Visualizzazione post con etichetta emigrato. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta emigrato. Mostra tutti i post

Donald

NAPOLI - Lo si poteva incontrare quasi sempre, da anni, passeggiando per le strade del centro storico di Napoli. A Spaccanapoli, piazza del Gesù, piazza San Domenico, piazzetta Nilo, non c’era angolo in cui non lo si notasse col suo finto becco da uccello, i suoi campanellini appesi al collo, la sua barba lunga, la sua veste da “santone” e un bastone che dava l’idea un totem indiano. D’ora in poi, però, non sarà più così: Donald, uno dei personaggi on the road più conosciuti del cuore antico della città, si è spento dopo una lunga malattia all’ospedale Pellegrini. La notizia del suo decesso ha fatto il giro di facebook, dove tantissimi amici e fan sono intervenuti per lasciare un ricordo o per esprimere il loro cordoglio. “Lo ricorderò sempre quando andava in giro con la cornetta di un telefono giocattolo - scrive qualcuno - col filo infilato in tasca, e diceva di poter chiamare Dio con quella”. “Un pezzo di storia che se ne va. Come mi dispiace, riusciva sempre a farti sorridere. Era magico, quest'è certo, e la sua memoria rimarrà”, scrive qualcun altro. Saltimbanco, attore, improvvisatore di strada: questo e altro era l’enigmatico Donald, un “eroe dei nostri tempi”, come lo ha definito il regista Alessandro Abate, che a lui ha dedicato un documentario. “Era un uomo libero, che ci ha fatto capire che si può vivere anche in un altro modo”.

DALLA SCOZIA AL RESTO D’EUROPA - Ma chi era Donald? Di lui sappiamo che nasce in Scozia nel 1950 e uscito dall’istituto cattolico dove aveva trascorso tutta l’adolescenza, dopo un breve rapporto con la famiglia, decide di lasciare casa e di andare a lavorare: finisce a fare il vaccaro in un paesino del nord del suo Paese. Intanto sulle note dei Beatles e dei Rolling Stone, provenienti da radio Carolina, l’emittente pirata che illegalmente trasmetteva da una nave fuori dalle acque territoriali inglesi, i giovani si stavano preparando ai giorni della contestazione. Il movimento contro la guerra avrebbe portato di lì a poco milioni di persone nelle piazze di tutto il mondo. Sull’entusiasmo di quegli anni Donald decide di lasciare i pascoli e andare in giro per il mondo, inizia a vivere fra Londra e Amsterdam, trascorre otto mesi in carcere nella Spagna franchista per un battibecco animato con un componente della guardia civil, mette al mondo una figlia con una donna olandese e poi inizia a girovagare per l’Europa. 

A NAPOLI IL “MUSEO DEL SOMARO” - In Italia ci arriva negli anni ’80. Dopo una breve sosta toscana, Donald arriva a Napoli. Non è un clochard qualsiasi, ha sì problemi d’alcol, ma non è alla deriva esistenziale come i suoi compagni di strada e va ad abitare in una casa in rovina sulla pedamentina di San Martino, offertagli da Peppe Morra, dove fonderà il “Museo del somaro”, una sorta di comune artistica per senza fissa dimora”. A Napoli, fin da subito, Donald ha un altro rapporto con i luoghi che abita e con la gente che incontra per strada: si rivela artista, comunicatore; il suo vero dono è riuscire ad instaurare rapporti con chiunque. Attraverso travestimenti continui rompe gli schemi comunicativi, abbatte le barriere difensive, entra in comunicazione con la parte più giocosa delle persone, ma non dimentica di farli pensare. Donald - come spiegano i suoi amici - era infatti convinto che l’arte entrando in contatto con la parte creativa di ognuno, potesse aiutare l’umanità a riscattarsi dalla propria miseria esistenziale. 

UN “BARBONE DIVERSO” - Il suo pensiero sul barbonaggio è diverso: non vuole chiedere l’elemosina, è un rapporto paritario di dare e avere, i suoi interventi sulla realtà sono una sorta di situazionismo positivo. I suoi “personaggi” sembravano venire dal mondo delle fiabe; le sue provocazioni di cartone, sonagli, nastri colorati lo rendevano una sorta di sciamano a cui è dato vedere lontano (non a caso una delle sue maschere più fedeli ha un lungo cannocchiale finto attraverso il quale meravigliato guarda l’orizzonte). In questi giorni la libreria Perditempo di via San Pietro a Majella e di piazza Dante sta organizzando una raccolta fondi per far cremare le sue spoglie. Occorrono circa tremila euro. In molti già hanno promesso un’offerta. [Marco Perillo - Fonte]

nulla di più

Piazza sanità, una coppia di srilankesi con tre figli, un’altra che si è sposata da poco: per far venire in Italia suo marito ha dovuto sborsare 8000 euro. Vivono assieme in una casa di circa 30metri quadri. 400 euro al mese più 30 euro condominio a parte luce, il gas, ecc ecc. La prima coppia guadagna circa 700 euro al mese, lui fa il portiere di un albergo di notte, lei la sguattera per il quartiere. L’altra coppia, gli sposini, la donna lavora alle dipendenze di una vecchia baldracca di corso Vittorio Emanuele, lui per adesso non conosce la lingua e sta a guardare la moglie. Assieme le coppie guadagnano circa 1400 euro che devono ripartire per la casa, il condominio, le spese per le cure mediche, per mangiare, per mandare soldi ai parenti, per vivere, per amare nella felicità.

Una delle donne spesso mi chiede dove può comprare a buon prezzo il detersivo, la frutta, l’olio, i vestiti per i figli. Hanno lasciato i pareti stretti, hanno lasciato la loro infanzia, fanno l’amore per corrispondenza, si sposano per “successione”.

Queste persone emigrano dalla povertà, si fittano case che costano più di quello che guadagnano, si fidano delle “sanzare” povere che spiluccano soldi, accettano lavori sottopagati. Vivono una condizione ibrida in un paese straniero, vivono in un rione povero dove lo sfruttamento non è compreso abbastanza, vivono per dichiarare guerra alle monetine che ti permettono di campare. E’ la storia di Eduardo e del suo vicolo?, è la voglia forse di imparare una nuova lingua? E’ forse la forza della sincerità che ti trascina via, che ti lascia indietro, che ti fa capire che l’esistenza è solo questa? Malgrado tutto c’è la vita, se la sporchiamo o no, questi sono problemi nostri e non solo, se invece una persona è costretta a lasciare il paese d’origine è perché la sua terra ha deciso di non essere più “sfruttata”.

Mi avvicino con discrezione e spesso sento il loro disagio, è un disagio che vivo anche io qui a Napoli, da Italiano, un disagio che mi trapassa, mi respinge, che ritorna come ritorna il nostro passato. Vi consiglio di vedere un film: “Almanya – La mia famiglia va in Germania”. Non si parla di srilankesi ma di turchi che emigrano in Germania. [+blogger]

salviamo la pachamama

“Come abbiamo salvato Sorella acqua, così ora dobbiamo salvare Madre Terra”, potrebbe essere lo slogan delle Giornate appena trascorse a Genova e di quel colorato corteo di oltre 50.000 persone, che ha sfilato per le vie di quella città. Da Genova gridiamo a tutti che la cittadinanza attiva, che i poteri forti avevano tentato di massacrare nelle giornate del G8 del 2001, è più forte e vegeta di allora. Ne è riprova la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua e sul nucleare. Queste giornate genovesi ci hanno aiutato a ritrovarci , a ricompattarci per la grande sfida: salvare la Madre Terra. La comunità scientifica mondiale è concorde nel ritenere che se non ci saranno delle sterzate radicali, la temperatura sul nostro pianeta salirà di i 3-4 gradi. Sarebbe una catastrofe. E i tempi per evitarla sono strettissimi: una decina di anni? Gli esperti ci dicono che per salvarci, dobbiamo tagliare l’80% dell’emissioni di gas serra entro il 2050. E i governi del mondo non ne vogliono sentir parlare, tanto è che hanno fatto fallire tutti i tentativi per trovare una soluzione, dal Protocollo di Kyoto(1997) alle 16 Conferenze delle Parti (COP), tenutesi tra il 1995 e il 2010. Clamoroso il fallimento della COP 15 a Copenaghen nel 2009 con oltre 15.000 delegati! E lo scorso anno altro fallimento a Cancun, in Messico. Ed ora ci prepariamo alla COP17 che si terrà a Durban, in Sudafrica. Ma le prospettive non sono buone perché i governi sono prigionieri dei potentati economico-finanziari-agroindustriali che traggono enormi profitti da questo Sistema.

Ancora più grave è che ora vogliono fare business anche con la crisi ecologica tramite la cosiddetta “green economy”, la geo-ingegneria e le nano-tecnologie.
La Rete per la Giustizia Ambientale e Sociale (RIGAS) riunita qui a Genova, invita tutti a organizzarsi, come abbiamo fatto per l’acqua, a livello locale,regionale e nazionale. Abbiamo quasi tutti contro, i media, i partiti, i poteri economico-finanziari. Dobbiamo, partendo dal basso, ritornare a parlare alla gente, aiutarla a capire che ora è in ballo il futuro stesso dell’umanità e della nostra Casa Comune: la Terra. Dobbiamo aiutare tutti a comprendere che sono il modello di sviluppo ed il nostro stile di vita due delle ragioni fondamentali del surriscaldamento e del disastro ecologico (il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse a velocità incredibile!). Se tutti nel mondo seguissero i precetti e le proposte della governance globale, avremmo bisogno di quattro pianeti Terra in più per far fronte alle risorse necessarie a questo modello di sviluppo ed ai rifiuti che questo stile di vite produce. Solo se cambieremo il modello e lo renderemo sostenibile, permetteremo a tutti di vivere. La salvezza ed il futuro di molti non dipenderanno certo dalle false soluzioni offerte da BM, multinazionali e governi che maggiormente inquinano. False soluzioni come green economy, “mercato del carbonio”, “Reed+”, introducono l’assurdo principio del ‘diritto ad inquinare’ e finanziarizzano la crisi ecologica per poterci speculare, aumentando il problema invece che risolverlo. Questo mix letale rischia di dare il colpo mortale al nostro ecosistema ed ai diritti di miliardi di persone ed altri viventi sul pianeta Terra.

Per questo come Rete chiediamo a tutti di unirsi, di connettersi, di informarsi e di informare su vari livelli. Livello personale: un cambiamento di stile di vita, più consapevole e sobrio nei consumi, nel lavoro e nel risparmio. Livello locale: spingere affinché le amministrazioni optino per il riciclaggio totale dei rifiuti, dicendo no agli inceneritori, insieme ad un piano energetico basato sul risparmio e l’efficienza. Livello nazionale: lavorare per un Bilancio Energetico Nazionale all’altezza del Piano Europeo che prevede di ridurre di oltre il 30% le emissioni di gas serra entro il 2020. Livello europeo: sostegno al Piano presentato dalla Commissione Europea, che prevede una riduzione per tappe dell’80% delle emissioni di gas serra entro il 2050. Livello globale: un Fondo per le politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici per i popoli del sud del mondo (tra i più colpiti), attraverso il 6% del PIL dei paesi che hanno maggiormente inquinato; il riconoscimento del debito ecologico contratto dai governi del nord del mondo nei confronti del sud del mondo; la tassazione del 20% delle transazioni finanziare; l'attuazione degli impegni assunti dai paesi sviluppati nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici in materia di sviluppo e trasferimento di tecnologie; un meccanismo multilaterale e multidisciplinare per un controllo partecipativo delle scelte; il riconoscimento da parte dei paesi sviluppati dei diritti dei migranti climatici, attraverso la firma di accordi internazionali che contemplino la definizione di migrante climatico. Tutto ciò è fattibile se si pensa che i principali inquinatori della Terrai spendono una cifra maggiore per la difesa nazionale ed hanno destinato una cifra 5 volte superiore per salvare banche e speculatori dalla banca rotta.

Solo un ampio movimento popolare che andrà oltre i divari ideologici, politici, sociali e religiosi, sarà capace di superare questa sfida planetaria. E’ un momento epocale questo: si tratta di vita o di morte per il Pianeta Terra che non sopporta più le follie di un sistema degenerato e distruttivo. I tempi sono stretti. A dicembre ci attende la COP17 a Durban, in Sudafrica. E a giugno 2012 l’ONU ha convocato tutte le nazioni del mondo a Rio, venti anni dopo la nota Conferenza tenutasi in quella città brasiliana nel 1992. Ce l’abbiamo fatta per l’acqua, ce la dobbiamo fare per salvare la Madre Terra, la Pacha Mama. Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale [alex zanotelli, giuseppe de marzo]