Fermare questo massacro!

Fare tutto il possibile per difendere Gaza e il popolo palestinese! Non sappiamo se il governo israeliano scatenerà un devastante attacco di terra contro Gaza. Di sicuro Betnjamin Netanyahu vuole  vincere le imminenti elezioni e per farlo vuole offrire al suo elettorato, in sacrificio, il più grande mucchio di cadaveri palestinesi. “Colonne di nuvola”, così le autorità sioniste hanno denominato il loro assalto sanguinario che, mentre scriviamo, ha già fatto 150 vittime e quasi un migliaio di feriti, in gran parte vecchi, donne e bambini. 

Il richiamo a “Colonne di nuvola”, citato nelle sacre scritture, viene fatto in modo strumentale e fondamentalista dall’esercito israeliano per legittimare le sue operazioni genocide. Occorre fermare il massacro in corso, prima che sia troppo tardi, prima che tutto il Medio oriente venga precipitato in un catastrofico caos, a cui probabilmente il regime sionista segretamente cospira, nella speranza che ciò possa spingere gli Stati Uniti a dargli il semaforo verde per l’annunciato attacco apocalittico all’Iran che potrebbe anche portare a un disastro nucleare di proporzioni planetarie. Occorre la mobilitazione più ampia affinché Israele cessi immediatamente i bombardamenti su Gaza, come precondizione per un cessate il fuoco da ambo le parti e per ribadire la nostra solidarietà alla causa della liberazione della Palestina.

Vogliamo infine esprimere il nostro sdegno per la posizione servile assunta dal governo italiano il quale, per bocca del Ministro degli Esteri Giulio Terzi, ha voluto esprimere al suo omologo d'Israele la vicinanza italiana alle autorità sioniste, senza una parola di condanna dei  massicci e criminali bombardamenti israeliani. Troppi crimini insanguinano quell'area del mondo, non ci sono scorciatoie, la guerra no ha mai risolto nulla e anche questa volta sarebbe così, bisogna che i due popoli prigionieri nella sfera della violenza si siedano di nuovo al tavolo del dialogo per trovare una soluzione che garantisca la pace, la stabilità e la sicurezza di tutto il medioriente. Primi firmatari: Alex Zanotelli, Margherita Hack, Manlio Dinucci,  Massimo De Santi, Moreno Pasquinelli, Angelo Baracca.

l'europa torna indietro

Angela Merkel ci aveva messo in guardia già nel 2009: non aspettiamoci miracoli, perché nessuna decisione politica, per quanto coraggiosa, potrà scongiurare il crollo dell’economia europea. A quel tempo la cancelliera era l’unica a presagire il futuro in questi termini. Oggi ci si accorge invece che aveva visto giusto, commenta Nicolas Veron, esperto dell’istituto Bruegel di Bruxelles. A cinque anni dall’inizio della crisi, la situazione economica dell’Unione resta drammatica: sono in recessione 17 paesi membri su 27. Nei paesi colpiti più duramente dalla crisi, come Spagna o Portogallo, dovrà passare almeno una generazione prima che si riesca a compensare il calo del livello di vita. Un simile lasso di tempo potrà rivelarsi insostenibile per l’Ue. Per la prima volta dalla sua creazione l’Unione europea, contrariamente alla zona euro, rischia di disgregarsi. 

Di mese in mese questo scenario si fa sempre più evidente, senza che si possa dire quale processo – quello della costruzione di un’Eurolandia forte intorno alla Germania, o quello della disintegrazione del blocco dei paesi euroscettici, Regno Unito in testa – prenderà il sopravvento sull’altro. Una cosa è certa : questi sviluppi non sono quelli che Angela Merkel auspicava e che anzi ha tentato in ogni modo di impedire. In particolare, la cancelliera voleva che la nuova Unione più integrata facesse posto a tutti gli effetti alla Polonia e ad altri stati dell’Europa centrale, paesi che costituiscono per la Repubblica federale non soltanto una base industriale (le aziende tedesche vi hanno delocalizzato buona parte della loro produzione), ma fungono anche da alleati nel Consiglio dell’Ue quando insieme a Berlino sostengono riforme strutturali e responsabilità di bilancio. Il progetto di questa Europa, tuttavia, è fallito. Sotto la pressione dei mercati, i dirigenti della zona euro hanno gettato le basi di un sistema istituzionale della zona euro con una supervisione bancaria, un controllo della politica monetaria e un budget indipendente. 

Queste misure dovevano costituire il minimo vitale per garantire il buon funzionamento della zona euro, senza arrecare danno ai fondamenti dell’Unione europea. Oggi possiamo constatare che si tratta di un’ipotesi irrealistica, ammette Cinzia Alcidi del Ceps (Center for european policy studies). La situazione particolarmente rischiosa riguarda la pietra angolare dell’integrazione, il mercato unico. Nei paesi nei quali lo stato dell’economia ispira la fiducia degli investitori, per esempio Germania e Paesi Bassi, le spese dei crediti contratti dagli imprenditori sono notevolmente inferiori a quelle dei paesi della periferia dell’Ue. Non si può più parlare pertanto di una concorrenza alla pari, a favore della quale Bruxelles ha operato negli ultimi cinquant’anni. Altra constatazione fallimentare è quella relativa al flop del modello europeo mirante a un certo equilibrio nei livelli di vita all’interno dell’Unione. 

Grazie ai fondi strutturali, ma anche garantendo libero accesso al mercato dell’Ue per tutte le entità economiche, si è effettivamente riusciti a limitare gli squilibri negli standard di vita dei vari paesi europei. La Grecia, per esempio, fino al 2009 poteva vantare un reddito pro capite corrispondente al 94 per cento della media dell’Union, non troppo distante da quello della Germania (115 per cento). Ma oggi i divari tra questi due paesi si sono enormemente accresciuti: il livello di vita in Grecia è sceso al 75 per cento, raggiungendo uno standard equiparabile a quello della Polonia, mentre quello della Germania è decollato al 125 per cento. Secondo le stime degli economisti, queste disuguaglianze si acuiranno ancor più negli anni a venire. 

Quest’evoluzione implica che gli interessi degli stati membri saranno sempre più divergenti. Mentre romeni, bulgari, greci e portoghesi cercheranno di garantire la sopravvivenza delle loro popolazioni, la Germania e la Svezia preferiranno mettere l’accento sulle questioni ambientali e le fonti alternative di energia. Secondo Veron sarà come dialogare tra sordi. La crisi ha eliminato anche un altro grande risultato dell’integrazione: il modello sociale europeo, che il mondo intero ci invidiava. I tagli di bilancio che si sono susseguiti non soltanto in Spagna e in Grecia, ma anche in Francia e nel Regno Unito, generano una drastica riduzione delle garanzie sociali, in materia di diritto del lavoro, di pensioni, di disoccupazione, e creano di conseguenza una generazione di giovani privi di prospettive di un impiego stabile, senza i presupposti materiali per poter mettere su famiglia. Berlino resta sola Perfino il quotidiano filoeuropeo Der Spiegel ammette apertamente che il centro decisionale dell’Ue si è spostato da Bruxelles a Berlino. Ciò è avvenuto senza alcuna particolare pressione da parte dei tedeschi, ma per esclusione. 

Tra i sei paesi più importanti dell’Ue, due – Italia e Spagna – non sono neppure stati presi in considerazione a causa dei loro enormi problemi economici. Il Regno Unito, invece, si è autoescluso da solo. Quanto alla Polonia, in ragione del suo potenziale economico ancora troppo debole e del fatto che non fa parte della zona euro, non può pretendere di rivestire un ruolo chiave. Per un certo periodo è sembrato che l’Europa fosse dominata dal tandem franco-tedesco, il famoso “Merkozy”. Ma dall’elezione del nuovo presidente francese François Hollande è diventato chiaro che Parigi, a fronte di grossi problemi economici, non è in grado di trattare da pari a pari con la Germania. Berlino, dunque, è rimasta sola sul campo di battaglia. Focalizzata sui propri problemi, l’Europa non riesce a occuparsi di quelli altrui. Di conseguenza la disintegrazione della politica estera comunitaria è un’altra cupa profezia che si avvera sotto i nostri occhi. 

L’evoluzione autoritaria dell’Ucraina, la situazione drammatica della Siria, l’abbandono della lotta per i diritti dell’uomo in Cina sono soltanto alcuni esempi dell’impotenza dell’Ue. Nel frattempo la questione dei futuri allargamenti dell’Ue è stata accantonata: l’adesione all’Unione ormai sarebbe concepibile soltanto per i paesi dei Balcani che si trovano all’interno dei confini dell’Europa. L’offerta più ambiziosa, in particolare nei riguardi dei paesi dell’ex Unione Sovietica e della Turchia, non è più all’ordine del giorno. A cinque anni dallo scoppio della crisi l’Europa sopravvive, almeno per ora. Ma le perdite sono astronomiche e l’Unione europea è regredita sulla strada dell’integrazione per imbattersi in quegli stessi problemi che credeva di aver risolto 30 o 40 anni fa. Ormai perfino gli ottimisti dicono: “Purché le cose non peggiorino”. [di Jędrzej Bielecki, traduzione di Anna Bissanti - fonte: presseurop.eu ]

un giardino pubblico



è etico pagare il debito?

Ho riflettuto a lungo come cristiano e come missionario, nonché come cittadino, sulla crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, e sono riandato alla riflessione che noi missionari avevamo fatto sul debito dei paesi impoveriti del Sud. Per noi i debiti del Sud del mondo erano ‘odiosi’ e ‘illegittimi’ perché contratti da regimi dittatoriali per l’acquisto di armi o per progetti faraonici , non certo a favore della gente. E quindi non si dovevano pagare! “E’ immorale per noi paesi impoveriti pagare il debito,” - così affermava Nyerere, il ‘padre della patria ‘ della Tanzania, in una conferenza che ho ascoltato nel 1989 a Nairobi (Kenya). “ Quel debito- spiegava Nyerere- non lo pagava il governo della Tanzania, ma il popolo tanzaniano con mancanza di scuole e ospedali.” La nota economista inglese N.Hertz nel suo studio Pianeta in debito , affermava che buona parte del debito del Sud del mondo era illegittimo e odioso. Perché abbiamo ora paura di applicare gli stessi parametri al debito della Grecia o dell’Italia? 

Nel 1980 , il debito pubblico italiano era di 114 miliardi di euro, nel 1996 era salito a 1.150 miliardi di euro ed oggi a quasi duemila miliardi di euro. “Dal 1980 ad oggi gli interessi sul debito- afferma F.Gesualdi- hanno richiesto un esborso in interesse pari a 2.141 miliardi di euro!” Lo stesso è avvenuto nel Sud del mondo. Dal 1999 al 2004 i paesi del Sud hanno rimborsato in media 81 miliardi di dollari in più di quanto non ne avessero ricevuto sotto forma di nuovi prestiti. E’ la finanziarizzazione dell’economia che ha creato quella ‘bolla finanziaria’ dell’ attuale crisi. Una crisi scoppiata nel 2007-08 negli USA con il fallimento delle grandi banche ,dalla Goldman Sachs alla Lehman Brothers ,e poi si è diffusa in Europa attraverso le banche tedesche che ne sono state i veri agenti, imponendola a paesi come l’Irlanda, la Grecia…”Quello che è successo dal 2008 ad oggi- ha scritto l’economista americano James Galbraith-è la più gigantesca truffa della storia.” Purtroppo la colpa di questa truffa delle banche è stata addossata al debito pubblico dei governi allo scopo di imporci politiche di austerità e conseguente svendita del patrimonio pubblico. Queste politiche sono state imposte all ’Unione Europea dal ‘Fiscal Compact’ o Patto Fiscale , firmato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 capi di Stato della UE. Con il Fiscal Compact si rendono permanenti i piani di austerità che mirano a tagliare salari, stipendi, pensioni, a intaccare il diritto al lavoro, a privatizzare i beni comuni. Per di più impone il pareggio in bilancio negli ordinamenti nazionali. I governi nazionali dovranno così attuare, nelle politiche di bilancio, le decisioni del Consiglio Europeo, della Commissione Europea e soprattutto della Banca Centrale Europea (BCE) che diventa così il vero potere’ politico’ della UE. Il potere passa così nelle mani delle banche e dei mercati. La democrazia è cancellata. 

L’ha affermato la stessa Merkel: ”La democrazia deve essere in accordo con il mercato.” Siamo in piena dittatura delle banche. E’ il potere finanziario che ha imposto come presidente della BCE, Mario Draghi, già vicepresidente della Goldman Sachs, (fallita nel 2008!) e a capo del governo italiano Mario Monti, consulente della Goldman Sachs e Coca-Cola, nonché membro nei consigli di amministrazione di Generali e Fiat. (Monti fa parte anche della Trilaterale e del Club Bilderberg) .Nel governo Monti poi molti dei ministri siedono nei consigli di amministrazione dei principali gruppi di affari della Penisola: Passera , ministro dello Sviluppo Economico, è ad di Intesa San Paolo; Fornero, ministro del lavoro , è vicepresidente di Intesa San Paolo; F. Profumo, ministro dell’istruzione è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia; P. Gnudi, ministro del Turismo, è amministratore di Unicredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il Parlamento, è vicedirettore del Banco Popolare e amministratore di Pirelli. Altro che ‘governo tecnico’: è la dittatura della finanza! Infatti sotto la spinta di questo governo delle banche, il Parlamento italiano ha votato il ‘Patto Fiscale’, il Trattato UE che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del PIL in vent’anni. Così dal 2013 al 2032, i governi italiani , di destra o sinistra che siano, dovranno fare manovre economiche di 47-48 miliardi di euro all’anno ,per ripagare il debito. “ Noi italiani siamo polli in una macchina infernale - commenta giustamente F.Gesualdi - messa a punto dall’oligarchia finanziaria per derubarci dei nostri soldi con la complicità della politica.” E ancora più incredibile è il fatto che sia stato proprio il Parlamento , massima istituzione della democrazia, a mettere il sigillo “ a una interpretazione del tutto errata della crisi finanziaria, ponendola nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale- così pensa L. Gallino. La crisi, nata dalle banche, è stata mascherata da crisi del debito pubblico.” Il problema non è il debito pubblico (anche se bisogna riflettere per capire perché siamo arrivati a tali cifre!), ma il salvataggio delle banche europee che ci è costato almeno 4mila miliardi di dollari , a detta dello stesso presidente della UE, Barroso (Sembra che il salvataggio delle ‘banche americane’ fatto da Obama sia costato su 14mila miliardi di dollari!). 

E’ chiaro che non possiamo accettare né il Patto fiscale della UE, né la sua ratifica fatta dal Parlamento italiano ,né la modifica costituzionale dell’articolo 81 ,perché a pagarne le spese sarà il popolo italiano. C’è in Europa una nazione che ha scelto un’altra strada:l’Islanda. La nostra stampa non ne parla. L’Islanda piuttosto che salvare le banche (non avrebbe neanche potuto farlo, dato che i suoi debiti si erano gonfiati fino a dieci volte del suo PIL!), ha garantito i depositi bancari della gente ed ha lasciato il suo sistema bancario fallire, lasciando l’onere ai creditori del settore piuttosto che ai contribuenti. E la tutela del sistema di welfare, come scudo contro la miseria per i disoccupati, ha contribuito a riportare la nazione dal collasso economico verso la guarigione. E’ vero che l’Islanda è un piccolo paese ma può aiutarci a trovare una strada per tentare di uscire dalla dittatura delle banche . Per questo suggeriamo alcune piste per una seria riflessione e conseguente azione: 1) Richiesta di una moratoria per il pagamento del debito pubblico; 2) Indagine popolare (audit) sulla formazione del nostro debito pubblico allo scopo di annullare la parte illegittima, rifiutando di pagare i debiti ‘odiosi’ o ‘illegittimi’, come ha fatto l’Ecuador di R. Correa nel 2007; 3) Sospensione dei piani di austerità che, oltre essere ingiusti, fanno aumentare la crisi; 4) Divieto di transazioni finanziarie con i paradisi fiscali e lotta alla massiccia evasione fiscale delle grandi imprese e degli straricchi; 5) Messa al bando dei ‘pacchetti tossici’ e della speculazione finanziaria sul cibo; 6) Divisione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ in entità più controllabili, imponendo una chiara distinzione tra banche commerciali e banche di investimento; 7) Apertura di banche di credito totalmente pubbliche, 8) Imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie per la ‘tracciabilità’ dei trasferimenti e un’altra sui grandi patrimoni; 9) Rifondazione della BCE riportandola sotto controllo politico (democratizzazione), consentendole di effettuare prestiti direttamente ai governi europei a tassi di interesse molto bassi. 

Sono solo dei suggerimenti per preparare un piano serio ed efficace per uscire dalla dittatura delle banche. Per chi è interessato alle campagne in atto per un’altra uscita dal debito, consulti: smonta il debito,www.cnms.it.; rivolta il debito,www.rivoltaildebito.it; no debito,www.nodebito.it Se ci impegniamo, partendo dal basso e mettendoci in rete, a livello italiano ed europeo, il nuovo può fiorire anche nel vecchio Continente. Da parte mia rifiuto di accettare un Sistema di Apartheid mondiale dove il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse: un pianeta con un miliardo di obesi tra i ricchi, e un miliardo di affamati tra gli impoveriti, e dove ogni minuto si spendono tre milioni di dollari in armamenti e nello stesso minuto muoiono per fame la morte di quindici bambini. Il mercato, la dittatura della finanza si trasformano allora “ in armi di distruzione di massa”, dice giustamente J. Stiglitz, premio Nobel dell’economia. “Il potere economico-finanziario lascia morire-afferma F. Hinkelammert- e il potere politico esegue…. Entrambi sono assassini.” Diamoci da fare perché vinca invece la vita! [alex zanotelli]

250 film in 2 minuti e mezzo


domenica 11 novembre

DOMENICA 11 NOVEMBRE ORE 11 FACCIAMO FESTA NEL GIARDINO!…PER STARE INSIEME…giocare…fare MUSICA…teatro…e piantare un fiore! IL  GIARDINO DEI DESIDERI A MATERDEI E’ DIVENTATO REALTA’! 

Venerdì 5 ottobre 2012 IL GIARDINO dell’ex convento delle Teresiane, sito in via S.Raffaele 3 è stato aperto. Un centinaio di persone, membri del Comitato, di associazioni del quartiere e semplici abitanti di Materdei, hanno messo una porta per poter finalmente riaprire il giardino murato e restituirlo al quartiere ed alla città per una fruizione gratuita e collettiva. La decisione di una simile azione, presa in numerose assemblee popolari pubbliche svoltesi nella piazza S. Ammirato (metro), è giunta dopo tre anni di inutili trattative con le giunte comunali succedutesi, come testimoniano raccolte di migliaia di firme, verbali di incontro, presidii, partecipazione delle scuole del territorio e ben due sopralluoghi tecnici. COSA CHIEDIAMO AL COMUNE Chiediamo di assumersi la responsabilità a tenere aperto questo luogo, con un servizio di guardiania/portierato. 

Non ne vogliamo fare un posto chiuso gestito da questo o quel gruppo, ma un giardino pubblico e gratuito.  Lo stabile però è stato inserito nelle liste di dismissione della Romeo Immobiliare, quindi cartoralizzato, perché l’intenzione delle istituzioni era quello di darlo a privati, come sta accadendo per tantissimi servizi e spazi pubblici. Tanti sono gli abitanti del quartiere che si stanno  adoperando ogni giorno  per ripulire e mettere in sicurezza il giardino contando solo sulle proprie braccia senza finanziamenti né attrezzature, per recuperarlo e poterlo utilizzare come luogo di socialità, incontro tra culture diverse, aggregazione. Un luogo dove poter  sviluppare e creare forme di solidarietà, cooperazione, di partecipazione dal basso e di  resistenza alla crisi. Per questo martedi 6 novembre abbiamo avuto un incontro con il Comune e abbiamo presentato le nostre richieste! Il giardino è del quartiere!

Comitato Abitanti Materdei, Ass.ne Via Nova, Rete della Sanità, Ass.ne culturale  Tinghel Tanghel , Pensare e Fare, Comitato genitori VI° circolo didattico. Grazie. [ Barbara, per il Comitato Abitanti Materdei ]  



stop agli arraffa terra

Appello contro il Land-Grabbing - Muti spettatori, stiamo assistendo ad un’altra operazione di ladrocinio internazionale che, in inglese, è chiamata land-grabbing e in italiano potremmo tradurre  con arraffaterre. E’ una forma aggiornata di neo-colonialismo. Alcune multinazionali dell’agro-alimentare e alcuni gruppi finanziari (banche private, fondi- pensione, fondi di investimento) attratti dai prezzi dei generi alimentari in aumento e dalla domanda crescente di biocarburanti e di prodotti agricoli si sono buttati nel grande affare di acquisire, nel sud del mondo, terre coltivabili e fonti d’acqua associate.

In questi ultimi anni milioni di ettari di terre arabili sono state comperate, a bassissimi prezzi, per produrvi derrate alimentari, mangimi, o biocarburanti che vanno a beneficio degli speculatori, ma a danno degli agricoltori locali e dei pastori ai quali è tolto l’accesso alla terra e all’acqua. Spesso le popolazioni espulse dalla terra sono vittime di sgomberi violenti, lasciate senza risarcimenti adeguati o fonti di reddito. A loro resta spesso solo andare a ingrossare il popolo delle baraccopoli. Si calcola che ,nella sola Africa,  67 milioni di ettari di terra siano stati accaparrati (equivalenti alla superficie della Germania e dell’Italia). L’Eldorado del land-grabbing è oggi l’Africa (anche se il fenomeno è molto presente sia in Asia come in America  Latina). Questo scempio è venuto alla ribalta quando nel 2008 il governo del Madagascar concluse il gigantesco accordo con la multinazionale coreana Daewoo che prevedeva la cessione gratis per 99 anni della metà della terra arabile del paese. L’affare scatenò proteste di piazza che spazzarono via il governo di M. Ravamanana.

Ma in Africa non c’è solo la Corea, ci sono anche le due grandi potenze asiatiche: Cina e India. Quest’ultima ha già investito 2,4 miliardi di dollari per l’acquisto di terre nell’Africa Orientale: Etiopia, Kenya, Madagascar e Mozambico. Particolarmente imponenti gli investimenti indiani per l’acquisto di terre in Etiopia che sta diventando il ‘Brasile dell’Africa’ .L’Etiopia vuole infatti diventare  il più grande produttore di biocarburanti del continente. Altrettanto imponenti gli investimenti dell’Arabia Saudita in Etiopia, per avere derrate alimentari per la propria popolazione. Il miliardario saudita Mohamed Hussein Al Amoudi sta mettendo le mani  su 300.000 ettari oltre quelli che già ha ottenuto a Gambela al confine con il Sudan. La Cina sta arraffando terre un po’ ovunque nel continente africano, in particolare in Sud Sudan che sta attirando l’appetito di molte nazioni (Questo avviene in un’Africa che deve importare ogni anno decine di milioni di tonnellate di derrate alimentari!).

L’Europa non è seconda a nessuno in questo business e l’Italia brilla in questa nuova forma di neocolonialismo.  “L’Italia, è tra i paesi europei, uno dei più attivi negli investimenti europei su terra all’estero, seconda solamente all’Inghilterra-afferma il documento Gli arraffa  terre, redatto da Re: Commo-con Germania, Francia, Paesi Scandinavi, Olanda e Belgio a seguire.”Venti imprese italiane si giocheranno un pezzo di pianeta che potrebbe raggiungere nei prossimi anni oltre 2 milioni di ettari, tra queste le più note sono Benetton, Cir(di Carlo De Benedetti), Eni, Moncada, principalmente impegnate in Mozambico.Tra le banche più coinvolte sono le tre big del credito (Unicredit, Intesa e Monte dei Paschi di Siena). Se in Patagonia si è mossa alla grande Benetton, in Africa stanno arraffando terre parecchie imprese a medie dimensioni, soprattutto in Senegal e Etiopia.

Dietro a tutto questo ‘arraffa terre, ci stanno le grandi istituzioni internazionali. “La Banca Mondiale-afferma la nota organizzazione popolare Via Campesina- è una delle forze trainanti dietro al land-grabbing che permette al grande business mondiale di inghiottire terre e risorse ai danni delle comunità locali.” La Banca Mondiale, in violazione con il suo stesso mandato, sta favorendo gli investitori attraverso prestiti ad hoc e assicurazioni contro le perdite e sta poi persuadendo i governi del Sud del mondo a modificare le proprie leggi sulla proprietà della terra per renderle funzionali agli investimenti esteri. Non possiamo accettare né come cittadini né come credenti questa nuova forma di colonialismo di un’odiosità e pericolosità senza pari. E’ la negazione di diritti umani fondamentali : diritto al cibo e all’acqua! Questo nuovo fenomeno porterà alla fame e alla disperazione milioni di contadini del Sud del mondo. Nella tradizione biblica ci viene sempre ricordato che la “ la terra è di Dio” e quindi deve essere equamente divisa tra tutti perché tutti possano vivere. In nome di questa tradizione ebraico-cristiana, i vescovi africani riuniti a Roma, per il Sinodo Africano (2009) sono stati categorici su questo argomento:” Questo Sinodo invita urgentemente tutti i governi africani ad assicurarsi che i loro cittadini siano protetti contro l’ingiusta esclusione dalla propria terra e dall’accesso all’acqua che sono beni essenziali della persona umana.”

Nello stesso spirito, i vescovi del Kenya, lo scorso agosto, hanno pesantemente attaccato il loro governo, reo di volere offrire 500mila ettari di terre a multinazionali per produrre cibo da esportare o per biocarburanti, mentre tanti in Kenya soffrono la fame. E’ proprio per questo che il gruppo di Giustizia, Pace e Salvaguardia del creato dei missionari/e comboniani/e, riunito a Rio de Janeiro, il giugno scorso, ha deciso di preparare e sostenere una campagna di sensibilizzazione contro questo nuovo crimine contro l’umanità. E la famiglia comboniana intende farlo insieme a tutti coloro che si stanno impegnando su questo tema come la Rete europea degli istituti missionari (AEFJN) che ha sede a Bruxelles. (email:aefjnnews@aefjn.org) Facciamo nostro il grido dei missionari  riuniti durante il Forum Sociale Mondiale (2011) a Mbour (Dakar): "Vogliamo continuare ad impegnarci per assicurare che l’Africa non subisca un altro genocidio in conseguenza del land-grabbing". [alex zanotelli]