Visualizzazione post con etichetta politiche. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta politiche. Mostra tutti i post

senza un perché

“Difficile pensare di votare seriamente e credere che questa democrazia sia realmente democratica”. Così ha esordito don Pasquale il salumiere dopo aver visto il manifesto che gli ho mostrato; poi lo ha preso e attaccato sul muro della sua bottega. Gli ho detto: dunque non andrete a votare? Mi ha risposto: “Sono in crisi, la stessa crisi di quando decisi di non essere più cattolico. Quando smetti di fare una cosa in cui hai creduto e che i tuoi genitori ti hanno insegnato come conquista, beh, allora la risposta a questa tua domanda non ha risposta”.

Ancora nel quartiere c’è chi promette lavoro in cambio dei voti, cosa vecchia e sorpassata che dovrebbe far ridere e piangere allo stesso tempo. Ma il giano non è sempre bifronte. C’è anche chi non ha accettato 500/1000 voti di scambio. Ecco la realtà che ti sbilancia, che ti mette in crisi, che ti lascia senza parole. Votare il meno peggio? Qualcuno mi ha anche posto un'altra domanda: “Hai una alternativa?” Gli ho risposto con la frase di Longanesi: “Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee.”

Un candidato eletto esprime le sue idee (o quelle del partito… a volte), mai quelle della gente. Poi c’è una legge elettorale: io sono il candidato, votatemi. C’è chi si lamenta perché con 20mila euro al mese non riesce a vivere; chi viene condannato dalla magistratura per peculato, ma il suo spot è “viva l’onestà”. Insomma perché se non so scegliere, se non so votare, sono così scemo? Nessuno ha mai pensato che sono triste? Che sono spaventato? Che ogni sorriso e ogni frase mi sono indifferenti? 

Non voglio neanche sentirmi chiamare onesto, se devo delinquere per aiutare un uomo che sta affogando in mare lo faccio volentieri e mi becco la condanna. Bisogna riappropriarsi della dignità della gente, non la nostra dignità. Bisogna ragionare con la mente di chi ha veramente bisogno non con la nostra mente. Il detto che mi diceva sempre mio padre, “fattelle c’u cchi è meglio ‘e te, e pavece ‘e spese”, forse come in nessun altro periodo storico è azzeccato. [+blogger]

pasqua di sangue

La settimana scorsa un altro operaio è morto, questa volta nel rione sanità. Qualche giorno dopo un lavoratore è rimasto schiacciato a Pordenone. L’Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di incidenti sul lavoro. L’osservatorio di Bologna calcola due incidenti mortali al giorno. Nel 2007 circa 1300 operai sono deceduti sul lavoro. Crescono le morti bianche, cresce la precarietà e la mancanza di regole. Diminuisce l’azione sindacale, oggi e pressoché inutile. Non a caso il benessere è aumentato grazie ai rapporti saldi tra impresa e lavoratore. Attualmente gli accordi tra azienda e operaio sono stati stralciati da una gestione miserevole e inutile. 

L’anello di congiunzione tra diritti mancati e morti bianche fa aumentare esponenzialmente la variabile precarietà, così come l’attaccamento al proprio lavoro, alla propria operosità. L’operaio edile morto nel quartiere Sanità è solo l’esempio (tra una moltitudine), di una mancanza di “certezza”, di passione nel fare, nell’inventare, nel proteggere il proprio lavoro. La morte non è più accidentale ma voluta. Nel porre attenzione si sbaglia “intenzionalmente” quasi come a far spregio per chi non ha rispetto per la vita umana. 

Nel film “Totò e i re di Roma”, Ercole Pappalardo muore volutamente dopo essere stato licenziato: nel limbo, alla borsa nera acquista quattro numeri a lotto e li dà in sogno alla moglie. Quando Dio lo scopre lo convoca al suo cospetto per punirlo, ma sentendo che ha lavorato quarant’anni come archivista capo al Ministero gli urla furioso: “in paradiso”. 

La mancanza di sicurezza sta creando (l’ha già fatto), un nuovo modo di lavorare, un nuovo approccio al fabbisogno e alla sostanzialità. L’imprenditore non muore mai per fatalità, il lavoratore sempre. Il nuovo pensiero ibrido non ha danneggiato la nostra economia, ha solo danneggiato i più poveri. Si parla ancora di sottoproletariato, di laureati ignoranti, di dirigenti che guadagnano come tremila operai. La differenza? La differenza non c’è, è inopportuna, è rifiutata, è sorpassata. Questo articolo non è scientifico, né certo, è solo il frutto di un pensiero stanco… e forse obsoleto. Buona Pasqua [+blogger]

loro di napoli

Si, avete letto bene. Loro senza apostrofo, per indicare quanti ci hanno creduto fin dall'inizio, ormai cinque anni fa e quanti (pochi in verità, ma per un contesto come il nostro è già una piccola vittoria). Mi riferisco al microcredito alla Sanità di Banca Etica di cui ricorrono i 15 anni dalla fondazione e che in collaborazione con la Rete Sanità ha organizzato l'incontro di sabato 15 nella sala conferenze della chiesa dei Vincenziani  ai Vergini.

Un'occasione per fare un primo bilancio dell'iniziativa, discutere sui limiti e le possibilità e cercare di rilanciare e, possibilmente migliorare, anche sotto l'aspetto comunicativo. C'erano anche alcuni ragazzi del Nuovo Teatro Sanità che ci hanno trattenuto con un saggio della loro arte, i ragazzi dell'Alberghiero che hanno preparato il rinfresco. Non c'era molto pubblico locale, come era del resto prevedibile, ma è stato bello comunque vedere tante facce giovani, auspicando un incremento ulteriore, poiché dove c'è nuova linfa, c'è anche una maggiore qualità comunicativa.

Tra le testimonianze che si sono succedute da Renato Briganti di Mani Tese Napoli, al presidente dell'Associazione Marco Mascagna, quella più significativa è stata di un giovane papà del quartiere che, grazie al Microcredito è riuscito ad avviare un negozio di bomboniere e potere così mantenere se stesso e la famiglia senza essere costretto ad andare via e lasciare casa e radici. Questo è molto importante, perché se cresce il Microcredito può crescere l'economia di un quartiere che vive una situazione assurda: da passaggio obbligato per la nobiltà e per la corte reale, enclave artigiana, a ghetto nel cuore della città storica.

Certo questa iniziativa non può risolvere i nostri mali secolari, ma  può essere un incentivo per iniziare ad uscire lentamente da una mentalità di delega e di eterna attesa dall'alto di quello che non è niente di più e niente di meno che un diritto inalienabile dell'uomo: lavoro e dignità! [vincenzo minei]