Francesca Bellino è una mia cara amica. Giornalista e scrittrice con una ossessione in testa che si chiama Tunisia. Non solo la sua famiglia è in parte tunisina (il marito è l’attore Ahmed Hafiene noto in Italia per aver fatto numerosi ruoli tra cui Hassan in La giusta distanza di Carlo Mazzacurati), ma da tempo lo è anche la sua anima. Di recente ha scritto un romanzo, Sul corno del rinoceronte, che ripercorre attraverso la storia di un’amicizia i momenti turbolenti che anticipano la rivoluzione dei gelsomini, l’inizio delle rivolte arabe. Mi ha sempre colpito una frase del romanzo di Francesca. Lei scrive: “I segreti sono nascosti negli occhi. Il mio primo incontro con la Tunisia sono stati gli occhi di Meriem. Poi mi sono imbattuta in quelli dei giovani in trappola, arresi ai bordi delle strade o persi davanti a squallide tazzine di caffè”. In poche righe Francesca Bellino ha fatto una fotografia precisa di quanta frustrazione circolava e circola ancora tra i giovani, soprattutto uomini, tunisini.
Me li ricordo pure io quegli occhi. Tanti anni fa ho seguito un corso di arabo all’istituto Bourguiba di Tunisi. Eravamo una multiforme umanità. Tutti lì per un interesse diverso. Chi adorava il poeta Nizar Qabbani, chi voleva imparare una lingua con cui lavorare nel settore del petrolio, altri invece sognavano di tradurre manoscritti medievali. Io non so bene perché fossi lì, forse per non darla vinta a una lingua che mi faceva impazzire con i suoi plurali fratti e le sue coniugazioni. E poi c’erano loro, le signore eleganti. Alcune erano italiane, altre tedesche, altre ancora francesi.
I sogni mangiati
Lo studio dell’arabo era una scusa, quello che dicevano a casa ai mariti per giustificare il viaggio. In realtà più che alla lingua araba erano interessate agli arabi. Ed ecco che di colpo quei giovani senza lavoro, senza futuro, si attaccavano a queste signore occidentali per un regalo o per una cena in qualche ristorante di lusso. Le signore elargivano generosamente in cambio di qualche prestazione sessuale e di qualche galanteria. Era un commercio alla luce del sole che mi aveva lasciato senza fiato.
Ero ingenua forse, ma non me lo aspettavo proprio. E cominciai a osservare quei giovani. Avevano tutti qualche sogno, qualche voglia di futuro, ma allora c’era Ben Ali, il dittatore, quello che Francesca Bellino chiama il rinoceronte, a mangiare i sogni. E oggi? La situazione non è migliorata. I ragazzi sognano ancora di fuggire, di lasciarsi questo paese alle spalle. Un paese, va detto, tra i più battaglieri e laici del Nordafrica. Un paese però che è abbandonato dalla comunità internazionale, che lo considera una pedina poco importante. Ed ecco che le grinfie del fondamentalismo e del terrorismo si sono fatte sentire con brutalità. La Tunisia è stata colpita duramente dal terrorismo, pensiamo solo agli attentati al museo del Bardo e a quello sulla spiaggia di Sousse, e oggi ha alti tassi di radicalizzazione tra i giovani.
I giovani, i loro occhi. Ho cercato di guardare quelli di Anis Amri, il terrorista del mercatino di Natale di Breitscheidplatz, a Berlino. Gli occhi rivelati dalle fotografie sono opachi, velati, manca la luce. All’Ucciardone, una delle strutture carcerarie dove è stato recluso, Anis Amri è stato descritto come violento. Riguardo le foto segnaletiche che sono state pubblicate dai giornali. Questa storia ci riguarda, penso. Ci riguarda come Italia. Parla di noi. Anis Amri non ha una faccia poi così diversa dai ragazzi di Messina, Palermo, Enna, Catania. Come ogni giovane, anche lui forse ha sognato per se stesso un futuro migliore, chissà. Cerco di guardare l’uomo dietro al terrorista. Non è facile. Soprattutto non è facile se penso a chi ha perso la vita in quel mercatino berlinese. Non è facile se penso a Fabrizia Di Lorenzo che voleva solo un mondo più bello dove vivere. Se penso ai loro corpi falciati senza pietà, mi sale una rabbia immensa. Ma ecco che dobbiamo essere lucidi, e cercare di capire come siamo arrivati fino a questo punto. Dobbiamo farlo, anche solo per capire come difenderci. Se continuiamo a gridare al lupo al lupo non servirà a niente. Dobbiamo cercare Anis, chiunque esso sia, dietro la parola terrorista.
La prima falla
Ed ecco che questa vicenda emblematica ci spinge a guardare alle falle del nostro sistema. Parliamo tanto di legalità, ma è proprio l’illegalità del sistema che porta alla diffusione della peste terrorista.
Di Anis Amri sappiamo che è arrivato in Italia con un barcone. Ecco la prima falla. Ecco quello che non va, il barcone. Il viaggio dei migranti è in mano ai trafficanti, ai mafiosi. Loro decidono i prezzi, le rotte, le modalità. Qualcosa che dovrebbe essere competenza degli stati oggi è in mano a criminali senza scrupoli. Chi arriva in Europa deve farlo a costo di morire in mare o di morire nelle tappe precedenti. Si può morire in carcere in Libia, dopo uno stupro di gruppo o di sete nel deserto del Sahara. Negli anni settanta i padri di questi ragazzi che fanno il tahrib, così si chiama il viaggio di migrazione in somalo, potevano prendere un aereo e avevano dei visti. Oggi non c’è una maniera legale di arrivare in Europa. Ci sono solo i trafficanti. Questo è un dramma per i migranti, che rischiano la vita. Ma è un dramma per l’Europa. Come sa l’Europa chi arriva nel suo territorio?
Un tempo c’era un sistema di visti per arrivare dal Nordafrica in paesi come la Francia o l’Italia. Si era pendolari per un po’. Molti lo erano per lavoro, altri per studio. C’era un viavai controllato dall’una e dall’altra parte. Chi migrava non lo faceva per sempre, aveva la possibilità di tornare indietro. Le procedure non erano ottime, ma sicuramente migliori di quelle di adesso. Oggi non c’è più mobilità tra un lato e l’altro del Mediterraneo. Da mare aperto, oggi il Mediterraneo è diventato un mare chiuso, uccisi tutti gli scambi che hanno creato grandi civiltà. Dal momento in cui Anis Amri mette piede in Italia comincia una sorta di discesa agli inferi che finirà solo con la sua morte a un posto di blocco a Sesto San Giovanni. Ora, Anis Amri era un soggetto a rischio, descritto come violento, etichettato come problema e molto probabilmente era vero. Mi chiedo: si poteva recuperare questo ragazzo in qualche modo? Soprattutto nello stadio iniziale? Non ho una risposta. Mi inoltro nella sua biografia. Ed ecco che lo vediamo chiedere protezione in quanto minore. Lui ha già compiuto 19 anni. Le autorità non lo sanno e lo mettono in un centro per minori. Diciannove anni però non fanno di te un uomo. Anis Amri è un dicianovenne violento, rissoso e confuso. Questo emerge dalle parole del padre intervistato da un giornale tedesco.
Il fortino dell’Europa
Il sistema, inoltre, porta a mentire. Anis ha mentito, ma forse non è il solo. Il richiedente asilo deve inserirsi in griglie prestabilite per ottenere l’asilo politico. Allora se sei del nord del paese X non puoi ottenere asilo, ma se dici di essere di Y allora la tua domanda sarà valutata. I migranti lo sanno e, pur di non vedersi rifiutata la domanda, si inventano storie non vissute. Le loro sofferenze sono autentiche, ma spesso la commissione non valuta l’individuo e vuole sentirsi raccontare quello che ha già prestabilito. Ed ecco che molti si fingono minori o fingono di essere chi non sono.
La realtà è complessa. Se accolgono i siriani, allora anche un tunisino o un marocchino si finge siriano, su internet ci sono i tutorial per rifare l’accento di Damasco, di Homs e di Aleppo e anche se sei di Rabat o di Mahdia allora ci provi anche tu, perché l’Europa è diventata una fortezza. Sì, un fortino che continua a sfruttare il sud del mondo, le sue materie prime, ma che vuole il migrante solo dopo che abbia passato atroci sofferenze, perché dopo accetterà di lavorare per pochi spiccioli. Il sistema è malato. Se ci fosse un viaggio legale (e, sottolineo, legale) tutto questo non avrebbe bisogno di esistere. Nessuno dovrebbe mentire. Ma è al centro di accoglienza che Anis non ancora terrorista si perde completamente. Brucia insieme ad altri ragazzi una parte della struttura. È molto violento. Sconterà, come hanno già detto tutti i giornali, quattro anni di pena in varie strutture siciliane. “Non si è radicalizzato in carcere”, dicono le autorità. Ma il carcere lo ha inabissato sempre di più. Ha creato il terreno fertile per la radicalizzazione.
Lo sappiamo, le carceri italiane sono sovraffollate, invivibili. L’Ucciardone, dove Anis è finito, è noto alle cronache. Spazi angusti, corpi addensati in pochi metri soffocanti, detenuti promiscui loro malgrado. Le risse all’Ucciardone e in molte carceri italiane sono all’ordine del giorno. Il personale, soprattutto la polizia penitenziaria, è sempre sul piede di guerra. Sono in pochi e fanno turni massacranti. E poi hanno paura per la loro incolumità. Il loro numero non è sufficiente a tenere tutti quei detenuti. La situazione nelle carceri è drammatica. Luigi Manconi e Rita Bernardini ce lo ricordano sempre che il nostro sistema penitenziario non solo è in crisi, ma produce ancora più frustrazione e criminalità.
Il carcere non dichiarato
Dopo L’Ucciardone c’è stato il Cie, il centro di identificazione ed espulsione. Un carcere non dichiarato dove si finisce perché si è in stato di irregolarità con i documenti o i n attesa di espulsione. I Cie sono un universo psicotico dove lo spazio e il tempo sono sospesi, si è solo trattenuti, ma in soldoni si è carcerati. Si attende. Puoi guardare la tv, le donne cercano di abbellire le loro celle che qui chiamano camere, ma sei in un non luogo e la tua diventa una non vita. Puoi rimanerci un mese, due, ma anche diciotto. Ci puoi finire dentro perché il tuo datore di lavoro non ti rinnova il contratto e quindi non puoi avere il permesso di soggiorno o, come il futuro terrorista Anis Amri, perché sei in attesa di espulsione dopo aver scontato una pena in carcere. Uscire dal carcere per finire in un altro che ha regole ancora più assurde del primo.
La malaccoglienza da troppo tempo in Italia produce schivitù e sfruttamento dei migranti
Basta leggere il rapporto Accogliere. La vera emergenza per capire che siamo nei guai. LasciateCIEntrare ha girato l’Italia per un anno intero, il 2015, monitorando i centri di identificazione ed espulsione (Cie), i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e i centri di accoglienza straordinaria (Cas). Quello che emerge dal rapporto è la “malaccoglienza” italiana che diventa teatro dell’assurdo non solo nei Cie, ma mostra le sue crepe anche nelle strutture ordinarie d’accoglienza. Il sistema è costoso, il personale spesso non è preparato, in molti non sanno nemmeno l’inglese e non riescono a comunicare con i migranti, gli appalti non sono chiari, c’è tanta improvvisazione. Quello che ha fatto dire a Stefano Galieni, dell’associazione Diritti e frontiere, che “è la politica la grande assente di quanto sta accadendo in Italia e in Europa. Dietro ogni struttura che nasce o muore vi è opacità assoluta, non ci sono garanzie di standard reali di accoglienza”. Questa malaccoglienza, come ha sottolineato Yasmine Accardo, curatrice del volume e membro di LasciateCIEntrare, in una intervista a Piuculture “da troppo tempo in Italia non fa che produrre schiavitù e sfruttamento dei migranti, mentre continua a rappresentare in troppi casi una fonte facile di guadagno per chi si accaparra bandi o per chi riceve affidi diretti, motivati dall’emergenza”.
Malaccoglienza, ecco la parola per capire il mistero Anis Amri, un ragazzo difficile che di tappa in tappa diventa più violento, più opaco, dagli occhi insensibili. Ecco Anis Amri che accoltella il camionista polacco Łukasz Urban, che voleva comprare un regalo alla moglie a Berlino, ecco Anis Amri che mette il piede sull’acceleratore del tir rubato e falcia vite. L’Italia è la porta dell’Europa. Salva vite certo, la guardia costiera fa un lavoro da Nobel della pace, fa un lavoro che non fa nessuno. Di questo possiamo essere orgogliosi.
Ma è sul resto che non va. Noi come gli struzzi mettiamo la testa sotto la sabbia. Basta che muoiono un po’ più in là, basta che non si facciano vedere troppo e se ne vadano in Germania e in Svezia. L’Italia non vuole organizzarsi. E questo non da oggi, ma dagli anni novanta. Qualcosa che ormai è un fatto ordinario è ancora definito emergenza. Non abbiamo personale preparato, non abbiamo strutture adeguate, come ci ha mostrato LasciateCIEntrare, non abbiamo carceri all’altezza, non sappiamo nulla dei paesi che si affacciano sul nostro stesso mare. Quando si parla di immigrazione si usano frasi retoriche come l’ormai sempreverde “Se ne tornassero a casa loro”. Ma nessuno parla seriamente di gestione del fenomeno o di piani per il futuro. E men che mai di investimenti. Come si può risolvere il nodo immigrazione senza soldi?
Ripenso agli occhi che descrive Francesca Bellino nel suo romanzo. Gli occhi dei giovani al di là del mare, in Tunisia. Alcuni occhi sognano di diventare Mozart, Pelè o Steve Jobs. Altri non hanno idea di cosa sia il futuro, sono arrabbiati, frustrati umanamente e sessualmente. Arrivano sia i Mozart sia gli Anis Amri. Ma la malaccoglienza è uguale per tutti. C’è chi con forza d’animo, ed è la maggior parte, ce la fa nonostante tutto. Alcuni continuano il viaggio verso terre che facilitano l’inserimento, altri restano qui a vendere frutta ai mercati o come un mio amico si trasformano da pescatori in apicoltori. E sì, c’è anche chi non molla e diventa comunque Mozart. E poi ci sono gli Anis Amri. Sarebbe consolante fare come Ponzio Pilato, facile lavarcene le mani, e dire non è roba nostra, non ci interessa, era un violento psicopatico. Probabilmente era un violento psicopatico, forse non avremmo potuto fare nulla per cambiare la sua sorte e quella delle sue vittime. Ma non ci siamo presi il disturbo di fare qualcosa.
La nostra politica è stata a guardare. E anche noi non abbiamo fatto nulla, nessuna pressione affinché qualcosa cambiasse. Avevamo il dovere di provare a recuperarlo. Se non per solidarietà, per la nostra sicurezza, per impedirgli di finire tra le braccia del terrorismo. Allora forse una delle armi è proprio l’accoglienza (non la sola, ovviamente, serve anche un coordinamento tra polizie e intelligence). Combattere questa frustrazione che c’è in giro. D’altronde basta leggere la propaganda jihadista per capire che i terroristi hanno paura dell’accoglienza. Dicono, non a caso, che il loro obiettivo è distruggere la “zona grigia”, ovvero lo spazio di convivenza tra diverse fedi e tradizioni. Vogliono odio e frustrazione. Vogliono la nostra paura.
Ecco perché per sconfiggerli bisogna andare ostinatamente nella direzione contraria. “Love is the answer” direbbe John Lennon. Certamente. Ma ripristinando la legalità. Solo la legalità, ovvero regole condivise e diritti non violati, potrà salvare la nostra civiltà. I muri ci porteranno tra le braccia dei terroristi e daranno manovalanza ai fomentatori dell’odio. Non permettiamo che questo succeda. Questa volta dipende anche da noi. [igiaba scego, internazionale]
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profughi autoprodotti
Il dramma degli esuli siriani ha raggiunto finalmente il “cuore” dell’Europa. I campi profughi allestiti per loro nei paesi limitrofi alla Siria sono traboccati. Secondo dati diffusi il 9 luglio scorso dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), i profughi siriani sono oltre 4 milioni, in gran parte concentrati in Giordania (629 mila), Libano (1.172.000) e Turchia (1.800.000); gli sfollati sono circa 7,6 milioni. Alla fine di questa estate decine di migliaia di siriani hanno attraversato i confini dell’Europa, via Turchia in prevalenza.
Perché così tanti profughi siriani e come mai negli ultimi tempi stanno arrivando in massa in Europa? I paesi europei – Francia e Regno Unito in particolare – hanno partecipato, sotto l’egida degli Usa, alla guerra per procura contro la Siria, che ha provocato oltre 200mila morti (Reuters, 7 febbraio 2015). Dopo le iniziali “sfilate” diplomatiche di diversi governanti europei nei campi profughi siriani, per «solidarietà» e «sostegno», questi campi sono spariti dalla cronaca. E soprattutto sono stati tagliati i fondi e i campi sono diventati un inferno per chi ci vive. Quindi molti siriani hanno scelto la fuga – fase due – verso l’Europa.
Questo arrivo in massa, i governi europei non se lo aspettavano. Pensavano che i profughi sarebbero rimasti nei paesi confinanti. E ora litigano tra di loro su come affrontare l’“emergenza siriani”, che si aggiunge alla già problematica questione immigrazione in Europa. Gran parte del dibattito è stato focalizzato sugli effetti di questo esodo verso il vecchio continente ma poco è stato detto circa le sue cause originarie.
Tra gli effetti ipotizzati da vari osservatori: 1) l’ulteriore indebolimento dell'Europa “politica” già traballante dopo la crisi greca; 2) lo scontro sociale all’interno della classe lavoratrice: i migranti/profughi sono potenziali concorrenti sul mercato del lavoro a basso costo; 3) l’allargamento del consenso popolare a favore della destra nazionalista in seno ai paesi Ue;
4) il rischio che tra gli esuli siriani vi siano individui portatori del seme jihadista che potrebbe germogliare in Europa: un tale rischio – vero o presunto – potrebbe indurre i governi a stabilire nuove normative che limitino i diritti, specie per migranti/profughi.
Quali sono invece le cause profonde che hanno portato decine di migliaia di siriani – e insieme a loro afgani, somali, eritrei ecc – ad avventurarsi alla ricerca di un rifugio “sicuro”, incontrando in diversi casi la morte?
Generalmente la fuga dal proprio paese è spesso dovuta alle guerre o/e alla estrema povertà.
Le guerre sono spesso fomentate dai paesi occidentali, Usa/Europa, per motivi geostrategici. Secondo l’Acnur, i tre paesi da dove arriva il maggior numero di esuli nel 2014 sono la Siria, l’Afghanistan e la Somalia, paesi la cui destabilizzazione chiama in causa gli Usa/Nato.
La guerra per procura contro la Siria – appaltata ai sauditi e ai turchi – affidata ad una manovalanza jihadista, ha distrutto il paese e costretto milioni di persone alla fuga dai tagliatori di gola dell’Is (Gruppo Stato islamico), di Al Nousra e altre filiali di al-Qaida. Il ministro degli esteri francesi Laurent Fabius aveva dichiarato nel 2012 che Al Nousra fa «un buon lavoro» in Siria (Le Figaro, 10/12/2014). E di recente un dirigente americano si è stupito per il fatto che Al Nousra abbia attaccato la “division30”, un corpo militare addestrato dagli Usa e mandato in Siria per “combattere” l’Is (The New York Times, 31/07/2015).
La povertà estrema, che spesso costringe la gente ad “esodare”, è in gran parte causata dalla ruberia delle ricchezze del Sud del mondo da parte delle potenze occidentali (neo)coloniali. Oltre a razziare le sue materie prime, si impadroniscono – con la complicità di governi fantocci – anche delle loro terre e dei loro mari, riducendo le popolazioni locali alla fame. Nel 2013 gli “aiuti umanitari” al Sud del mondo sono stati 50 miliardi di dollari; contemporaneamente esso ha sborsato 500 miliardi di interessi sul suo debito estero…
Gran parte del (dis)ordine mondiale – causa principale di guerre e povertà, che costringe all’esodo decine e decine di milioni di persone – è responsabilità delle potenze occidentali. Se queste potenze non rinunciano alla loro logica coloniale nei confronti del Sud del mondo ci saranno sempre più migranti/rifugiati costretti a cercare di sopravvivere altrove, in Europa ad esempio. Né i mari né i muri né le leggi li potranno fermare! [ Mostafa El Ayoubi - fonte nigrizia.it]
un'arida bianca stagione
E’ con queste parole che il
noto poeta sudafricano, B. Breytenbach, dipingeva il regime dell’apartheid. In
questa torrida estate non ho altre parole migliori per descrivere quest’Europa,
sotto l’impietosa dittatura delle banche, incapace di perdonare il debito greco
e di accogliere i ‘naufraghi’ dello sviluppo! L’opulenta Europa è decisa a
difendere il proprio benessere contro l’invasione dei ‘barbari’. E’ mai possibile
che 28 nazioni non riescono ad accogliere neanche 40.000 profughi? Dopo lunghe discussioni,
la UE ha deciso di accoglierne 35.000! Un paese povero come il Kenya accoglie
un milione di profughi somali. E il povero e piccolo Libano ne accoglie ancora
di più. E’ mai possibile che la ricca Europa non possa aprire ‘corridoi
umanitari’ per persone che fuggono da teatri di guerra e da dittature?
Non solo non li accoglie,
ma li respinge! In fatti i ministri degli esteri della UE hanno dato il via
libero alla prima fase della missione navale EuNav For Med con cinque navi
militari, due sottomarini, tre aerei ricognizione, due droni, tre elicotteri e
un ‘migliaio’ di soldati per bloccare le partenze dei profughi dalla Libia.
Eppure l’Europa sa molto bene che questi profughi sono la conseguenza delle
politiche coloniali, imperiali, neocoloniali e neoliberiste dell’Occidente! Ma
è altrettanto assurdo come noi europei trattiamo coloro che sono riusciti (con
migliaia di morti alle spalle attraversando deserti e mari!) ad arrivare fino a
noi! L’Ungheria ha iniziato a costruire un Muro lungo il confine con la Serbia
per bloccare gli immigrati; la Francia sta tentando di bloccare trecento di loro
accampati sugli scogli di Ventimiglia; l’Austria fa lo stesso al Brennero; l’Inghilterra
cerca di impedire che i 5.000 profughi accampati a Calais (Francia) entrino sul
suolo britannico; e la Spagna li respinge con il reticolato di Ceuta e Melilla.
“E’ un’arida bianca
stagione!“ Purtroppo non altrettanto accoglienti si stanno dimostrando tanti
italiani! I recenti gravi episodi di rifiuto degli immigrati sono lì a
dimostrarlo. Come quello di Quinto(Treviso), con il rogo delle suppellettili,
tra la folla plaudente, di uno degli alloggi destinati ai profughi e quello di Casale
S.Nicola di Roma (quartiere tutte villette e piscine), dove il furgone che
trasportava 19 giovani richiedenti asilo è stato attaccato con bastoni. E dietro
a questi episodi c’è il blocco politico fascioleghista. La Lega e l’ultra
Destra cavalcano questo crescente razzismo della società italiana: un razzismo
che mi fa paura. E ancora più spaventoso per me è che in questo paese
l’accoglienza dei migranti sia diventata un altro business. La Magistratura ha
rivelato recentemente questo business milionario che va dalla “Cascina” delle
tangenti di Roma al Cara di Mineo (Catania), in perfetta continuazione con
Mafia Capitale. “Guadagno di più con immigrati e Rom- aveva detto il capobanda di
Mafia Capitale, Buzzi-che non con la droga!” Una Cupola ha controllato e in
buona parte ancora controlla, attraverso la leva delle convenzioni, il fiume di
denaro che ogni anno assicura l’accoglienza dei migranti nel nostro paese. Si
tratta di oltre un miliardo di euro nel 2015. E’ gravissimo che in questo
business ci siano cadute anche associazioni legate alla Chiesa!
“E’ un’arida bianca
stagione!” La cosa più incredibile è che l’Italia ha bisogno di questi migranti
.Ormai buona parte del lavoro agricolo, per esempio, è portato avanti dagli
immigrati. Un lavoro pesante, pagato pochissimo….Qui al Sud, gli immigrati, che
lavorano nei campi, spesso faticano dodici ore al giorno, con una paga di 20-25
euro al giorno di cui cinque vanno al caporale . In questi giorni è morto
Mohammed, un sudanese di 47 anni che lavorava nei campi di Nardò (Lecce) a
raccogiere pomodori sotto un sole che spaccava le pietre. “Mohammed lavorava
per 3,50 euro a cassone-spiega il coraggioso sindacalista della FLAI, Yvan
Sagnet. Ciascun cassone pesa tre quintali e più ne riempi ,più vieni pagato. La
giornata di lavoro inizia alle 5 e finisce alle 17; si passano dodici ore sotto
il sole.” I bei pomodori che arrivano sulle nostre tavole grondano sudore e
sangue di immigrati-schiavi!