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i rovesci dei lavoratori

È da diversi anni ormai che nella busta paga non ci sono più la tredicesima, il trattamento di fine rapporto, le ferie, gli straordinari, per non parlare della quattordicesima mensilità. I contratti di lavoro, flessibilissimi, hanno sradicato dal “linguaggio comune” i diritti dei sottoposti facendo percepire che le differenze non esistono. È altrettanto palese che le paghe mensili sono diminuite, che accettare un lavoro oggi è una virtù, per non dire fortuna, che rinunciare invece è da scellerati.

Queste che oggi possono chiamarsi sottrazioni, sono state il sale della pluralità, dei diritti che attualmente si rovesciano prepotentemente nella normalità. Ho sentito dire ad una mia amica che ha dovuto rinunciare al suo contratto a tempo indeterminato, previo ricatto e licenziamento, “se vado in ospedale devo prendermi una mezza giornata di ferie”. Tutto nella totale abitudine, così come rinunciare ad avere uno stipendio equo, la liquidazione, i trasferimenti, ecc ecc.


Quello che mi fa più paura è che nel linguaggio comune i diritti di cui sopra sono spariti. La percezione di una occupazione continua e costante è definita prestigiosa. Il lavoro, ossia la fatica fisica e mentale, dei lavoratori è inesistente. La percezione dei diritti, così come le loro definizioni, sono sparite dalla mente, dal linguaggio, dalla normativa. Quello che resta, e che hanno voluto che restasse, è la gratitudine che oggi c’è nei confronti di chi vende i rovesci dei lavoratori. [+blogger]     

oltre la moda

“Il gusto è gusto”, questa è una massima non sempre condivisa. Tutti pensiamo che sia giusta ma la realtà spesso è un’altra. Facciamo esempi generalizzati: un laureato del rione ama la musica classica, il blues oppure il jazz;  allo stesso modo, un lavoratore operaio che ha la terza media serale ascolta la neomelodia di Ciro Rigione e Gigi D’Alessio; in casa del primo possiamo trovare libri, mentre in quella del secondo riviste di gossip; mentre l’uno ama il cinema di Bergman, l’altro ha visto solo Scarface; in tv, il sabato sera, il laureato vede programmi di politica mentre il serale vede c’è posta per te. Queste differenze possono essere portate alle estreme conseguenze, così come la divisione netta di due mondi, di due idee, di due vite. La prima è sinonimo di eleganza, la seconda di ignoranza.

Nel quartiere alla via San Gennaro dei Poveri vive una famiglia con 4 figli, tre bambine e un adolescente. I genitori, lui ha la terza media mentre la mamma ha la quinta elementare. Tutti i figli vanno a scuola. Alla via  Luca Giordano, invece, vive una famiglia con 2 figli, un maschio e una femmina di 14 e 15 anni. Entrambi i genitori sono laureati, la mamma è medico mentre il padre è un commercialista. Se osservate i figli di entrambe le coppie la cosa diventa alquanto imbarazzante. I 4 ragazzi/bambini della prima famiglia sono di un’ educazione disarmante, non intervengono mai a sproposito, annuiscono e rispondono brevemente mai sovrapponendosi, si rivolgono con rispetto verso i genitori e verso gli adulti. L’esatto opposto sono invece i figli dei due professionisti del Vomero. Parlano Napoletano, maleducati sia a tavola che verso i genitori, non amano la scuola, la figlia preferisce già truccarsi, ha un iphone costosissimo  mentre il fratello gioca tutta la giornata con il videogame portatile, guarda la tv preferendo solo programmi calcistici.

Oggi le ragazze della Sanità (continuo a generalizzare), portano scarpe alte colorate, i cosiddetti zatteroni che un tempo, negli anni 70, venivano calzate da donne emancipate, attrici e femministe. Diversi anni fa avere una bella moto era roba da ricchi. Il tatuaggio se lo faceva solo l’ergastolano o chi aveva scontato diversi anni di galera. Le ragazze della Sanità sono cafone e prive di eleganza colpa di quelle scarpe arcobaleno; i ragazzi con le moto sono tutti buffoni e pagliacci; mentre resiste ancora il tatuaggio perché “chi ha il potere di confermare” lo ha imposto a tutti. La normalità la decidiamo giorno per giorno e quando non ci piace più pensiamo che chi la attua sbaglia incondizionatamente. Come la moda, un vestito prima è bello poi è brutto, insomma, prima se porta poi nun se porta cchiù!

Non tutti per fortuna ragionano così, ma la “stranezza” di chi ascolta un neomelodico educando i suoi figli in modo ineccepibile ed onesto rispetto a chi preferisce la musica classica e i libri senza curare la propria famiglia, non è sicuramente figlia dell’ignoranza popolana, né del gusto né della generosità. Essa è definita volta per volta da chi ha il potere di confermare e/o sconfermare la norma e, come la moda, resiste in un determinato periodo sottraendo tutto quello che di differente propone l’alterità.  Per dirla in modo diverso, laddove il linguaggio economico determina per definizione dei presupposti, le somiglianze e le definizioni cambiano a secondo degli interessi, che in seguito si trasformano in speculazione culturale. [+blogger]