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stop agli arraffa terra

Appello contro il Land-Grabbing - Muti spettatori, stiamo assistendo ad un’altra operazione di ladrocinio internazionale che, in inglese, è chiamata land-grabbing e in italiano potremmo tradurre  con arraffaterre. E’ una forma aggiornata di neo-colonialismo. Alcune multinazionali dell’agro-alimentare e alcuni gruppi finanziari (banche private, fondi- pensione, fondi di investimento) attratti dai prezzi dei generi alimentari in aumento e dalla domanda crescente di biocarburanti e di prodotti agricoli si sono buttati nel grande affare di acquisire, nel sud del mondo, terre coltivabili e fonti d’acqua associate.

In questi ultimi anni milioni di ettari di terre arabili sono state comperate, a bassissimi prezzi, per produrvi derrate alimentari, mangimi, o biocarburanti che vanno a beneficio degli speculatori, ma a danno degli agricoltori locali e dei pastori ai quali è tolto l’accesso alla terra e all’acqua. Spesso le popolazioni espulse dalla terra sono vittime di sgomberi violenti, lasciate senza risarcimenti adeguati o fonti di reddito. A loro resta spesso solo andare a ingrossare il popolo delle baraccopoli. Si calcola che ,nella sola Africa,  67 milioni di ettari di terra siano stati accaparrati (equivalenti alla superficie della Germania e dell’Italia). L’Eldorado del land-grabbing è oggi l’Africa (anche se il fenomeno è molto presente sia in Asia come in America  Latina). Questo scempio è venuto alla ribalta quando nel 2008 il governo del Madagascar concluse il gigantesco accordo con la multinazionale coreana Daewoo che prevedeva la cessione gratis per 99 anni della metà della terra arabile del paese. L’affare scatenò proteste di piazza che spazzarono via il governo di M. Ravamanana.

Ma in Africa non c’è solo la Corea, ci sono anche le due grandi potenze asiatiche: Cina e India. Quest’ultima ha già investito 2,4 miliardi di dollari per l’acquisto di terre nell’Africa Orientale: Etiopia, Kenya, Madagascar e Mozambico. Particolarmente imponenti gli investimenti indiani per l’acquisto di terre in Etiopia che sta diventando il ‘Brasile dell’Africa’ .L’Etiopia vuole infatti diventare  il più grande produttore di biocarburanti del continente. Altrettanto imponenti gli investimenti dell’Arabia Saudita in Etiopia, per avere derrate alimentari per la propria popolazione. Il miliardario saudita Mohamed Hussein Al Amoudi sta mettendo le mani  su 300.000 ettari oltre quelli che già ha ottenuto a Gambela al confine con il Sudan. La Cina sta arraffando terre un po’ ovunque nel continente africano, in particolare in Sud Sudan che sta attirando l’appetito di molte nazioni (Questo avviene in un’Africa che deve importare ogni anno decine di milioni di tonnellate di derrate alimentari!).

L’Europa non è seconda a nessuno in questo business e l’Italia brilla in questa nuova forma di neocolonialismo.  “L’Italia, è tra i paesi europei, uno dei più attivi negli investimenti europei su terra all’estero, seconda solamente all’Inghilterra-afferma il documento Gli arraffa  terre, redatto da Re: Commo-con Germania, Francia, Paesi Scandinavi, Olanda e Belgio a seguire.”Venti imprese italiane si giocheranno un pezzo di pianeta che potrebbe raggiungere nei prossimi anni oltre 2 milioni di ettari, tra queste le più note sono Benetton, Cir(di Carlo De Benedetti), Eni, Moncada, principalmente impegnate in Mozambico.Tra le banche più coinvolte sono le tre big del credito (Unicredit, Intesa e Monte dei Paschi di Siena). Se in Patagonia si è mossa alla grande Benetton, in Africa stanno arraffando terre parecchie imprese a medie dimensioni, soprattutto in Senegal e Etiopia.

Dietro a tutto questo ‘arraffa terre, ci stanno le grandi istituzioni internazionali. “La Banca Mondiale-afferma la nota organizzazione popolare Via Campesina- è una delle forze trainanti dietro al land-grabbing che permette al grande business mondiale di inghiottire terre e risorse ai danni delle comunità locali.” La Banca Mondiale, in violazione con il suo stesso mandato, sta favorendo gli investitori attraverso prestiti ad hoc e assicurazioni contro le perdite e sta poi persuadendo i governi del Sud del mondo a modificare le proprie leggi sulla proprietà della terra per renderle funzionali agli investimenti esteri. Non possiamo accettare né come cittadini né come credenti questa nuova forma di colonialismo di un’odiosità e pericolosità senza pari. E’ la negazione di diritti umani fondamentali : diritto al cibo e all’acqua! Questo nuovo fenomeno porterà alla fame e alla disperazione milioni di contadini del Sud del mondo. Nella tradizione biblica ci viene sempre ricordato che la “ la terra è di Dio” e quindi deve essere equamente divisa tra tutti perché tutti possano vivere. In nome di questa tradizione ebraico-cristiana, i vescovi africani riuniti a Roma, per il Sinodo Africano (2009) sono stati categorici su questo argomento:” Questo Sinodo invita urgentemente tutti i governi africani ad assicurarsi che i loro cittadini siano protetti contro l’ingiusta esclusione dalla propria terra e dall’accesso all’acqua che sono beni essenziali della persona umana.”

Nello stesso spirito, i vescovi del Kenya, lo scorso agosto, hanno pesantemente attaccato il loro governo, reo di volere offrire 500mila ettari di terre a multinazionali per produrre cibo da esportare o per biocarburanti, mentre tanti in Kenya soffrono la fame. E’ proprio per questo che il gruppo di Giustizia, Pace e Salvaguardia del creato dei missionari/e comboniani/e, riunito a Rio de Janeiro, il giugno scorso, ha deciso di preparare e sostenere una campagna di sensibilizzazione contro questo nuovo crimine contro l’umanità. E la famiglia comboniana intende farlo insieme a tutti coloro che si stanno impegnando su questo tema come la Rete europea degli istituti missionari (AEFJN) che ha sede a Bruxelles. (email:aefjnnews@aefjn.org) Facciamo nostro il grido dei missionari  riuniti durante il Forum Sociale Mondiale (2011) a Mbour (Dakar): "Vogliamo continuare ad impegnarci per assicurare che l’Africa non subisca un altro genocidio in conseguenza del land-grabbing". [alex zanotelli]

ambulatorio ore 9,30

Martedì 31 luglio 2012 ore 9,30 ambulatorio ginecologia del san Gennaro dei Poveri. Una quindicina di donne aspettano il loro turno, hanno pagato regolarmente il ticket; altre arrivano al pronto soccorso. Insieme ambulatorio e pronto soccorso. Un solo medico, senza aiutanti. Caos. Sembra uno di quegl’ospedali da campo: chi esce e chi entra all’improvviso, la porta è lasciata continuamente aperta, anche del personale di turno che sembra non interessarsi proprio che in quella stanza le donne devono abbassarsi le mutande. Il medico urla da dietro la tenda che separa la stanza, sul lettino distesa una ragazzina che sta facendo una ecografica transvaginale.

Arriva una donna del personale dell’ospedale san Gennaro, spalanca la porta senza bussare né chiedere permesso, ritorna dopo pochi secondi e fa entrare una ragazza contro le imprecazione di chi sta aspettando nella calura dell’ingresso fuori l’ambulatorio. È una ragazza che si sente male per finta, lo fa per squagliarsela velocemente, è l’ultima arrivata e ha fretta, deve urinare ma nel cesso di casa sua. Entriamo, finalmente dopo aver aspettato diverse ore. La dottoressa è rossa, paonazza, ha il viso emaciato dalla stanchezza anche se l’abbronzatura cela un po’ il suo esaurimento.

La prima cosa che dice quando ci vede: “qui è un inferno!, mi tocca fare altre cose mentre sto visitando, viene il dr. … e chiede, viene l’infermiere … e chiede, viene il portantino … e chiede, cose da farmi gridare a squarciagola”… Io li vomiterei addosso, li manderei a fare nel culo, il rispetto è solo una cosa mia, nostra, non è mai tua e vostra. Si rischia di sbagliare, si rischiano errori madornali, si rischiano collassi, ma si sa il nostro è un diritto, il mio è un diritto, quello degli altri non so definirlo.

Funziona tutto così, non è un paradosso perché faticosamente funziona, è il paradosso del paradosso; funzione perché non funziona, perché non si deve fare così altrimenti tutto finisce bene; tutto va per il verso giusto all’incontrario; un doppio senso unico in un divieto di transito; è la prospettiva di  una vecchia tesi sociologica che vede nel caos un ordine straordinario; anche se quest’ultima è stata stravolta dalla tesi del doppio caos, tesi che, per ritornare all'ordine, ha bisogno di un altro ordine caotico. [+blogger]                

rio+20 il grido dei poveri

Il grido dei poveri sulle strade di Rio. Vi scrivo con negli occhi uno spettacolo straordinario: Rio di notte, vista dalla collina di Barrio Santa Teresa che sovrasta il cuore della città. Sono appena tornato da una grande manifestazione nel centro della megalopoli, illuminato a giorno. Che impressione vedere così tanti giovani manifestare davanti ai palazzi del potere e della ricchezza ostentata pur in presenza della miseria di milioni di favelados (per inciso, Rio fa 14 milioni di abitanti). In 50mila hanno percorso la maestosa strada centrale, avenida Rio Branco, cantando, ballando, urlando.

Pesanti le scritte sugli striscioni: “No alle soluzioni del capitalismo verde”. Pesanti gli attacchi alla presidente del Brasile: “Dilma non vedi che figura stai facendo?”  Dilma è sotto un pesante attacco per aver firmato una legge che incrementerà il taglio di alberi nella foresta amazzonica. Una partecipazione corale, popolare, gioiosa. “Non vedo le tivù nazionali”, urla una donna da un altoparlante di un camion. Infatti i media del potere sono assenti. Molto presenti invece la polizia in assetto antisommossa  e reparti dell’esercito (questo città mi appare davvero sotto controllo militare).

Notevole la partecipazione delle comunità indigene sia brasiliane che boliviane. Massiccia la presenza di Via Capesina e soprattutto dei Sem Terra brasiliani. Mi son sentito bene marciando con loro. Condividendo le loro straordinarie lotte ho avuto la netta percezione di un’intensa vitalità e di voglia di cambiare. Mi sono intristito solo nel costatare l’assenza delle comunità di base brasiliane, una volta così forti e così presenti (purtroppo la chiesa in  Brasile si sta sempre più rinchiudendo su se stessa). Forti le contestazioni contro le multinazionali, specie quelle brasiliane. “La vostra multinazionale Vale do Rio Doce – urla una donna mozambicana al microfono – sta costruendo una diga nel mio paese, derubandoci delle nostre terre e delocalizzando la nostra gente”.

Anche ieri sera era stata organizzata una manifestazione, con tremila persone in piazza, proprio contro la Vale, la più potente del Brasile, che estrae ferro nel Carajàs (regione del Maranhao) e lo strasporta lungo un tratto ferroviario di 892 km fino ad arrivare al mare. Questo ferro viene esportato in una quantità di 100 milioni di tonnellate l’anno. Lungo il percorso del treno che trasporta il minerale di ferro, la Vale si rende responsabile, oltre che di violazioni del diritto del lavoro, di tante violazione di diritti umani e di diritti ambientali. Il treno investe e uccide una persona al mese per mancanza di protezioni e di segnaletica. Anche le case vicino al percorso del treno subiscono dei danni e non poche sono pericolanti. Nonostante ciò la Vale ha l’obiettivo di raddoppiare, entro il 2015, la produzione di minerale di ferro e quindi costruire un altro binario. Raddoppieranno anche le violazioni dei diritti umani.

Nel 2009, i missionari comboniani del Brasile hanno iniziato una campagna contro questa multinazionale. L’impegno riguarda tutti, in particolare padre Dario Bossi, fratel Antonio Soffientini e padre Domingo Savio si sono mossi con decisione a sfidare questo gigante. Dopo tre anni di lotte locali e internazionali, l’opinione pubblica è più consapevole e si cominciano a vedere i primi frutti: la manifestazione del 19 giugno, con tremila persone, è uno di questi frutti. La rete internazionale, le vittorie processuali e la formazione di leader comunitari sono altri frutti di questa azione.

Sono piccole vittorie, piccoli gesti simbolici di un popolo che vuole un altro sistema, rispettoso di questo piccolo pianeta che è stato messo nelle nostre mani. A noi è stata data la gioia di camminare con questa gente, con gli umili, gli emarginati di questo continente, sognando un mondo altro. Questa è la Cupola dos Povos così lontana dai quartieri ricchi dove oggi si aperto ufficialmente il vertice Onu. Ma la speranza non sta nei palazzi ma sulle strade di Rio e del mondo con i popoli in cammino. [alex zanotelli]

la shoah dei cani

Non vedrò una sola partita di euro 2012, mi fa schifo quello che sta succedendo in Ucraina, come diceva Ghandi: “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”. Così un video postato su youtube, di rainews24, (se ne possono vedere diversi), ha denunciato il massacro dei cani randagi in Ucraina. Lo Stato deve mostrarsi decoroso per l’evento calcistico, così fa annientare barbaramente centinaia di quadrupedi. Mi piacerebbe che la nazionale italiana non partecipasse all’evento, così come i giocatori del Napoli, protestando contro l’inciviltà umana.

Come è elegante indossare una pelliccia di visione (che c’è di male, nascono in cattività), avere sedili dell’auto in pelle (non vengono ammazzati, solo scuoiati); com’è bello sparare ad un uccello (ho il porta d’armi e non c’è divieto di caccia), mangiarci carne di montone (lo fanno tutti), maiale a volontà (a proposito non si butta nulla del maiale), bruciare cani come si brucia l’immondizia (non si può, la partita è un fatto culturale).

Del resto l’umanità non ha salvato se stessa, Sodoma resterà per sempre nella storia, vigliacca per coscienza e per paura. Ma per adesso il mondo del spot tace, vile come le arpie in cerca di preda.  Solo i tifosi dell’Inter hanno esposto uno striscione con su scritto: “uefa: stop the dog massacre in Ucraine”, durante la partita contro in Marsiglia. La televisione deve restare spenta! In questi casi alcuni uomini dovrebbero essere definiti attraverso principi economici che, in modo del tutto anomico, rappresentano l’immane e gretta stupidità.  [+blogger]