quinto cartellone

La lotta alle mafie non deve essere soltanto una distaccata lotta di repressione, ma un movimento culturale e morale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà. 
Paolo Borsellino 



In piazzetta Crociferi 


l'idra delle sette teste

TISA 
Accordo sul commercio dei servizi 

Il profeta dell’Apocalisse descrive la Roma Imperiale come la BESTIA dalle sette teste che rappresentano i sette imperatori. Anche il nostro Sistema economico-finanziario è una Bestia dalle sette teste che sono i sette importanti trattati internazionali (NAFTA, TPP,TTIP, CETA, TISA, CAFTA, ALCA), siglati per creare un mercato globale sempre più liberista sotto la spinta delle multinazionali e della finanza che vogliono entrare nei processi decisionali delle nazioni.

I trattati che ci interessano più direttamente ora sono il CETA(Accordo Commerciale tra Canada e Europa), il TTIP (Partenariato Transatlantico per il commercio e per gli investimenti) e il TISA (Accordo sul commercio dei servizi). Il CETA sta per essere ormai approvato , nonostante le tante contestazioni soprattutto per certe clausole pericolose che contiene. Abbiamo però ottenuto una vittoria: il Trattato dovrà passare al vaglio dei Parlamenti dei 28 paesi della UE, prima di entrare in funzione. E questo ci fa sperare che venga così sconfitto.
Anche per il TTIP sia gli USA che la UE vorrebbero concluderlo entro la fine dell’anno. Infatti nell’ultimo round  di negoziati tenutosi a Bruxelles dall’11 al 13 luglio, i delegati erano concordi nel voler firmare il Trattato prima della fine del mandato di Obama. Ma l’opposizione al TTIP è forte negli USA sia da parte di Trump che di Hillary Clinton, ma anche in campo europeo, da parte di F. Hollande. La posizione del governo Renzi invece è sempre più schierata  a favore dell’accordo. Ma è in crescendo in tutta Europa la resistenza all’accordo, soprattutto in Germania. Ma anche in Italia si sta rafforzando l’opposizione popolare, come abbiamo visto a Roma nella bella manifestazione del 7 maggio scorso. Questa resistenza al TTIP trova una nuova forza nell’intervento dei vescovi cattolici degli USA (USCCB) e delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE) che hanno invitato i cattolici a valutare l’accordo sulla base di una serie di principi etici. “E’ cruciale che tutte le persone abbiano voce in capitolo in decisioni che riguardano le loro vite- scrivono i vescovi. La partecipazione va in particolare applicata ai negoziati del TTIP e per altri accordi commerciali. Questi dovrebbero svolgersi in sedi pubbliche e attraverso processi che assicurino che le voci provenienti dai settori più colpiti della società, possano essere ascoltate e i loro interessi riflessi… In qualsivoglia accordo devono venire fuori. “E’ l’opposto di quanto avviene con il TTIP. Possiamo dunque sperare in una vittoria: è troppo presto per dirlo. Dobbiamo continuare a rimanere vigili.

Mi fa invece ancora più paura l’altra testa dell’idra: il TISA, il Trattato sul Commercio dei servizi, come scuola, acqua, sanità! Si vuole la privatizzazione di tutti i servizi. Purtroppo si conosce poco di questo trattato e se ne parla poco. I negoziati sono in corso a Ginevra in grande segretezza. Vi partecipano i delegati delle 28 nazioni della UE e di 22 altre nazioni tra cui USA, Canada, Australia e Giappone. Gli interessi e gli appetiti sono enormi perché solo negli USA i servizi rappresentano il 75% dell’economia. Mentre la UE è il più grande esportatore di servizi nel mondo con milioni di posti di lavoro. Ora sappiamo qualcosa di più delle trattative in atto tramite le rivelazioni di Wikileaks. Tra i documenti troviamo una lettera dell’ambasciatore USA M. Punke, vice presidente per il commercio degli USA che propone ai negoziatori delle regole per la gestione dei documenti TISA i quali dovrebbero rimanere segreti per cinque anni a partire dall’entrata in vigore dell’accordo. In base ai documenti rilasciati da Wikileaks le nazioni che aderiranno al TISA potranno darsi le loro regole per il ‘mercato dei servizi’, ma dovranno pubblicare con dovuto anticipo queste regole. Questo permetterebbe alle multinazionali di fare i loro giochi. Sulle aziende di Stato, il TISA prevede che queste non possono dare la preferenza ai fornitori locali. Per di più ogni Stato dovrà fornire agli altri una lista di tutte le sue aziende di Stato con tutta una serie di informazioni su di esse. Lo scopo fondamentale di tutto questo è quello di permettere alle multinazionali e alla finanza di mettere le mani sui servizi, dall’acqua alla scuola. “I negoziati stanno procedendo a passo veloce e le parti del negoziato sono impegnate a concludere le trattative entro quest’anno”, così afferma Viviane Reding, attuale relatore della UE ai negoziati TISA. Ho molta paura che con il TTIP in difficoltà per il momento (e questo anche grazie alla forte resistenza popolare), la Bestia non alzi l’altra testa, il TISA, il più pericoloso e minaccioso dei trattati in discussione. Rischiamo che i servizi fondamentali come quelli idrici, sanitari, educativi… finiscano nelle mani dei poteri economico-finanziari mondiali. Sarebbe la più grande vittoria del mercato globale. Non lo possiamo accettare. Dobbiamo tutti, credenti e laici, metterci insieme per dire No a questa Bestia dalle sette teste che vuole imporre il mercato globale neoliberista.(Per informazioni: www.stop-ttip-italia.net) Insieme ce la possiamo fare. [alex zanotelli] 

ottanta pizze

La piazza, il caffè o altro, “sospesi” sono un modo per far riemergere la cultura del dono. In pratica qualcuno paga per te qualcosa che puoi andare a prendere quando vuoi; un qualcuno senza conoscerti/ci che ti/ci regala qualcosa senza voler essere ringraziato. Anche nel rione Sanità esistono i “sospesi” come il caffè e le pizze. Diversi giorni fa due mie amici sono andati in una pizzeria del quartiere e hanno visto che ben 80 pizze erano “lì pronte per essere fatte ma nessuno le reclamava”. Bisognerebbe fare qualcosa per informare e soprattutto far capire che non si tratta di elemosina.

 Il primo punto più importante comunque resta la comunicazione. Se le cose non si manifestano restano sempre dove stanno. Tutto ciò che muove un circuito virtuoso va valorizzato e sostenuto. Bisogna in qualche modo far sapere che quelle ottanta pizze devono essere consumate, così anche se ci sono dei caffè o dei cornetti caldi al bar. Alla Sanità c’è un teatro, il Nuovo Teatro Sanità, hanno per caso lasciato qualche biglietto in sospeso? Alla Sanità c’è una vineria: hanno per caso lasciato qualche bottiglia in sospeso? Alla Sanità c’è un negozio di vestiti a buon mercato: hanno per caso lasciato qualche vestito in sospeso? Alla Sanità c’è un fruttivendolo: hanno per caso lasciato qualche chilo di mele in sospeso? Alla Sanità ci sono le Catacombe di san Gaudioso: hanno per caso lasciato qualche biglietto in sospeso? Alla Sanità c’è la Tenda che ospita circa 100 poveri di Napoli: hanno per caso lasciato qualche moneta in sospeso? [+blogger]

sud sudan

Perché si combatte in Sud Sudan?
I combattimenti che sono scoppiati l’8 luglio a Juba, capitale del Sud Sudan, sono talmente violenti che è impossibile conoscere con esattezza il bilancio delle vittime. Alcune fonti locali citate dall’Afp danno una cifra provvisoria di oltre trecento morti, tra cui due caschi blu cinesi. L’Onu ha riferito di colpi di mortaio, di lanciagranate e di “armi d’assalto pesanti”. È stata inoltre segnalata la presenza di elicotteri da combattimento e di carri armati. Le piogge torrenziali che si sono abbattute su Juba nella notte di domenica, hanno reso ancora più precaria la situazione di migliaia di civili che hanno dovuto precipitosamente abbandonare i quartieri più colpiti dagli scontri. Quella cominciata a Juba è una guerra che minaccia di travolgere la popolazione, la regione e perfino l’esistenza stessa di questo paese, che il 9 luglio avrebbe dovuto festeggiare i suoi cinque anni di vita.

Chi sono i belligeranti?
Dopo l’indipendenza (raggiunta nel 2011 con la secessione dal Sudan), grazie anche alle ingenti risorse petrolifere in grado di sostenere la sua giovane economia, l’ottimismo del Sud Sudan era alto. Ma ben presto sono emerse forti tensioni tra i due principali leader del paese: il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar. Nel dicembre del 2013 alcuni militari di etnia dinka fedeli a Kiir hanno cominciato a scontrarsi con altri soldati dell’esercito di etnia nuer, accusandoli di preparare un colpo di stato. I soldati nuer sono guidati da Machar, che era stato mandato via dal presidente Salva Kiir nel luglio del 2013. Kiir e Machar erano da molto tempo in disaccordo e si contendevano il controllo del governo e del loro partito, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese (Splm). Riek Machar è dovuto fuggire per evitare di essere ucciso e una parte dell’esercito si è schierata al suo fianco. Questa prima fase di guerra civile è durata trenta mesi e ha causato decine di migliaia di morti. Un accordo di pace, raggiunto nell’agosto del 2015 dopo forti pressioni da parte della comunità internazionale, ha portato alla creazione di un governo di transizione. Nell’aprile del 2016, Machar e i suoi uomini sono tornati a Juba e Machar ha riottenuto la sua carica. Grazie anche alle forti pressioni regionali, i due nemici e le loro truppe hanno cercato di convivere nella capitale. Ma una parte dei loro uomini è contraria a questa soluzione e preferisce una guerra a oltranza. Sembra ora che queste persone abbiano nuovamente trascinato la situazione in uno stato di conflitto aperto. Le tensioni sono andate crescendo negli ultimi giorni, senza che nessuno sembrasse in grado di fermarle, culminando negli scontri a larga scala di domenica. Le forze fedeli a Machar sono numericamente inferiori e non dispongono della stessa potenza di fuoco rispetto a quelle del campo avversario, che ha recentemente acquistato degli elicotteri e reclutato numerosi miliziani.

Perché questo conflitto è così pericoloso?
Per due motivi. Innanzitutto, è concreto il rischio che si estenda ad altre regioni del paese. Recentemente anche alcune zone che erano state risparmiate durante la prima fase della guerra civile sono state coinvolte nei combattimenti. Si teme quindi una guerra generalizzata. Inoltre i combattenti del Sud Sudan risparmiano di rado i civili. Il conflitto tra il 2013 e il 2015 è stato segnato da atrocità e gravi abusi: gli uomini in armi considerano come “nemici” intere popolazioni sulla semplice base della loro appartenenza etnica. Una visione deformatache però funziona molto bene quando le violenze hanno ormai avuto inizio. Se queste dovessero continuare ad aumentare d’intensità, bisogna temere più che dei semplici abusi, ma dei veri e propri massacri.

Cosa fa la missione dell’Onu?
La missione dell’Onu nel Sud Sudan, la Minuss, era stata concepita inizialmente per assistere il governo di Juba nel “consolidamento della pace”. I suoi obiettivi sono drammaticamente cambiati con il passare del tempo. Nonostante i suoi dodicimila caschi blu (ai quali si aggiungono civili, poliziotti e altro personale), la missione non sembra in grado di affrontare le recenti esplosioni di violenza, nonostante queste fossero state annunciate, negli ultimi mesi, da numerosi osservatori . Il suo principale successo, a oggi, è stato quello di creare dei siti per la protezione dei civili, in cui le popolazioni in fuga dalle violenze dei soldati possono trovare riparo. Ma non si tratta di una garanzia assoluta. A Malakal, qualche mese fa, i soldati governativi hanno attaccato il campo dell’Onu. Domenica alcuni di questi siti, a Juba, sono stati oggetti di raffiche di colpi che però, finora, non sono state seguite da sconfinamenti. È da venerdì sera che i caschi blu sono nell’impossibilità di operare nella capitale, ovvero da quando la violenza ha raggiunto i suoi massimi livelli. Domenica sera il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite ha invitato i paesi della regione a inviare delle truppe in aiuto. Si tratta di un’ammissione di fallimento, in particolare per il contingente cinese. Un’ammissione significativa vista la dimostrazione di responsabilità, nelle questioni di sicurezza, che Pechino era desiderosa di dare.

C’è il rischio che il conflitto si estenda?
Il Sud Sudan è un paese nuovo, molto fragile e situato nel cuore di una regione complessa. È oggetto di alleanze incrociate, al punto che i combattimenti in corso rischiano di far salire le tensioni tra i paesi vicini. Il presidente Salva Kiir è sostenuto dal vicino Uganda. Durante la prima guerra civile (2013-2015) un corpo di spedizione ugandese era accorso a Juba e nei suoi dintorni, in soccorso di Kiir. All’epoca, era stato il Sud Sudan a pagare il conto dell’intervento militare, ma oggi le sue casse sono vuote. Contemporaneamente l’Etiopia, un altro paese confinante, è ostile a questo intervento. Lo stesso vale per il Sudan, a nord, che cerca di trovare dei compromessi con i due belligeranti ma è sempre stato più vicino a Riek Machar e ha delle relazioni tese con l’Uganda. Alcuni membri del principale movimento armato del Darfur, il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem), ostile a Khartum, hanno quindi ingrossato le fila di Salva Kiir nell’ultima fase del conflitto. Il risultato? Non ancora una polveriera vera e propria ma un quadro regionale fragile che, se dovesse proseguire l’inasprimento del conflitto oggi in corso, minaccia di avere gravi conseguenze. [fonte: internazionale.it]

quarto cartellone

 Tra il colorificio e il gommista alla via Sanità 134/135 - 20 metri prima della basilica si santa Maria della Sanità (detta san Vincenzo)    



la sorte di un codice rosso

La chiusura degli ospedali napoletani è uno scandalo che non ha proporzioni di condanna, ecco perché nessuno ne parla; chi vela argomentazioni con giustificazioni parossistiche discolpa la propria incapacità a gestire la cosa pubblica. Questa doppia differenza è sempre più sottile e si fonda nella consuetudine di un ordine che non ha più identità. Sempre più fino è il filo che interseca la politica e gente, doppia iconoclasta aberrazione che ormai travalica l’intelligenza. L’ultimo tassello con i circa 500mila bambini del centro storico, ospedale efficientissimo l’Annunziata, pronto intervento pediatrico chiuso senza ragioni. Perché Prima il San Gennaro, L’Ascalesi, il CTO la stessa Annunziata avevano tutti un pronto soccorso?

L’amministrazione napoletana, e Napoli che negli ultimi anni ha visto un aumento spropositato di turisti, non ultimo la paralisi critica della viabilità dovuto all’evento di Dolce e Gabbana, con il traffico automobilistico per inaccessibilità o intasamento programmato, sposta in un unico punto tutti i codici rossi della città?!. Interi luoghi isolati dalla mancanza di soccorso, uno su tutti il rione San Gennaro nel quartiere Sanità. La piazza san Gennaro e le vie e i vicoli limitrofi, salita Scudillo e via san Vicenzo, salita Principi e rampe S.G. dei Poveri: la gente che vi abita è spacciata nel momento in cui ha bisogno di soccorso. Da questi punti del rione non ci sono vie di fuga, l'unica strada è strettissima, e per superarla significa affrontate sempre il traffico di salita Sanità. Per chi conosce la zona sa di cosa parlo: traffico a tutte le ore a partire dalla via s. Teresa degli Scalzi, così come il parcheggio selvaggio, i sensi vietati di transito, le strade strettissime... 

Un problema emergenziale che sembra non avere sbocchi. I costi della sanità pubblica in Campania sono di 10euro superiori alla media nazionale. Oggi nel pronto soccorso del Cardarelli si riversano persone che non possono pagare il tiket o che per risparmiare aspettano ore pur di farsi fare una radiografia. Nel pronto soccorso del Loreto Mare la situazione è sempre più irreale. Dalla zona costiera e dai paesi vesuviani arrivano casi disperati o semplici mal di testa, che in un modo o nell’altro intasano la sala d’aspetto o di primo intervento. Una situazione fuori dal normale che non ha precedenti e, cosa ancora più assurda in un silenzio fantastico.

Il tg3 campano ha dedicato giorno all’evento di Dolce e Gabbana, la stessa tv generalista preferisce fare inchieste nere buone solo per gli inserzionisti, la radio sfiora solo il problema mentre si continuano a chiudere reparti costati da poco migliaia se non milioni  di euro.  E’ una situazione parossistica e violenta che subisce soltanto la gente comune. Bisogna creare una mobilitazione popolare, cosa che i partiti neanche si illudono di pensare. Faccio appello ad #unpopoloincammino a quella parte di gente che sente che una tragedia è in atto. Se per caso ci tocca un codice rosso affidiamoci alla sorte. Vergona, vergogna, vergogna. [+blogger]     

affondare

“In tutto il tempo che ho passato nel Mediterraneo centrale non ho mai visto niente del genere, mai”, spiega Sebastian Stein, coordinatore di Medici senza frontiere. Il 25 e 26 giugno più di 3.300 migranti sono stati salvati nel tratto di mare che separa la Libia dalle coste italiane. Viaggiavano su 25 gommoni e un’imbarcazione di legno. Un uomo è stato trovato morto e quattro persone erano gravemente ferite. Dall'inizio del 2016 sono arrivate in Italia circa 60 mila persone. [copia e incolla da Internazionale.it