese hanno visto diminuire del 25% la loro paga (senza discriminazione, da chi prendeva un stipendio di 1500 euro all’apprendista che ne prendeva solo 600), ma in realtà hanno continuato a lavorare per 8 ore al giorno e per 5 giorni settimanali.

Questa nuova forma di lavoro “partecipato” ha una sola univoca caratteristica: è legittimo. Oggi giovani laureati se non hanno una sacrosanta “raccomandazione” (anche se questa sta perdendo i suoi presupposti originari), sono costretti ad accettare paghe di 400 o 500 euro al mese. Diciamo che ci si può anche accontentare se non fosse per le parole di un saggio senatore della repubblica che qualche anno fa ha dichiarato su radio24 che “…15mila euro al mese non bastano per vivere e fare la vita da politico”.


Se la nuova o vecchia classe imprenditoriale, se i ministri e i sottosegretari e se le leggi che regolano il mercato hanno in se i germi della disuguaglianza (anche questa parola sta cambiando i suoi “connotati”), quello che ci deve mettere in guardia maggiormente è la norma che definisce e che può rendere ovvio anche le assurdità.  Offrire uno stipendio da fame attualmente è legittimo specialmente se negli affari si coinvolgono i poveri. Se dietro un lavoratore ce n’è un altro che accetta questo stato di cose è assurdo prendersela con quest’ultimo anche se è normale accusarlo. Questa normalità è diventata regolare, tantoché gli stipendi non si elargiscono secondo i propri bisogni ma secondo le proprie aspettative (figuriamoci se parliamo di lavoro fatto con la forza fisica… anatema). Se dopo 30 anni torniamo indietro di 30 anni vuol dire che L’Italia è rimasta ferma  nel 1950. [+blogger]                        

napoli non parla

Napoli non “parla”, Napoli non si ribella, Napoli è schiacciata dall’indifferenza e dalla delusione. Napoli, peggiore città: “Se l’Italia ha il raffreddore, Napoli ha la bronchite”. Sul “Venerdì” di Repubblica l’autore ci ha spiegato che adesso il capoluogo campano ha la polmonite, metafora che assicura un pò di gloria all’ex sindaco Jervolino sotterrando definitivamente De Magistris e la sua giunta. Nepotismo, malaffare, criminalità e mancanza di senso civico sono le definizioni che ricorrono nell’articolo, settimanale 1331 del 20 settembre 2013.

Su Economia e Finanza dell’8 gennaio 2012 si legge che le regioni più interessate dall’evasione fiscale con un netto incremento sulle altre sono la Lombardia e il Veneto. Tra le città, inoltre, dove si commettono più reati, in cima alla classifica ci sono: Milano (fonte: ilgiornale.it), subito dopo Roma, poi Torino, Napoli, Genova, Bologna, Bari, Firenze e Brescia (fonte: ilsole24ore.com). Il Nord Italia batte il Sud avendo più del doppio delle città incriminate. Anche se l’articolo su Venerdì di Repubblica parla della ribellione dei napoletani nei confronti dei nazisti, per contro di quella ribellione che invece adesso non c’è, l’infiammazione polmonare attribuita alla città partenopea fa male e, ancora una volta, non inquadra l’esatto problema né mette in luce le dinamiche che Napoli subisce da trent’anni a questa parte.

Mentre tutti urlano alla vittoria contro il 41bis la congestione tra politica e mafia/camorra si scioglie a suon di voti e raccomandazioni. A partire dal 1980 in poi il carcere duro infittisce la rete e sposa l’elettorato attraverso un’influenza criminale, sfruttando la povertà dei quartieri e delle periferie. Nel frattempo si organizzano anche le grandi città, cosicché le irregolarità diventano legittime. Questa legittimità è ormai evidente è ciò che sfrutta di più questo stato di cose sono i luoghi comuni.


Non dobbiamo cadere in questa trappola, è molto facile accusare e riservare nella storia un primato negativo, un primato che ci vede come l’ombelico del culo. Se Napoli ha una particolarità è anche perché tutti quelli che la leggono (eccezioni escluse), non hanno capito un cazzo. Fior di etichette pullulano nel marasma di una definizione, tanto che nemmeno i dati grezzi possono far cambiare idea. Se questa città è particolare è perché essa fa parte di una nazione particolare, di uno stato giovane che continua ad andare a votare solo perché da poco ha raggiunto la sua indipendenza. Perché il prossimo sindaco sarà di destra? Perché la gente in parte non ha capito cosa sia realmente la democrazia, se una forma di potere invisibile alle masse oppure un escamotage per sottintendere una stato dispotico che, per grattarsi i coglioni, ha bisogno delle mani dei lavoratori e dei più poveri. [+blogger]     

operazione san gennaro

Ho letto il libro uscito poche settimane fa del parroco della basilica di piazza Sanità, conosciuta come chiesa di San Vincenzo. Aldilà del giudizio personale, ho invece intenzione di soffermarmi sulla questione, che ricorre un po’ in tutto il testo, del turismo nel quartiere. E’ chiaro che l’autore è un fautore della concezione classica del turismo di massa: restaurare le catacombe, le chiese, i palazzi, fare visite guidate per il rione, ecc ecc. Il progetto, don Antonio, lo ha battezzato con il nome di "Operazione San Gennaro": progetti per sfruttare le cave (cave di tufo greco/romane), costruendoci piscine, terme, centri di massaggio, bagni turchi, discoteche... 

Due anni fa ho visitato Taormina: è sensazionale. Il panorama si “apre” nella sua bellezza quasi irreale, le strade sono pulitissime, gli alberi sono perfetti. Mentre si sale con l’auto per raggiungere il centro storico, decine di alberghi ti accolgono attraverso il profumo di gelsomini e fiori di campo, la stazione ferroviaria è perfetta, una pulizia spasmodica. Il centro poi è immaginario, ti sembra di stare in un film di Dino Risi. Ovunque turisti, negozi che vendono souvenir, per parcheggiare l’auto devi spendere una fortuna. Questo splendore turistico è diventato un luogo solo per ricchi, per chi ha uno yacht e milioni da spendere. La sensazione è stata quella, dopo averla visitata, di essermi trovato in un luogo falso. La bellezza di Taormina sbilancia così tanto che alla fine ho creduto di aver visto un luogo costruito da un macellaio che si improvvisa architetto (con tutto il rispetto per le due professioni). Questa città è stata espropriata della sua gente e della sua storia per lasciare posto ai b&b, agli albergatori, ai ristoratori e gli affaristi di turno. Ed è per questo che è diventata brutta. Tutto sa di falsità, di pomposità, così come l’eccessiva maniacale perfezione.

Il rione Sanità, in 5 km quadrati, ha tutto quello che la gente non è mai riuscita a raccontare degnamente. Palazzi straordinari, cave sotterranee, ossari, catacombe, affreschi, chiese, ipogei. E’ il quartiere del Sanfelice, di Totò e di Chiurazzi; è il rione dei monasteri, delle vie, dei vicoli, della Salita del presepe e della discesa dei cinesi. Il quartiere è bello perché è così, perché ci vivono ancora le stesse persone che quaranta anni fa cucivano i guanti per strada, ci vivono ancora i calzolai, gli operai, i falegnami, i cappellai. Se dovesse succedere la stessa cosa che è successa a Taormina sarebbe la fine di questo luogo, la storia sarebbe espropriata, la falsità echeggerebbe nella sua forzatura, nella sua grettezza eccessiva, nella sua ossessionante concezione del bello. 

Ecco perché sono contro l’autore del libro di cui sopra. Non si può e non si deve pensare alla concezione economica incontrollata così come il mercato l’ha imposta. Questo sarebbe la fine di questo meraviglioso rione. Il turismo va pensato attraverso una moderata concezione, attraverso l’equilibrio che può crearsi tra la gente del luogo e lo “straniero”. Se, per esempio, durante un percorso guidato, 30 turisti tedeschi sono obbligati a fermarsi in quella tale pizzeria, in quella tale pasticceria oppure in quel tale b&b, allora questo significa che i 50 mila abitanti del rione continueranno a rimanere nella povertà mentre solo una piccolissima minoranza ne beneficerà con risultati disastrosi e mortificanti, evidente agli occhi di tutti.[+blogger]       

accendiamo i riflettori

Più di 400 servizi sulle nozze di William e Kate, 91 sul matrimonio di Alberto di Monaco e solo 41 sull’emergenza nutrizionale nel Corno d’Africa. Sono i dati del rapporto “Le crisi umanitarie dimenticate dai media, 2011” (Marsilio Editori) realizzato per l’ottavo anno da Medici senza frontiere (Msf) in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia.

Per il 2011, Msf ha deciso di porre l’attenzione su come i telegiornali italiani hanno trattato il tema dell’immigrazione in seguito alle rivolte esplose in Tunisia, Egitto e Libia. E poi ha seguito altri due fronti di crisi: le “crisi sanitarie” (come la malnutrizione in Somalia, la diffusione dell’hiv/aids e le malattie tropicali dimenticate) e le “crisi umanitarie” su cui i riflettori dei mezzi d’informazione italiani si sono accesi solo parzialmente (Costa d’Avorio, Sudan e Sud Sudan, Bahrein, Repubblica Democratica del Congo).
L’Osservatorio di Pavia ha analizzato lo spazio dedicato dalle edizioni serali dei tg Rai, Mediaset e La7 alle crisi selezionate da Msf. Nel 2011, i telegiornali hanno dedicato circa il 10 per cento del totale dei servizi a contesti di crisi, a conflitti e a emergenze umanitarie e sanitarie, e tra questi spiccano naturalmente le rivolte della primavera araba (Libia in primis) e il terremoto in Giappone. E questo spiega l’incremento rispetto al 6 per cento del 2009.
Per la prima volta, Msf ha deciso inoltre di far monitorare come e quanto i tg italiani hanno raccontato l’arrivo in Italia dei migranti in fuga. A questo tema nel 2011 sono state dedicate 1.391 notizie e, anche se non si tratta di una crisi dimenticata, preoccupa il modo in cui è stata rappresentata. Analizzando gli sbarchi in alcune settimane campione, il termine “emergenza” risulta il più diffuso per comunicare il contenuto della notizia, mentre le condizioni medico-sanitarie dei migranti non sono quasi mai il focus centrale della narrazione.
“Il dato più sconcertante è che in questi servizi è praticamente assente la voce dei migranti”, sottolinea Kostas Moschochoritis, direttore generale Msf Italia. “I protagonisti a cui è data voce sono nel 65 per cento dei casi i politici, tra governo e amministrazioni locali. Alle testimonianze dei migranti è stato riservato solo il 14 per cento dello spazio; il 12 per cento alle comunità locali e il 10 per cento alle realtà impegnate nella gestione del fenomeno”, come forze dell’ordine, esponenti religiosi, società civile, organizzazioni. Nelle immagini, inoltre, i bambini che approdano sulle coste italiane sono mostrati in video senza nasconderne il volto.
In tempi di informazione globale, nel 2011 sono stati solo cinque i servizi dedicati alla Repubblica Democratica del Congo (Rdc), 10 alla Costa d’Avorio, 14 quelli sull’hiv/aids, zero quelli sulle malattie tropicali rare che colpiscono la popolazione dei paesi in via di sviluppo. Resta in ombra anche il Bahrein, con solo 24 notizie. All’emergenza nutrizionale nel Corno d’Africa sono state dedicate 41 notizie e 44 al Sudan. Il totale dello spazio dato a tutte queste crisi insieme resta comunque lontano dalle 413 notizie dedicate invece alle nozze reali di William e Kate. Il matrimonio di Alberto di Monaco si è invece guadagnato “solo” 91 servizi.
Di aids, in generale, si è parlato soprattutto in relazione ai viaggi del papa e, a differenza di altri anni, nessuno dei tg ha dedicato una notizia alla pandemia in occasione della giornata mondiale (1 dicembre). L’aids è ormai invisibile. E, altrettanto drammaticamente, viene ignorata la crisi del Fondo globale per la lotta contro aids, tubercolosi e malaria, che avrà effetti devastanti: con l’annullamento dell’ultima tornata di finanziamenti (il Round 11), fino al 2014 non sarà possibile aumentare il numero di pazienti in cura. La “nostra” influenza stagionale è stata invece abbondantemente coperta dai tg con 92 servizi.
“Non siamo sicuri che le parole siano in grado di salvare vite, ma sappiamo con certezza che il silenzio può uccidere. Per questa ragione continuiamo a stimolare i media a parlare delle crisi umanitarie. In questo nuovo rapporto, tra le varie crisi che hanno determinato la primavera araba, abbiamo voluto accendere un riflettore sul Bahrein, crisi pressoché ignorata dai media, ma gravissima ed esemplare dal punto di vista della manipolazione dell’assistenza medica come strumento di identificazione e arresto dei dimostranti”, dichiara Kostas Moschochoritis.
Il caso del Bahrein è emblematico: in ben sette servizi dei 24 totali, si parla del paese solo in relazione al gran premio di Formula 1. Ancora oggi in Bahrein l’accesso alle cure è un problema, e i pazienti continuano a evitare di rivolgersi agli ospedali pubblici per farsi curare, a causa della discriminazione percepita e dei maltrattamenti. Msf chiede di poter tornare in Bahrain dove da marzo non è più autorizzata a entrare.
Ma è la condizione dei profughi dal Mali fuggiti in Burkina Faso, Mauritania e Niger la crisi su cui oggi Msf chiede di accendere i riflettori. “Il Burkina Faso è, dopo la Mauritania, il paese con il più alto numero di profughi in fuga dal Mali dove fornire assistenza medica è estremamente difficile e i maliani continuano ad arrivare ogni giorno mentre gli aiuti internazionali sono lenti e insufficienti. Chiediamo ai mezzi d’informazione italiani di accendere i riflettori su quest’area dimenticata, colpita pesantemente dalla siccità e dall’insicurezza alimentare”, aggiunge Kostas Moschochoritis.
Msf oltre al rapporto, lancia in questi giorni la nuova applicazione gratuita per Android e iPhone: “Msf. Senza mai restare a guardare”, che ha l’obiettivo di aggiornare gli utenti sulle sfide e l’impegno di Msf in difesa delle popolazioni più vulnerabili. [fonte: internazionale.it]