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livio

Scendeva stamattina dalla via san Gennaro del Poveri. Gambe corte, snelle, corpo magro e traballante, lento come una lumaca, barba ispida più del fil di ferro. Urlava per strada. L’andatura di un ubriaco che sognava, la poche persone che passavano lo sfioravano con indifferenza. Sporco, puzzolente, mani incallite e nere, sui baffi inzuppavano segni di muco e sporcizia. Per non cadere si appoggiava continuamente alle auto in sosta… ed è venuto anche il turno della mia vespa.

Olezzo che faceva vomitare, mi aveva chiesto una sigaretta. Livio, dimostrava circa settant’anni, ma era sicuramente più piccolo. Strano, avevo le sigarette, pur fumando pochissimo. Gliene avevo date alcune: il barbone aveva preso l’accendino dalla tasca senza riuscire ad accendere. Urlava parole in romano, in bolognese e efine in napoletano. Finalmente una donna che aveva l’accendino funzionante. Mentre traspirava la sua prima boccata di sigaretta la donna lo guardava dicendo: “Stajo tutto n’trzato oggi”.

In effetti Livio aveva due occhi colore viola e le palpebre arrosate, sopra l’arcata del sopracciglio sinistro una ferita che sembrava essere da taglio. Gli avevo chiesto dove andava?, mi aveva risposto “al sert”. Livio imprecava e bestemmiava e urlava dal dolore, mentre si fermava per riacquistare fiato e stabilità. La figlia non voleva più rivederlo e lui si vergognava di quella situazione. Livio era tossico.

Difficile poter fare qualcosa. Pensavo: se avessi il coraggio di portarlo a casa, lavarlo, togliergli la merda che aveva sotto il culo e le mutande sporche di piscio, non avrei fatto nulla che non avrei fatto a mio padre. Ma il barbone è un altro uomo, io non sento il bisogno di accudirlo, questo compito non mi tocca, lui forse non aveva una famiglia? E la figlia perché non vuole vederlo? Mica siamo tutti come madre Teresa di Calcutta?


Questo deve essere un pensiero normale, un pensiero condiviso, un pensiero che anche gli altri possono comprendere. Non avevo fatto nulla per quell’essere umano perché, per farlo, tutto diventava stramaledettamente difficile. Conclude Frida kahlo: “quando si tratta di mettere in pratica gli ideali più puri e nobili, gli uomini riescono ad essere dei re Mida alla rovescia: trasformano in merda il miele della vita. Trasformano i sogni in incubi, e poi li chiamano dolorose necessità”. [+blogger].    

la finale del torneo

Sabato 19 maggio al campetto di Capodimonte è stata giocata l’ultima partita del torneo organizzato dalla scuola d’immigrati Samb e Diop. La finale è stata vinta dall’ItaliaSanità sui calci di rigore dopo che la partita, allo scadere, è finita 5 a 5.  Il  3° e 4° posto si è disputata invece il giorno 13: ha vinto invece l’Africa2 contro lo Sri Lanka per 6 a 3. La premiazione, un piccolo discorso, una piccola festa… adesso ci prepariamo per gli esami finali, c’è chi deve sostenere quello di terza media e chi quello di attestato rilasciato dall’Università di Siena.

Tra qualche giorno posterò su questo blog alcune immagini delle partite, piene di agonismo e di buon senso, qualche momento di tensione, come normale nel calcio, per il resto divertimento, incitazione, tifo e solidarietà. La scuola ha intenzione di organizzare altro, così come avviene per l’integrazione al contrario, (siamo noi professori che impariamo la loro lingua), un modo per insegnare l’italiano in pieno rispetto, con la consapevolezza di aiutare, di confrontare, di “restituire”.

Il ringraziamento va a tutti, chi ha partecipato, chi è venuto solo a tifare, chi ha assistito con passione, chi ha agito e aderito con e per l’iniziativa. Non c’è molto da dire ancora. Una sola cosa tengo a sottolineare. Il torneo si è svolto senza regole precise, chi veniva sul campo giocava anche se non aveva partecipato alle altre partite precedenti. La finale ha contato circa 15 giocatori italiani, anche se la squadra iniziale era formata da 7 persone. Nella totale “anarchia” anche gli africani hanno schierato in capo i più bravi, qualcuno che aveva giocato la finale del 3° e 4° posto si è "intromesso" nella totale disponibilità che continua… [+blogger]   

con un operaio

Stamattina mentre montavano i nuovi infissi di casa, ho discusso con l’operaio specializzato che tra una stuccata e un’avvitata, mi ha spiegato la sua bellissima esistenza. Mi ha detto: “ho trent’otto anni, due figlie stupende e sono divorziato. Amo le mie due bambine di dieci e sette anni, con loro sono un po’ all’antica, non cammino mai per casa con gli slip e se faccio la doccia mi preoccupo bene di chiudere la porta a chiavi”.

Con orgoglio mi ha raccontato della sua “giovinezza”: “a vent’anni ho avuto un sacco di ragazze, avevo un fisico invidiabile perché facevo palestra, poi sono partito e per lavoro ho girato tutta l’Italia. Io non ho nulla da rimpiangere, ho sempre guadagnato e speso ma con moderazione, senza mai sprecare i soldi. Adesso sono felice, quello che ho mi basta”.

Gli ho chiesto qual era il suo mestiere originario, mi ha risposto l’imbianchino. “Ho lavorato con diverse ditte al Nord poi ho deciso di trasferirmi di nuovo a Napoli e adesso (sempre con orgoglio scandendo bene le parole) lavoro in proprio”. Quando riesci a guadagnare in un mese? Mi ha detto che quando c’è lavoro anche 2000 euro ma se c’è crisi a malapena 1000. …ed è felice!

Ecco cosa fa dire ad un’operaio/artigiano sono ricco, sono felice, sono anche un po’ borghese. “Vedo la Pay Tv, mi piace il calcio, sono tifosissimo del Napoli. Gli ho chiesto ancora: ma qui sei tu il capo che guida i lavori?, “no, adesso questo lavoro lo faccio alle dipendenze, sto aiutando a mettere gli infissi, poi il mio lavoro successivo e quello di stuccare tutto”.

Lavoro dipendente; media mensile 1300 euro al mese; girare l’Italia; due figlie; un divorzio; partita di calcio; poco spreco; felicità! [+blogger]

è vivo

Ieri ore 09,00 tra piazza Cavour e la salita Stella… giù lenzuolo bianco. A terra tra il terriccio e l’aiuole la gamba coloro rame e un calzino bianco putrido. Circoscritta l’area con del nastro, due carabiniere facevano il “palo”; sopra la polizia municipale redigeva il verbale, c’erano anche i pompieri. Non ho chiesto, non ho visto, non ho sentito! Era un senzatetto, un senza fissa dimora o meglio di moda si dice clochard.

Mangiava per strada, beveva per strada, ruttava per strada e scoreggiava per strada. “Se si avvicina non dategli niente altrimenti si compra del vino o della birra e si ubriaca”. Puzzava! Se urlava nessuno lo ascoltava, se pisciava per terra, anatema, se aveva voglia di far l’amore, porco.

“Allora perché non dargli una possibilità? Sì diamocene una e vediamo come reagisce”. Oggi ha avuto il suo momento se poi non l’ha saputo sfruttarlo non è sicuramente colpa nostra. Ok! Adesso hai avuto la tua ricompensa: la gente ti ha guardato, ti ha ammirato, ha parlato di te, perfino le forze dell’ordine sono intervenute, proprio come un vero capo di stato.

Per qualche ora sei stato il primo uomo, hai avuto il tuo momento di celebrità. Ti sei sentito veramente bene. Nessuno aveva protestato perché tu non morissi. Ora sai realmente cosa vuol dire vivere. [+blogger]