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illeciti amministrativi

La presidentessa della III Municipalità indagata per illeciti amministrativi. Non ho capito, ma per caso è un avviso di garanzia? E non ho neanche capito cosa significa: “presunti illeciti amministrativi”. Presunti vuol dire che non si sa se sono veri, ma allora perché già alcune testate giornalistiche nazionali e blog riportano la notizia come se fosse vera? Leggo da periferiamonews.it che tutti i consiglieri si sono schierati dalla parte della Di Sarno, tranne uno, il sig Fabio Nacarlo.

La mia impressione dopo averci discusso: non mi è sembrata una persona disonesta (premetto che non la conosco affatto e che se ho paralato con lei 15 minuti è già tanto). Mi ha spaventato però il fatto che si occupasse troppo del rione sanità, che passasse troppo tempo a discutere con le associazioni, la gente, i volontari ecc ecc. E sì, perché da anni noi semplici internati del rione non abbiamo un dialogo con le Istituzioni, e questa nuova presa di posizione mi è sembrata molto ma molto strana.

Al dì la dei luoghi comuni, tutti possiamo fare del male a volte anche inconsapevolmente, i giornali e i mass media ne fanno molto, così come le notizie, le dicerie, le statistiche. Aspetto con fiducia, anche se so che fare politica di questi tempi è dura e che il primo a non capirci un cazzo è proprio il rappresentante votato a maggioranza. Oramai viviamo nelle “istituzioni totali”, nei manicomi criminali, nelle periferie “sub culturali”, dire cosa è giusto e cosa è sbagliato mi sembra una eresia.

Concludo l’articolo prendendo in prestito alcune frasi ultime di Monsieur Verdoux: “…e quante donne innocenti e bambini sono stati uccisi senza pietà, e magari in modo più scientifico; come sterminatore sono un misero dilettante a confronto. …un omicidio è delinquenza, un milione è eroina, il numero legalizza mio caro amico”. [+blogger]   

NB Tolgo il posto video che avevo messo questa mattina per dare spazio a quest’articolo, lo rimetto domani per solidarizzare con i no tav.                    

potere

“Dovevamo spingerlo fuori della stanza e dirgli di andare a lavarsi”. Steve Jobs era vegano. Ed era convinto che la sua dieta gli consentisse di non usare il deodorante e di non farsi la doccia. Andava spesso in giro scalzo. “Alle riunioni ci toccava guardare i suoi piedi lerci”, ricorda uno dei manager della Apple. Alternava diete alimentari estreme. Passava settimane mangiando solo mele o solo carote. Esplorava gli effetti allucinogeni della privazione del sonno. Spiegava che l’assunzione di Lsd era tra le cose più importanti che aveva fatto nella vita. 

“Era un carismatico ispiratore, ma a volte anche un pezzo di merda”, ha scritto Walter Isaacson, il suo biografo. Quando tornò alla Apple, nel 1997, riuscì a salvare l’azienda, ma licenziò più di tremila persone. Era collerico e arrogante, però quando si trovava in difficoltà scoppiava a piangere: durante un consiglio d’amministrazione o discutendo con un collaboratore. Il New York Times racconta che nel 2007, un mese prima del lancio dell’iPhone, riunì i suoi manager e gli fece una sfuriata. Aveva tenuto un prototipo dell’iPhone in tasca, insieme alle chiavi di casa, e lo schermo si era rigato: “Non voglio mettere in vendita un prodotto che si riga, voglio che l’iPhone abbia uno schermo di vetro e che sia perfetto nel giro di sei settimane”. 

L’unico posto dove produrre uno schermo simile, in tempi così brevi, era la Cina. Insieme a Exxon Mobil, oggi la Apple è l’azienda statunitense che vale di più in borsa. Avrebbe il potere di migliorare le condizioni di lavoro delle migliaia di operai cinesi che fabbricano i suoi prodotti, ma finora non l’ha fatto. In realtà anche noi, i cosiddetti consumatori, abbiamo un grande potere: quello di scegliere cosa comprare. Ma per poterlo esercitare dobbiamo essere informati. Dobbiamo sapere che dietro ogni telefono, ogni computer, ogni televisore che entra nelle nostre case c’è anche una storia di sofferenze e di sfruttamento. Non sempre, ma più spesso di quanto immaginiamo. [giovanni de mauro - internazionale 934]

tasse per chi cerca lavoro

La legge di stabilità, ovvero la legge che attua la manovra di settembre, approvato la settimana scorsa, contiene una tassa di 10-15 euro su chi fa domanda per partecipare a un concorso pubblico.Crediamo che questa misura sia sbagliata, per due motivi.

In primo luogo ne fa del lavoro pubblico un privilegio da tassare. Il lavoro pubblico è un oggetto di molteplici critiche in Italia. Da un lato è ritenuto inefficiente e dispendioso. Dall’altro lato, odora di clientelismo, in quanto spesso riservato ai raccomandati. Le critiche sono fondate, ma non si possono generalizzare. Non tutti dipendenti pubblici sono raccomandati e non tutti servizi pubblici sono inefficienti. E, soprattutto, le cause di questi problemi non sono i singoli lavoratori, ma gli inadeguati sistemi di governo dei servizi pubblici e di incentivazione di che ci lavora. Occorre risolvere questi problemi alla radice anziché ritenere che siccome i dipendenti pubblici sono raccomandati e fannulloni, è accettabile tassarli.

Il secondo motivo che rende la misura sbagliata è che va contro la prima priorità dell’Italia, cioè la creazione di più posti di lavoro. L’Italia ha il tasso di partecipazione al mercato del lavoro tra i più bassi nel mondo. Da noi lavora il 63% delle persone tra 15 e 65 anni, contro il 75% della Germania. Una tassa sulla ricerca di occupazione, anche se si tratta di impiego pubblico, è un disincentivo al lavoro.

La tassa potrebbe portare nelle casse dello stato qualche milione di euro e quindi un’entrata di entità del tutto marginale nel contesto di una manovra di quasi 60 miliardi. Di fatto, è una misura simbolica che lancia un messaggio che riteniamo sbagliato. Voi, che ne pensate? [fonte: Redazione Global Publishers - link: http://tuttosullavoro.libero.it/caso-settimana/3250/una-tassa-su-chi-cerca-lavoro/]