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i raee di napoli


A partire da sabato 29 marzo fino a sabato 3 maggio Napoli vive un programma di eventi di educazione ambientale e di raccolta differenziata dei RAEE promosso da Asia Napoli, dall’Assessorato all’Ambiente del Comune di Napoli, da Associazioni Ambientaliste, dalle scuole, e dalla cittadinanza attiva napoletana.

Il 5 Aprile quartiere Stella piazza Sanità dalle ore 09,00 elle ore 14,00

Alcuni esempi di RAEE che potranno essere consegnati nei 10 punti di raccolta ASIA 

Ferri da stiro, tostapane, friggitrici, frullatori, macina caffè elettrici, apparecchi tagliacapelli, asciugacapelli, spazzolini da denti elettrici, rasoi elettrici, apparecchi per massaggi, sveglie, orologi da polso o da tasca. Bilance, personal computer, computer portatili, monitor, mouse, tastiera, notebook, agende elettroniche, lettori MP3, calcolatrici tascabili e da tavolo, proiettori, telefoni, telefoni senza filo, telefoni cellulari, caricabatterie, segreterie telefoniche, fax, apparecchi radio, videocamere, videoregistratori e apparecchi per la riproduzione video in genere, registratori musicali, amplificatori audio, strumenti musicali elettrici ed elettronici, apparecchi di illuminazione (senza la lampadina), treni elettrici e auto giocattolo, giocattoli elettrici in genere, consolle di videogiochi portatili, videogiochi

Frigoriferi, Lavatrici, Lavastoviglie, Asciugatrici, stufe elettriche, forni a microonde, ventilatori, scope elettriche.

abisso ecologico

Stiamo andando nel silenzio generale verso un altro importante appuntamento internazionale: la Conferenza delle Parti (COP 19) che si terrà a Varsavia, 11-12 novembre. Eppure non c’è nell'agenda dei nostri politici. E questo nonostante il quinto Rapporto IPCC ( Panel Internazionale per i Cambiamenti Climatici) presentato a Stoccolma il 27 settembre scorso  e frutto di una ricerca scientifica durata sei anni. Il Rapporto afferma che la concentrazione di CO2 (anidride carbonica) nell'atmosfera è al limite di guardia e tra dieci anni saremo fuori dall'area di sicurezza. Le emissioni di gas serra continuano a crescere del 2-3% l’anno. Andando avanti così, gli scienziati dell’IPCC dicono che , a fine secolo, la temperatura potrebbe arrivare a 5,5 gradi. Gli scienziati indicano anche le cause responsabili  di questo processo: i combustibili fossili (petrolio, carbone e metano) e la deforestazione. E la comunità scientifica concorda che la colpa è dell’uomo.

Il clima è impazzito e la Madre Terra non sopporta più il più vorace degli animali: l’uomo. Ci attende una tragedia con conseguenze devastanti per l’umanità(scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, tempeste come Sandy, centinaia di milioni di rifugiati climatici). E’ in atto un biocidi, un genocidio. “Moralmente noi abbiamo sviluppato una risposta al suicidio, all'omicidio, al genocidio - ha scritto il teologo ecologista Thomas Berry - ma ora ci troviamo a confrontarci con il biocidio, l’uccisione di sistemi vitali, e il genocidio, l’uccisione del Pianeta Terra nelle sue strutture vitali e funzionali. Queste opere sono un male maggiore di quanto abbiamo conosciuto fino ad oggi, male per il quale non abbiamo principi né etici, né morali di giudizio. Una semplice dottrina della custodia del creato non sembra più adeguata per affrontare problemi così gravi.”  E’ una situazione che interpella tutti, credenti e non. Giustamente lo stesso Berry afferma che “la più significativa divisione tra gli esseri umani non è basata né su nazionalità né sull'etnia né sulla religione, ma piuttosto è una divisione fra coloro che dedicano la loro vita a sfruttare la terra in una maniera deleteria, distruggendola, e coloro che si dedicano a preservare la terra in tutto il suo naturale splendore.”.  Credenti e non sono convocati oggi nella storia a un salto di qualità per affrontare una situazione così grave e minacciosa. E’ in ballo la vita, è in ballo il futuro dell’umanità.

Lo stiamo toccando con mano qui in Campania, una terra avvelenata da rifiuti tossici, dai  fuochi di materiali tossici, dalle megadiscariche… Noi stiamo morendo di tumori, leucemie.  Lo stiamo toccando con mano a Taranto avvelenata dall'inquinamento industriale, con quasi novemila malati di cancro, con piombo nel sangue dei bambini e diossine nel latte materno. Nel microcosmo osserviamo quello che avviene nel macrocosmo: la Madre Terra è violentata, avvelenata, degradata; non sopporta più la specie umana.

Sono però profondamente convinto che ce la possiamo fare partendo dalle nostre realtà locali. Per questo c’è bisogno di un grande lavoro di informazione e coscientizzazione che porti a una rivoluzione culturale (è agghiacciante il silenzio dei media su questi temi!). Una rivoluzione culturale che chiede a tutti: stile di vita più sobrio ed essenziale; riciclaggio totale dei rifiuti ,opponendoci agli inceneritori; bilancio energetico nazionale che riduca del 30% le emissioni di gas serra entro il 2020; sostegno al Piano della Commissione Europea che prevede una riduzione per tappe dell’80%delle emissioni di gas serra entro il 2050; un fondo per le nazioni del Sud del mondo per fronteggiare i cambiamenti climatici,  ricordando il nostro debito ecologico nei loro confronti.


E’ partendo da queste basi che dobbiamo mobilitarci, dal basso, come cittadinanza attiva, per forzare i governi e la politica a una svolta epocale. Purtroppo in questi anni abbiamo in larga parte fallito sia a livello locale che nazionale ed internazionale. Basterebbe, a livello mondiale, ricordare il fallimento delle varie Conferenze delle Parti (COP) sui cambiamenti climatici, da Copenhagen (2009) a Durban (2010), da Cancun (2011) a Doha (2012). Il prossimo appuntamento importante sarà a Varsavia dove si terrà la COP19 (11-12 novembre 2013). Dopo un Rapporto così duro dell’IPCC sulla situazione climatica del Pianeta, non possiamo accettare un altro fallimento a Varsavia. L’IPCC afferma che il disastro ambientale potrebbe essere evitato se in pochi anni si dimezzassero le emissioni di gas serra causate dall'uso di petrolio, carbone e metano. Ma manca la volontà politica per farlo. Infatti dopo il fallimento del vertice del 2009 a Copenhagen i governanti si sono affidati agli impegni volontari di riduzione del CO2, rimandando al 2020 una cura più efficace… “Proseguendo su questa strada- ha scritto il teologo della liberazione Leonardo Boff - ci troveremo di fronte, e non manca molto, a un abisso ecologico. Come ai tempi di Noè, continuiamo a mangiare, a bere, e ad apparecchiare la tavola del Titanic che sta affondando. La casa sta prendendo fuoco e mentiamo agli altri dicendo che non è niente.” [Alex  Zanotelli]

domani al parco san gennaro



una leggera brezza di dignità

Questa mattina la fiumana dei partecipanti al Forum di Tunisi ha invaso pacificamente metrò, autobus e strade della capitale per raggiungere il Campus dove svolgono le sessioni del Forum Mondiale Sociale (FSM) Tantissimi i giovani che hanno vi hanno partecipato con interesse e passione. I Tunisini hanno fatto a gara per far sentire il Forum a casa, coscienti di quanto esso sia importante per il loro Paese in questo momento così difficile.  Il Campus dell’Università di Tunisi ha accolto le mille associazioni portatrici di sogni, di esperienze e di impegno. Questa prima giornata è costellata di centinaia di workshop che si sono tenuti nelle aula dell’Università. Il tema che ha attirato il maggior numero di persone  sono state le primavere arabe che hanno cambiato il volto della regione. La grande domanda era: che cosa fare dopo le rivoluzioni? Il dibattito politico è stato molto acceso soprattutto per la massiccia presenza di associazioni tunisine e magrebine. Sono stati proprio loro a percepire l’importanza di ospitare il Forum a Tunisi. Un evento che per me – ha dichiarato una donna durante l’assemblea della Marcia internazionale delle donne – è tanto importante quasi quanto il 14 gennaio 2011. Con una differenza che qui non siamo soli ma ci sentiamo abbracciati e sostenuti da tutto il mondo solidale.

Centinaia i temi trattati nelle tre sessioni di oggi; temi che vanno dalla spiritualità alle armi, dalla migrazioni ai cambiamenti climatici, dalla cittadinanza attiva alla crisi finanziaria; dalle politiche dell’Unione europea verso i paesi impoveriti, all’assedio delle multinazionali in Africa. Provocante la chiamata, in una delle sessioni  ad una mobilitazione per una giusta tassazione sui minerali esportati dal continente africano. I relatori hanno insistito che se i minerali (l’alluminio come l’ uranio, ) fossero tassati, non ci sarebbe nessun bisogno di un aiuto pubblico. Altrettanto significativo il tema ritornato più volte del cosidetto fracking (frantumazione con l’acqua), una nuova tecnica che si sta diffondendo per estrarre gas naturale incapsulato nelle rocce bituminose. Un fenomeno che è stato definito un crimine per le gravi conseguenze che ne derivano.

Durante questa prima giornata anche i comboniani e le comboniane hanno presentato per la prima volta il loro workshop rispettivamente sui temi del Land-grabbing, (accaparramento delle Terre) e sulla situazione che vivono i Beduini nei territori occupati in Israele. Quello del Land grabbing è un fenomeno particolarmente grave soprattutto in Africa, dove si calcola che 67 milioni di ettari di terra sono stati già accaparrati. Alcune multinazionali dell’agro business e alcuni gruppi finanziari  attratti dai prezzi dei generi alimentari in aumento e dalla domanda crescente dei biocarburanti e di prodotti agricoli, si sono buttati nel grande affare di acquisire nel sud del mondo terre coltivabili con le annesse fonti d’acqua.
Anche la difficile realtà che vivono i Beduini nei territori occupati è stata presentata dalle comboniane durante questa prima giornata. Questi sono stati solo alcuni dei temi sollevati nei workshop. Nelle sale piene di giovani con tanta voglia di cambiare questo sistema, si è sentita una nuova ventata di aria fresca, giovanile. Un desiderio grande di dignità e di libertà. Quel soffio di Pasqua che ha animato il popolo ebraico ad uscire dalla schiavitù verso la libertà si sente oggi aleggiare in questo popolo tunisino che non desidera altro che dignità e libertà. [alex zanotelli – elisa kidanè 27/03]

l'europa torna indietro

Angela Merkel ci aveva messo in guardia già nel 2009: non aspettiamoci miracoli, perché nessuna decisione politica, per quanto coraggiosa, potrà scongiurare il crollo dell’economia europea. A quel tempo la cancelliera era l’unica a presagire il futuro in questi termini. Oggi ci si accorge invece che aveva visto giusto, commenta Nicolas Veron, esperto dell’istituto Bruegel di Bruxelles. A cinque anni dall’inizio della crisi, la situazione economica dell’Unione resta drammatica: sono in recessione 17 paesi membri su 27. Nei paesi colpiti più duramente dalla crisi, come Spagna o Portogallo, dovrà passare almeno una generazione prima che si riesca a compensare il calo del livello di vita. Un simile lasso di tempo potrà rivelarsi insostenibile per l’Ue. Per la prima volta dalla sua creazione l’Unione europea, contrariamente alla zona euro, rischia di disgregarsi. 

Di mese in mese questo scenario si fa sempre più evidente, senza che si possa dire quale processo – quello della costruzione di un’Eurolandia forte intorno alla Germania, o quello della disintegrazione del blocco dei paesi euroscettici, Regno Unito in testa – prenderà il sopravvento sull’altro. Una cosa è certa : questi sviluppi non sono quelli che Angela Merkel auspicava e che anzi ha tentato in ogni modo di impedire. In particolare, la cancelliera voleva che la nuova Unione più integrata facesse posto a tutti gli effetti alla Polonia e ad altri stati dell’Europa centrale, paesi che costituiscono per la Repubblica federale non soltanto una base industriale (le aziende tedesche vi hanno delocalizzato buona parte della loro produzione), ma fungono anche da alleati nel Consiglio dell’Ue quando insieme a Berlino sostengono riforme strutturali e responsabilità di bilancio. Il progetto di questa Europa, tuttavia, è fallito. Sotto la pressione dei mercati, i dirigenti della zona euro hanno gettato le basi di un sistema istituzionale della zona euro con una supervisione bancaria, un controllo della politica monetaria e un budget indipendente. 

Queste misure dovevano costituire il minimo vitale per garantire il buon funzionamento della zona euro, senza arrecare danno ai fondamenti dell’Unione europea. Oggi possiamo constatare che si tratta di un’ipotesi irrealistica, ammette Cinzia Alcidi del Ceps (Center for european policy studies). La situazione particolarmente rischiosa riguarda la pietra angolare dell’integrazione, il mercato unico. Nei paesi nei quali lo stato dell’economia ispira la fiducia degli investitori, per esempio Germania e Paesi Bassi, le spese dei crediti contratti dagli imprenditori sono notevolmente inferiori a quelle dei paesi della periferia dell’Ue. Non si può più parlare pertanto di una concorrenza alla pari, a favore della quale Bruxelles ha operato negli ultimi cinquant’anni. Altra constatazione fallimentare è quella relativa al flop del modello europeo mirante a un certo equilibrio nei livelli di vita all’interno dell’Unione. 

Grazie ai fondi strutturali, ma anche garantendo libero accesso al mercato dell’Ue per tutte le entità economiche, si è effettivamente riusciti a limitare gli squilibri negli standard di vita dei vari paesi europei. La Grecia, per esempio, fino al 2009 poteva vantare un reddito pro capite corrispondente al 94 per cento della media dell’Union, non troppo distante da quello della Germania (115 per cento). Ma oggi i divari tra questi due paesi si sono enormemente accresciuti: il livello di vita in Grecia è sceso al 75 per cento, raggiungendo uno standard equiparabile a quello della Polonia, mentre quello della Germania è decollato al 125 per cento. Secondo le stime degli economisti, queste disuguaglianze si acuiranno ancor più negli anni a venire. 

Quest’evoluzione implica che gli interessi degli stati membri saranno sempre più divergenti. Mentre romeni, bulgari, greci e portoghesi cercheranno di garantire la sopravvivenza delle loro popolazioni, la Germania e la Svezia preferiranno mettere l’accento sulle questioni ambientali e le fonti alternative di energia. Secondo Veron sarà come dialogare tra sordi. La crisi ha eliminato anche un altro grande risultato dell’integrazione: il modello sociale europeo, che il mondo intero ci invidiava. I tagli di bilancio che si sono susseguiti non soltanto in Spagna e in Grecia, ma anche in Francia e nel Regno Unito, generano una drastica riduzione delle garanzie sociali, in materia di diritto del lavoro, di pensioni, di disoccupazione, e creano di conseguenza una generazione di giovani privi di prospettive di un impiego stabile, senza i presupposti materiali per poter mettere su famiglia. Berlino resta sola Perfino il quotidiano filoeuropeo Der Spiegel ammette apertamente che il centro decisionale dell’Ue si è spostato da Bruxelles a Berlino. Ciò è avvenuto senza alcuna particolare pressione da parte dei tedeschi, ma per esclusione. 

Tra i sei paesi più importanti dell’Ue, due – Italia e Spagna – non sono neppure stati presi in considerazione a causa dei loro enormi problemi economici. Il Regno Unito, invece, si è autoescluso da solo. Quanto alla Polonia, in ragione del suo potenziale economico ancora troppo debole e del fatto che non fa parte della zona euro, non può pretendere di rivestire un ruolo chiave. Per un certo periodo è sembrato che l’Europa fosse dominata dal tandem franco-tedesco, il famoso “Merkozy”. Ma dall’elezione del nuovo presidente francese François Hollande è diventato chiaro che Parigi, a fronte di grossi problemi economici, non è in grado di trattare da pari a pari con la Germania. Berlino, dunque, è rimasta sola sul campo di battaglia. Focalizzata sui propri problemi, l’Europa non riesce a occuparsi di quelli altrui. Di conseguenza la disintegrazione della politica estera comunitaria è un’altra cupa profezia che si avvera sotto i nostri occhi. 

L’evoluzione autoritaria dell’Ucraina, la situazione drammatica della Siria, l’abbandono della lotta per i diritti dell’uomo in Cina sono soltanto alcuni esempi dell’impotenza dell’Ue. Nel frattempo la questione dei futuri allargamenti dell’Ue è stata accantonata: l’adesione all’Unione ormai sarebbe concepibile soltanto per i paesi dei Balcani che si trovano all’interno dei confini dell’Europa. L’offerta più ambiziosa, in particolare nei riguardi dei paesi dell’ex Unione Sovietica e della Turchia, non è più all’ordine del giorno. A cinque anni dallo scoppio della crisi l’Europa sopravvive, almeno per ora. Ma le perdite sono astronomiche e l’Unione europea è regredita sulla strada dell’integrazione per imbattersi in quegli stessi problemi che credeva di aver risolto 30 o 40 anni fa. Ormai perfino gli ottimisti dicono: “Purché le cose non peggiorino”. [di Jędrzej Bielecki, traduzione di Anna Bissanti - fonte: presseurop.eu ]

un giardino pubblico