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benedetto rione sanità

Lo strabiliante successo che da diversi anni sta vivendo il rione: il quadruplicarsi del flusso turistico, le numerose associazioni che spuntano come funghi, le guide inventate, i negozi tinti e pinti (il migliore, il più buono, il più bello), pone una riflessione se non sul metodo almeno sulle cause principali del fenomeno “virtuoso”. Ideologia a parte, non è sbagliato che migliaia di turisti visitano ogni anno il cimitero delle fontanelle, le catacombe, le chiese, gli ipogei, i palazzi. Così come non è sbagliato che una attività commerciale sfondi per una invenzione o una prelibatezza. Ma le cause di un luogo storico ed artistico come il quartiere sanità non possono essere messe in relazione con il commercio, non c’è nessuna affinità tra arte ed economia, o no?

Questa una domanda cruciale quando visito luoghi turistici. Mi viene in mente il film “Mortecci” diretto da Sergio Citti, dove il povero Lucillo Cardellini (Sergio Rubini), è costretto a suicidarsi perché reduce dalla guerra. Credendolo deceduto in battaglia, nel suo paese d’origine edificano un museo in suo onore. Unica attività lucrativa, dove un po’ tutti ci campano, quando i parenti, i sindaco e il prete si accorgono che il soldato non è trapassato ma vivo lo processano e lo costringono a morire.

Ciò che mi fa sospettare è il fatto che oggi i media parlano del rione considerando in primis la camorra, poi una pizzerie ed infine una pasticceria. Non che ci sia una relazione tra queste tre entità, ma se le cause del successo, escludendo la prima, sono da attribuire al commercio, alla invenzione di un luogo storicamente di frontiera, al tarallo partenopeo, al caos dei motorini bhè allora il sospetto che l’artificio superi il buon senso non è poi così sconsiderato.

Un luogo ha le sue origini. Le pietre, le vie, i vicoli, le piazze hanno tutte una “identità” che si plasma con la gente. Il fruttivendolo sa cosa prendere al mercato, più arance e meno kiwi, anche il salumiere vende più mozzarella e meno prosciutto, e finanche il tabaccaio sceglie le sigarette secondo i gusti. Ma forse sto esagerando, solo che le differenze e le somiglianze di un territorio si imparano guardando i cittadini di quel posto, se puoi si giudica con attenzione è ancora meglio. La genesi di un rione che ha visto così tanti capò senza distinzione tra le diverse appartenenze, ha posto una diversa interazione che in un modo o nell’altro è sopravvissuta. Ma come spesso si scrive, quartiere senza una organizzazione, al contrario, questa mancanza ha creato una nuova forza comunicativa, qualcosa che nasce per identificazione, per riconoscenza, per amore.

Se un adolescente è morto per sbaglio, io non posso pensare che anche mio figlio muoia. Ho paura, sono preoccupato, cerco soluzioni, ma non posso andare via da casa, non ho né la possibilità né la voglia. Perché devo andare via io?!, andassero a fare in culo loro. Ma cosa faccio per ovviare alle mie preoccupazioni? Cerco delle strategie, le cerco per combattere e perché ho paura. Tremo perché mia figlia è andata a scuola, ma che faccio?, non la mando? Ho fiducia nelle istituzioni? Mi sento abbandonato, che per molti al massimo è solo una bella scusa, venite qui a vivere poi ne parliamo; io il coraggio di rimanere ce l’ho, voi fate solo i turisti per caso.         


Anche se sono uscito fuori tema, quello che mi va dire è che quando vediamo, camminiamo, fotografiamo questo benedetto rione Sanità, ci prendiamo l’anima del posto, la espropriamo delle sue caratteristiche, la esaltiamo come quando ci regalano un nuovo telefonino. E’ buono il fiocco di neve, è buona la pizza, la gente sembra indifferente, ma infondo sono abituati… poi finisce che il ricordo è solo un oblio, che sono stanco attraversando tutti questi i vicoli, e che il nuovo smartphone è già vecchio. [+blogger]      

sandra la prostituta

Ricordo la prima volta che vidi l’organo genitale femminile. Lavoravo in una macelleria, andavo avanti e indietro perlustrando tutto il quartiere portando carne fresca. In pausa, una persona che lavorava con me mi fece vedere la rivista “le ore, vecchio giornalaccio utilizzato da reconditi sbavatori. Quando lo aprì, mostrandomi in primo piano l’apertura angolare delle cosce di quella che io presumevo essere una donna, mi spaventai così tanto che ebbi l’impressione di aver visto un pezzo di “locena” avariata. (La “locena” se non ricordo male, è quel pezzo di carne che si stacca dall’arrosto, ha venature di nervo e grasso e le sue prime fette tagliate possono essere paragonate ad un filetto con l’osso – mi perdoneranno gli amici macellai per questa spiegazione molto approssimata).

Ritornando al mio vecchio e sbiadito ricordo, quelli erano gli anni che in vespa raggiungevo, alla via Marina, alcune prostitute giovani e belle che per lavorare mettevano in mostra la loro seduzione. Io e il  mio amico Roberto, ragazzo di parrucchiere che somigliava a Nick Kamen, dopo diverse settimane diventammo amici di Sandra che volle chiarire subito che con noi non avrebbe mai fatto nulla. Sandra era bella, credo che avesse più di 30 anni, un profumo meraviglioso, capelli brillantinati e minigonna mozzafiato. Portava calze di colore verde, proprio come Shirley MacLaine nel film Irma la Dolce.

A Roberto venne la varicella, presa per essere stato troppo gentile con la signora del piano di sopra, che per lui rappresentava la donna  più bella del mondo. In un balzo di eccessiva gentilezza l’aiutò a portare l’unica borsa che aveva in mano con dentro una sola scatola di pomodoro e 5 uova fresche. Intrufolandosi in una casa buia e sprangata si fece forte dicendo che aveva avuto tutte le malattie da bambino.

Presi coraggio e andai da solo alla via Marina rimanendo subito deluso perché non riuscii a trovare Sandra. Dopo un po’ la vidi uscire da un auto, si avvicinò e subito mi chiese dov'era il mio amico. Le spiegai tutto per filo e per segno facendola sbellicare dalle risate. Forte di questa circostanza ebbi il coraggio di chiederle perché faceva questo lavoro; e lei continuando a ridere mi disse che aveva un figlio adolescente, che abitava in un luogo della provincia di Napoli malfamato e ricco solo di prepotenti. Aveva paura che il figlio potesse perdersi frequentando quell’unico ambiente possibile. Aveva soprattutto paura che il figlio potesse spacciare. Mi sembrò nobile la sua spiegazione, ma in realtà non era l’unica: ce n’era un’altra molto più consistente che riascoltai anni dopo. Sandra mi fece giurare di non dire mai nulla e così farò anche adesso, non svelerò il segreto che mi confessò con avidità e vergogna facendomi capire che la sua non era una missione salvifica ma una semplice condizione della sua esistenza. [+blogger]     

i qualunque

Scrivere, o soltanto raccontare di questo quartiere, è facile e per di più poco dispendioso visto che, quasi tutto quello che viene pubblicato, è merce di un comune scambio. Una forte retorica, un modo di vedere le cose attraverso l’eroismo e lo stoicismo, lo spettro della camorra, l’abbandono e la mancanza di senso civico. C’è chi si inventa vere e proprie fiction per descrivere il rione Sanità, ma forse non ha torto per la sua fantasia. Il quartiere può essere salvato solo dai preti (già dai preti, ma a loro chi li assolve?), dai politici pubblicitari, dai ricchi signori del Vomero o del nord Italia. Gli investimenti, il turismo (il turismo, bella invenzione inquinante), la privatizzazione, la moneta. 

Ripercorrere le fasi storiche di questa vallata è praticamente impossibile se si considera che 60anni fa era un quartiere rosso (ma non del pd), operaio, artigiano, povero e virtuoso. Virtuoso perché c’erano gli artigiani più bravi del mondo come i guantai. Don Armando, abitante del rione ed ex commerciante degli anni ‘20/30 - che prima di morire, poco dopo sua moglie, aveva festeggiato 73anni di matrimonio - mi raccontava del cappellaio ambulante sotto al ponte della Sanità; lui ogni settimana andava a provarsene uno per vedere quello che più gli piaceva e piacere alle ragazze.


Ma le storie si sa sono uniche e raccontate secondo le proprie rappresentazioni. L’intervista registrata a lui e sua moglie (oggi anche digitalizzata) è un misto di contraddizioni e meraviglia, di critiche verso la “gioventù moderna” e di ricordi idilliaci. La signora Carmela mi spiegava come nel rione, negli anni del fascismo, si sentiva molto più tranquilla. “Due donne sole venivano scortate e accompagnate fino a casa per la loro incolumità”.


Non è questo però il senso dell’articolo. Se tutti noi che ci preme l’informazione dessimo un po’ meno spazio agli eroi di turno, al volto più noto, al caso più eclatante, e facessimo un po’ di più parlare la gente comune (il Marotta c’è riuscito), bhé forse avremmo la forza di risolvere le cose con maggior sicurezza e incisione. Le proteste per l’accorpamento della scuola Caracciolo e la chiusura dell’ospedale san Gennaro; l’occupazione pacifica del cimitero delle Fontanelle e del parco san Gennaro; le spazzate comune per aiutare la raccolta differenziata; il doposcuola per i ragazzi e gli stranieri; il carnevale e la ludoteca cittadina, insomma tutto questo avrebbe un altro senso se a parlare fossero gli altri, i qualunque, i comuni mortali consapevoli che nella loro borsetta blu c’è quasi sempre un thermos rosso con il coperchio bianco, le posate, uno straccio, il pane e il vino. [+blogger].

tra la vita e la morte


preservare


festa materdei



un orso in piazza sanità

Il limite tra possibile e impossibile è un solco precario, dettato dalla nostra fantasia.  Ripenso a quella fantasia sbrigliata della nostra infanzia che ci rendeva tutto magicamente possibile. Il solo baluardo insormontabile era la volontà del genitore…allora, ma oggi, non più. Il mio ambulatorio in Piazza della Sanità, un piano rialzato, un’unica sala con volte a botte a ridosso di una gemente parete di tufo. Dal 1646 ha difeso, con il suo silenzio, chi vi abitava dalla storia che trascorreva a pochi metri: sovrani e vescovi in visita alla chiesa di S.Maria della Sanità, maestà imperiali di passaggio, per arrampicarsi su per salita Capodimonte con fastosi carri, trainati da affaticati buoi, a raggiungere la Reggia. Moti popolari, pestilenze, colera, carrette colme di cadaveri verso le grotte delle Fontanelle.

Durante i temporali fiumi di pioggia, veri torrenti sassosi, scendevano a valle, la “lava dei vergini” che distruggeva tutto, portando via uomini e cose. Sotto il pavimento dello studio a pochi metri, le catacombe di S.Gaudioso, misteriosi cunicoli nel tempo. Sino a pochi anni fa un gommista cercava forature in un loculo allagato, nel palazzo affianco. Poi distrusse tutto per un bagno piastrellato. In questo luogo, ora ambulatorio, qualcuno è nato, vissuto nel riverbero dei signori che abitavano ai piani nobili, ed è morto. Le parole, i pianti, le risa, i sospiri sono come polvere impalpabile su queste mura. Sarebbe divenuto, forse, il magazzino di un commerciante del posto se io non gli avessi donato ancora un’occasione di vita…perché vita è quella che vi scorre ogni giorno nelle ore di visita. Una vita vera, dura, a volte tragica, ma pronta a scoppiare in rumorosa allegria.

A volte sono rappresentazioni vere di una commedia popolare a cui si accompagnano applausi . Anni fa, durante un epidemia misteriosa che mieteva vittime tra i lattanti, mi venne ad intervistare un reporter di una rivista svizzera. Era reduce da una sanguinosa guerra in Congo e quella pausa, mi disse, per lui aveva i caratteri di un “bizzarro carnevale, un paradiso inatteso.” Non ho mai ritenuto degradante appartenere a questa rappresentazione perché ben conoscevo gli ambulatori asettici e sicuramente al confronto, molto squallidi, in zone più nobili della città. Mi ritengo uno di loro,oramai dopo quarant’anni, e vivo con loro per otto ore al giorno.

Torniamo a quel limite del possibile, di cui parlavo inizialmente per raccontarvi uno dei mille fatti che mi sono accaduti nel tempo. Ero tornato da una vacanza oltre il Circolo Polare. Allorché si valica questo parallelo invisibile nella immensa foresta norvegese, il consumismo è pronto ad accoglierti con i suoi mille articoli: diploma da esploratore, in pergamena, dove una bionda vichinga vi appone il vostro nome ed altre carabattole. Mi aveva colpito la riproduzione di un’insegna stradale che avevo realmente incontrato lungo la rotabile: un triangolo di pericolo con raffigurato al centro un orso bianco. Su quelle strade, d’inverno, è un incontro ipotizzabile. Lo acquistai e decisi, in seguito, di metterlo in studio sulla porta che dal mio ambulatorio conduce ad un secondo stanzino con i servizi. Ogni porta, soprattutto se non la si chiude, è uno stimolo di curiosità per i miei piccoli pazienti. Trovai indovinata, dopo aver apposto il cartello sulla porta, la mia frase scherzosa: “Bambini, di là non si può andare, c’è l’orso…vedete il cartello?”

Concetta Arrichiello era una madre giovane, una ragazzina in jeans e scarpe da ginnastica, una della nuova generazione, per intenderci, spigliata, attenta ai due suoi figlioli: Genni, sei anni e Damiano otto anni, frequentavano la scuola ed erano vestiti con cura. Quel mattino li visitai entrambi. Avevano scorto il cartello e Genni, il più discolo, si diresse verso la porta, deciso a vellicarla. Attendevo quel gesto per sfoderare la mia arma: - “Ragazzo di là non si può andare, c’è l’orso, non vedi il cartello?” Genni restò per un attimo sconcertato e venne ad abbracciare la madre che stava seduta di fronte a me, mentre scrivevo le ricette. Intuii che parlava sottovoce con lei. Concetta doveva rispondere qualcosa che non riuscivo a decifrare. Al momento del commiato si alzò e si diresse lentamente ed incerta verso l’uscita. I ragazzi la seguivano sconcertati, guardandomi. Arrivata alla porta Concetta mise la mano sulla maniglia, poi la lasciò e fece un passo indietro voltandosi verso di me. I nostri occhi si incontrarono. Ci fu una pausa imbarazzante. Il tempo si era fermato. I figli seri, guardavano la madre. Concetta non distolse lo sguardo dai miei occhi e disse:-“Dottò, posso chiedervi una cosa? -“Dimmi Concetta.”- risposi non indovinando la sua richiesta. - “Dottò, potreste far vedere, per un attimo, l’orso ai miei figli?”

napoli guatemala



dov'è il rom?

Mentre il mio cuore dialoga con i 160 scalini della Penninata S. Gennaro, un insolito accordo di fisarmonica, laggiù, alla prima rampa. In quarant’anni di vita, in questo quartiere, queste scale le ho affrontate in maniera diversa. A volte, di prima mattina, in gioventù, volando, (parite ‘na locomotiva, quanno salite), a volte dialogando con chi si affacciava dalle finestre, (venite dottò, ve faccio nu cafè), a volte, tra gli scrosci di pioggia, di portone in portone, per un riparo precario. Le note della fisarmonica s’intrecciano a un motivo che so riconoscere. Ora ne scorgo l’artefice, un rom scuro di volto e d’abito. Gioco a celare l’arrendersi del mio compagno cuore, duratura macchina di un tempo datato. Alterno nascoste e mimetizzate respirazioni, pur di dargli ossigeno e non fargli fare figuracce da chi osserva il mio procedere in salita, vaticinando esausti crolli. Il motivo ora l’ho colto. Le mie labbra accennano a seguire quelle note. Sento uscire parole: “ Besame..besame mucho…” 

La fisarmonica ora sembra avermi raggiunto e insegue versi che non so. La cucina di via Acquarone a Genova, una mattina di sole. Papà si fa la barba sul tavolo di marmo. Sposta il piccolo specchio portatile, per non riceverne il riverbero negli occhi. Sorride, tra la spuma, pennellata sul volto con cura. “ Besame…besame mucho..” Ha la sua tonalità, ferma, baritonale che mi affascina. “ Besame..besame mucho..” La voce di mamma, intonata melodiosa, giovane, gli risponde dall’ultima camera, sul mare. Le note della fisarmonica, ora, le ho perse. Dove si sarà mai cacciato il rom? [lucio paolo ranieri]

la bomba

Assunta Bernarducci è una donna magra, non più giovane, con un addome globoso a mo’ di pera. Attende sempre un figlio, nonostante il marito venga ogni tanto dalla Germania. Abita in Vicoletto S. Gennaro dei Poveri : un capillare mozzo dell’urbanistica cittadina. Il vico si ferma per impotenza ai piedi della collina di Capodimonte, non riuscendo a valicare le centinaia di moto e macchine sequestrate dai vigili e ammonticchiate lì, tra ciuffi d’erba. E’ contornato da case abusive, forse un tempo baracche che venivano spazzate via al primo acquazzone che scendeva, giù dalla collina, a forma di torrente. Assunta abita un basso, due vani, solo letti a castello e brande per i suoi dieci figli che riempiono le maglie vuote di questa rete. Un cucinino che termina in un cunicolo nero: il gabinetto. Lo stereo è sempre acceso e invade il vico con le canzoni di Merola. Oggi sapevo che avrei trovato il fratello di Assunta, dimesso dall’Ospedale S.Gennaro. Tonino è un alcolista e soffre di una delle complicanze più tremende, la cirrosi, l’idrope degli antichi. Nello sconquasso del fegato bruciato dall’alcool, l’addome si riempie di liquido. E’ di Caivano, ma durante la malattia è stato ospitato dalla sorella. Assunta mi aspettava, seria sulla porta con l’ultimo lattante in braccio. C’era il silenzio rispettoso della morte. 

”Me lo hanno fatto portare a casa, non è cosciente”- Appena superata l’entrata, una branda, quasi a sbarrarmi il cammino. Tonino, il volto scavato e violaceo respirava rumorosamente, gorgogliando in fondo alla gola. Una coperta copriva il suo corpo magro, ma non celava quella sferica convessità del suo ventre. I bambini mi guardavano. Sapevo che la mia visita non poteva avere nessun valore e forse questo mi rendeva nervoso. Tolgo la coperta e scopro questo ventre gonfio a sproposito, con la pelle gelida, tesa,lucida, che lascia intravedere un reticolo di vene azzurre. Il rantolo è l’unico suono nel basso. I figli sono appollaiati sui letti a castello e guardano muti. Mi trovo ad usare un termine sbagliato, forse per stizza per la mia impotenza. -“ Ma non lo potevano pungere, in ospedale, per alleviare questa tensione. Tra poco scoppia!” In realtà Tonino non è cosciente e non soffre più, per cui questa manovra volutamente non è stata attuata. Assunta mi guarda in silenzio mentre compio un rituale di visita che non mi convince, ma che so che lei si aspetta. Dalla scollatura della vestaglia ha estratto un lungo seno avvizzito e ha introdotto un nero capezzolo nella bocca del bambino. Le spiego quello che in ospedale le hanno già detto: non c’è altro che aspettare il decesso. Vado via nell’imbarazzo della mia impotenza, senza guardarla negli occhi. Mi avvio verso l’uscita del vicoletto .Qualcuno dalle finestre mi saluta. Alle mie spalle, i passi affrettati di chi mi sta raggiungendo. E’ Assunta: - “ Dottore, scusate, voi avete detto che può scoppiare, volevo sapere se ci può essere pericolo per i miei figli?” [lucio ranieri]

il grido della terra

La Carovana si rimette in cammino, riannodando il filo di un discorso e di un percorso che non si è mai interrotto a partire dal Giubileo del 2000. Da allora si sono susseguite quattro carovane (anno 2002 – 2003 – 2004 - 2008), che hanno condiviso progetti e creato relazioni tra associazioni e enti locali, tra gruppi missionari e realtà giovanili, tra donne e uomini di buona volontà.
C’è bisogno di comunità e c’è bisogno di vivere comunità. E’ urgente riconoscersi in valori condivisi e  riempire di significato e di azione la parola pace. Riaffermare che essere costruttori di pace vuol dire fare comunità, operare per la giustizia, avere a cuore la dignità e i diritti di ogni persona, tenere lo sguardo aperto sul mondo, salvaguardare il pianeta.
Si riparte dunque con la voglia di cambiare, nel desiderio di scuotere le coscienze e smuovere gli indifferenti, coinvolgendo uomini e donne, ma soprattutto i giovani per vivere secondo i nuovi stili di vita, aperti, solidali e trasparenti, rispettosi e accoglienti soprattutto dei poveri del nostro paese e dei sud del mondo.
Cambiamento che parte da te e dal tuo modo di essere e di vivere, che dice BASTA ad un sistema economico-finanziario  basato sul profitto e sullo sfruttamento delle persone e delle risorse del creato! Cambiamento che crede e costruisce insieme agli altri un mondo giusto e sostenibile per le nuove generazioni, per i precari e i poveri del mondo.
La scelta dell’itineranza dà modo di andare incontro all’altro, vincendo i pregiudizi, esponendosi all’autocritica, superando il rischio dell’immobilismo e della rassegnazione. L’itineranza ci induce a superare le distanze tra le diverse culture e condizioni sociali, e a mettere meglio a fuoco realtà come il potere delle mafie, la tratta degli esseri umani, il disastro ambientale e proponendo come alternative i nuovi stili di vita. 
La Carovana è da vivere con eventi in loco, nelle diverse regioni d’Italia e si dà appuntamento nella Regione CAMPANIA, con dei giorni di itineranza in alcuni luoghi significativi, dal 25-30 settembre 2012.
La Carovana Missionaria della Pace 2012 è proposta dalla commissione di Giustizia e Pace degli Istituti Missionari (CIMI), da  Missio Giovani, Missio Campania, dalla Rete interdiocesana dei Nuovi Stili di Vita, in  collaborazione con il Suam Nazionale ed  altri organismi e associazioni che danno il loro appoggio e sostegno nei mesi di preparazione.
Quando senti il desiderio di comunicare e uscire da te stesso, guardarti intorno, metterti in cammino con gli ultimi, quando ti impegni per la giustizia, la pace, la riconciliazione... è allora che sei in Carovana! Insieme, rimettiamoci in cammino! [fonte: carovanadellapace.it]


Le Tappe della Carovana 2012 in Campania

25 martedì

pomeriggio

Arrivo a Napoli – Stazione Garibaldi
Spostamento per Pozzuoli
sera
Pozzuoli
Celebrazione della Memoria – San Paolo
Tratta degli esseri umani
pernottamento
Pozzuoli
26 mercoledì
mattina
Partenza per Litorale Domizio - Passaggio a Castelvolturno
Caserta
Casa Rut
Tratta esseri degli umani
pomeriggio
Spostamento per Sant’Angelo dei Lombardi
sera
Sant’Angelo dei Lombardi
Incontro aperto alla cittadinanza
Ambiente
pernottamento
Sant’Angelo dei Lombardi
27 giovedì
mattina
Sant’Angelo dei Lombardi
Visita alle sorgenti del Sele - Celebrare l’ambiente
Ambiente
pomeriggio
Partenza per Eboli
sera
Eboli
Spettacolo teatrale dei detenuti
pernottamento
Salerno
28 venerdì
mattina
Salerno
scuola
pomeriggio
Napoli-Scampia
mafie
sera
pernottamento
29 sabato
mattina
Napoli-Scampia
mafie
pomeriggio
Napoli-Sanità (saranno presentate le attività della rete sanità, in più il last minute market e il tuttogratisanità) 
mafie e lavoro
sera
pernottamento
30 domenica
mattina
Napoli-Sanità
Celebrazione alle Catacombe di San Gennaro
Mafie e lavoro 


senza congiutivo

Si t' 'o sapess dicere

Ah… si putesse dicere
Chell' c'o core dice
Quant' sarria felice
Si t' o sapesse di'
E si putesse sentere
Chell' che 'o core sente
Dicisse eternamente
Voglio resta' cu te'

Ma 'o core sape scrivere?
'O core e' analfabeta
E' comm' a nu' pueta
Ca nun sape canta'
Se 'mbrogia sposta e vvirgole
Nu punto ammirativo
Mette nu' cungiuntivo
Addo nun 'nce adda sta' 

E tu che o staje a sentere
Te 'mbruoglie appriesso a isso...


E addio felicità!! [e.d.f.]

e un altro giorno

“Non so che mi succede, sono fuori di me, non posso vivere nell’ansia e nel timore. Da ieri non faccio che immaginare disgrazie, ipotizzare cose tristi: o che tu sei morto, e la notizia me la viene a dare don Lope con il sorriso sulle labbra, o che la morta sono io, e mi mettono dentro all’orribile cassa che poi ricoprono di terra. No, non voglio ancora morire, adesso no. Di sapere cosa c’è nell’aldilà non mi importa affatto. Pensano piuttosto a resuscitarmi, a ridarmi la mia piccola ed amata vita. Il mio teschio mi terrorizza. Che mi ridiano pure la mia bella carne fresca di tutti i baci che tu le hai dato. Non voglio diventare un mucchietto di gelide ossa, prima, e di polvere, poi.

No, è tutto un inganno. Non mi piace pensare che il mio spirito vaghi di stella in stella cercando ospizio, né che un san Pietro calvo e imbronciato mi sbatta la porta sul muso… e anche se fossi sicura di poterci entrare, no, che non mi parlino di morte; rivoglio la mia piccola vita, la terra abitata da quel birbante del mio signo’ Juan, la stessa che mi ha visto soffrire e godere. Non desidero ali ne aloni, non voglio vagare tra angeli scipiti che suonano l’arpa. Tentemi ben lontana dalle arpedalle fisarmoniche e dagli sfolgorii celesti. Vita mortale, salute, amore, desideri; suvvia tornate”. [tristana, b.p.g.]      

torneo interculturale di calcio

Organizzato dalla scuola di Italiano per immigrati "Samb e Diop" il primo Torneo Interculturale di calcio a Napoli. Due squadre africane, una squadra dello SriLanka e una squadra di napoletani della Sanità si affronteranno a partire dal 14 aprile (la data è stata spostata al 28 aprile 2012), alle ore 16 presso il campo di calcio del Seminario Arcivescovile di Capodimonte.


La scuola di Italiano per immigrati "Samb e Diop" con sede in Napoli alla via Fuori Porta S.Gennaro.n.10, opera in città  in due territori che, al di là dei vecchi stereotipi, rappresentano il cuore accogliente di Napoli: il quartiere Sanità, ad altissima incidenza di immigrati dello Sri Lanka, costituenti la più numerosa comunità di Napoli, e la zona della stazione di Piazza Garibaldi, ad altissima incidenza di immigrati Africani. Alla Sanità la scuola ha trovato  sede operativa presso l’Istituto Ozanam in piazza S.Severo a Capodimonte. L’altra sede è  in via Tribunali presso il Centro Missionario,recentemente adattato a scuola immigrati. Si tratta, in questo ultimo caso, di persone di vari paesi africani provenienti per lo più da Lampedusa, dove sono giunti per sfuggire alle guerre e alla fame delle loro terre . 

Gli insegnanti concepiscono la stessa scuola non solo come momento di trasmissione di conoscenza  della lingua, ma anche come occasione di incontro tra gli studenti, di promozione delle loro abilità in senso generale e di costruzione di un clima di rispetto e accoglienza favorevole all'autonarrazione.

Per questo, dialogano con gli studenti in modo vivo e organizzano feste e lezioni all'aperto, in giro per la città (oltretutto, anche attraverso la visita a monumenti e strade della città  si può presentare  in modo diverso la cultura e la lingua italiana). In uno di questi momenti è emerso che uno studente è stato allenatore della nazionale di calcio del Sudan e da qui è nata l'idea di organizzare il Primo Torneo Interculturale di calcio, che ha trovato pronta e decisiva accoglienza presso il Seminario Arcivescovile di Capodimonte.

È solo un primo passo, ma assai indicativo di quanto Napoli sia pronta a diventare un laboratorio di trasformazione interculturale, nella prospettiva dell’accoglienza e della pace.

...la schifezza


invito i giovani

"La terra sostiene la nostra vita sulla Terra, e la Terra non discrimina tra giovani e vecchi, ricchi e poveri, per lei tutti i figli sono uguali. Noi siamo legati alla Terra dal momento che ognuno riceve una giusta, equa e sostenibile parte di risorse: la biodiversità e i semi, il cibo che i semi ci procurano, la terra su cui possono crescere i cibi, l'acqua che scorre nei nostri fiumi e anche l'aria dell'atmosfera che respiriamo.

La più grande sfida che dobbiamo fronteggiare oggi è quello che ho chiamato la rapina dei nostri beni comuni da parte delle multinazionali. I semi come beni comuni sono stati sottratti tramite la privatizzazione e brevettazione, l'acqua è stata privatizzata tramite leggi, la terra è stata privatizzata e rubata nei paesi poveri, in India, in Africa, ma anche nei paesi ricchi a causa dell'aggravarsi della crisi economica. Le vere forze che hanno generato la crisi, tramite una morte finanziaria, ora vogliono  appropriarsi del benessere reale della società e del futuro, vogliono appropriarsi dell'acqua e della terra.

Penso che in questo momento di crisi,  di crisi economica, la terra è l'unico luogo in cui possiamo ritornare per ricostruire una nuova economia; e ogni governo alle generazioni future dovrebbe dire: "non abbiamo molto altro da darvi: abbiamo perso la capacità di darvi lavoro, sicurezza sociale e garantirvi un decente tenore di vita. Ma la terra ha ancora questa capacità, noi consegniamo le terre pubbliche agli agricoltori del futuro: provvedete a voi stessi". Questo è un obbligo, visto il fallimento dei governi, nell'attuale sistema economico, nel prendersi cura dei bisogni della gente; la terra può prendere cura dei nostri bisogni, la comunità può prendersi cura dei nostri bisogni.

E se vogliamo avere un'economia viva, e dobbiamo averla, e se vogliamo avere una viva democrazia, la terra deve essere al centro di questo rinnovamento: dalla morte e distruzione alla vita. Mettere la terra nelle mani delle generazioni future è il primo passo, e se non lo faranno, seguendo la strada giusta, invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze; voi dovete fare un dono al futuro dell'umanità" [vandana shiva]

il risultato più importante della rete

Una cosa è certa, se la Rete Sanità non avesse fatto un granché dalla sua costituzione, e se invece si fosse concentrata solo sulla scuola d’immigrati dell’Ozanam bhé, questa iniziativa da sola varrebbe il premio della “solidarietà” riconosciuta dalla gente del rione e dalle sue numerose associazioni. Un centinaio d’immigrati seguono i corsi d’italiano il lunedì e il giovedì dalle 19,00 alle 20,30. Suor Lucia, invece, insegna tutti i giorni di mattina e di pomeriggio.  Il 22 dicembre abbiamo festeggiato con una tavolata degna del più classico teatro di Viviani, come testimoniano le foto di cui sotto. L’anno scorso hanno superato l’esame di terza media 9 studenti su 12 (2 dei quali non si sono presentati). Quest’anno si prevedono nuovi esami, si spera che la scuola possa diventare essa stessa sede d’esame. E’ questo, a parer mio, il risultato più importante della Rete Sanità. Ci sono altri volontari? Benvenuti! [Suor Lucia, Gennaro, Giovanna, Sara, Tiziana, Anna Maria, Andrea, Antonio, Battista, Carmela, Francesca, Giada, Stefano, Cinzia]





con un operaio

Stamattina mentre montavano i nuovi infissi di casa, ho discusso con l’operaio specializzato che tra una stuccata e un’avvitata, mi ha spiegato la sua bellissima esistenza. Mi ha detto: “ho trent’otto anni, due figlie stupende e sono divorziato. Amo le mie due bambine di dieci e sette anni, con loro sono un po’ all’antica, non cammino mai per casa con gli slip e se faccio la doccia mi preoccupo bene di chiudere la porta a chiavi”.

Con orgoglio mi ha raccontato della sua “giovinezza”: “a vent’anni ho avuto un sacco di ragazze, avevo un fisico invidiabile perché facevo palestra, poi sono partito e per lavoro ho girato tutta l’Italia. Io non ho nulla da rimpiangere, ho sempre guadagnato e speso ma con moderazione, senza mai sprecare i soldi. Adesso sono felice, quello che ho mi basta”.

Gli ho chiesto qual era il suo mestiere originario, mi ha risposto l’imbianchino. “Ho lavorato con diverse ditte al Nord poi ho deciso di trasferirmi di nuovo a Napoli e adesso (sempre con orgoglio scandendo bene le parole) lavoro in proprio”. Quando riesci a guadagnare in un mese? Mi ha detto che quando c’è lavoro anche 2000 euro ma se c’è crisi a malapena 1000. …ed è felice!

Ecco cosa fa dire ad un’operaio/artigiano sono ricco, sono felice, sono anche un po’ borghese. “Vedo la Pay Tv, mi piace il calcio, sono tifosissimo del Napoli. Gli ho chiesto ancora: ma qui sei tu il capo che guida i lavori?, “no, adesso questo lavoro lo faccio alle dipendenze, sto aiutando a mettere gli infissi, poi il mio lavoro successivo e quello di stuccare tutto”.

Lavoro dipendente; media mensile 1300 euro al mese; girare l’Italia; due figlie; un divorzio; partita di calcio; poco spreco; felicità! [+blogger]

ma qual è la verità?

Ma qual è la verità? È quello che penso io di me? O quello che pensa la gente? O quello che pensa quello là lì dentro? Cosa senti dentro di te, concentrati bene, cosa senti? Si, si sento qualcosa che c’è. Quella è la verità! Ma, sssssssss, non bisogna nominarla, perché appena la nomini non c’è più!
 

lolita

[…] Ma nella nostra èra borghese e impicciona non l’avrei fatta franca come tra i broccati dei palazzi di una volta. Oggi, se vuoi fare l’assassino, devi essere uno scienziato. No, no, io non ero né l’uno né l’altro. Signori e signori della giuria, la maggioranza dei criminali sessuali che bramano un rapporto palpitante, dolce-gemente, fisico ma non necessariamente coitale con una fanciulla, sono sconosciuti innocui, inadeguati, timidi e passivi, che chiedono alla comunità solo il permesso di preservare nel loro comportamento cosiddetto aberrante e concretamente inoffensivo - i loro piccoli, umidi ardenti, privati atti di deviazione sessuale - senza che la polizia e la società tutta infieriscono troppo crudelmente su di loro.

Noi non siamo dei depravati! Non violentiamo come fanno i bravi soldati. Siamo miti signori infelici, con occhi da cane, sufficientemente ben intergrati da saper controllare i nostri impulsi in presenza degli adulti, ma pronti a dare anni e anni di vita per un’unica occasione di toccare una ninfetta. Non siamo, nel modo più categorico, degli assassini. I poeti non uccidono mai. Oh, mia povera Charlotte, non odiarmi dal tuo paradiso eterno, in quell’eterna alchimia di asfalto e gomma, metallo e sassi, ma non acqua, grazie a Dio, non acqua! [Vladimir Nabokov]