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come in un film di almodovar

Qualche settimana fa ho incontrato un vecchio amico che non vedevo da anni. L’ho rivisto di nuovo nel rione; ci siamo fermati e abbiamo scambiato quattro chiacchiere. “Ninò, ti sei sposato? Lavori? Veramente ti sei laureato tu che hai lasciato la scuola ad 11 anni?” Gli ho spiegato brevemente un po’ di cose e di cambiamenti, certo non era facile parlare degli ultimi 15 anni della mia vita. Ho avuto l’impressione, mentre discutevamo, di trovarmi scaraventato in un film di Almodovar. Al primo impatto non ho notato nulla, poi mi sono accorto che camminava piano e con una stampella, anche le sue parole erano cadenzate e lente, mentre il suo sguardo triste sembrava pensasse ad altro. Alla fine, quando ci siamo salutati, mi ha ripetuto: “Ninò, mi sono ammalato, mi sono ammalato”.

Ho ripensato più volte a quello che ci siamo detti. Roberto il mio amico felice e triste, il mago del computer, il solitario uomo che da solo si era affittato un’auto e da Napoli era andato a Madrid… Roberto non è un tipo che mi piace, né mi piaceva in passato, ma mi attraeva e spesso ci vedevamo per scambiarci opinioni e pareri. Una volta mi accusò di essere un anarchico insurrezionalista ed io gli rinfacciai di essere un prete fallito e finocchio.

Alla via Vergini quei minuti passati con Roberto mi hanno fatto ripensare ad alcune scene del film “Tutto su mia madre”. La trasposizione della vita, il tempo, la finzione che diventa realtà, la paura e la caducità. A casa ho spiegato a Sara quell’incontro e in quello stesso momento sono entrato in Roberto: appena posso vado a casa a trovarlo, spero stia meglio. Recuperare un rapporto, un’amicizia, recuperare una storia, un volto.     


Il tempo mi fa ripensare alle cose passate ed immortalate. In più, il tempo stravolge la realtà passata. Il cambiamento, invece, sbilanciava il mio tempo. Forse vivo in una immaginazione, il tempo mi perseguita, come se non volessi che la natura facesse il suo corso. Mi fa male ascoltare una persona ammalata. Così come mi fa male non capire la natura. A volte però non sono tanto sicuro di essere condizionato, la vita non fa male, anche se la cattiveria e la bontà si equiparano. Sono condizionato e condizionante allo stesso tempo. La malattia è dipendente e non è uno stato della natura; e così rivivo quella sensazione che mi fa barcollare. [+blogger]     

paghe a somma zero

Se trent’anni fa mio padre guadagnava un salario di 1milione e 300milalire, l’equivalente dei  circa 800 euro dei contratti che attualmente ti offrono, sempre nelle migliori ipotesi, questo vuol dire che non solo il nostro paese in tutto questo tempo non è avanzato, ma che è tornato indietro sottraendo lavoro e ricchezza, un gap degenerativo a somma zero. Per i salariati e tutti i nuovi contratti, la busta paga si calcola così: 1+1 = 1 oppure 1+1+1 = 1. Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha detto che per mantenere il posto di lavoro il calcolo dello suo stipendio è stato fatto in questo modo: 1+1 = 0. Mi spiego meglio.

Nella ditta dove lavora è arrivata una comunicazione informale: “i dipendenti devono rinunciare volontariamente al contratto stipulato precedentemente per firmarne un altro”. Quest’ultimo impone ai lavoratori 30 ore settimanali rispetto alle 40 previste dall’altro. Tutti hanno dovuto accettare per forza questa nuova imposizione previo licenziamento. La cosa più “interessante” è che non solo alla fine del mese hanno visto diminuire del 25% la loro paga (senza discriminazione, da chi prendeva un stipendio di 1500 euro all’apprendista che ne prendeva solo 600), ma in realtà hanno continuato a lavorare per 8 ore al giorno e per 5 giorni settimanali.

Questa nuova forma di lavoro “partecipato” ha una sola univoca caratteristica: è legittimo. Oggi giovani laureati se non hanno una sacrosanta “raccomandazione” (anche se questa sta perdendo i suoi presupposti originari), sono costretti ad accettare paghe di 400 o 500 euro al mese. Diciamo che ci si può anche accontentare se non fosse per le parole di un saggio senatore della repubblica che qualche anno fa ha dichiarato su radio24 che “…15mila euro al mese non bastano per vivere e fare la vita da politico”.


Se la nuova o vecchia classe imprenditoriale, se i ministri e i sottosegretari e se le leggi che regolano il mercato hanno in se i germi della disuguaglianza (anche questa parola sta cambiando i suoi “connotati”), quello che ci deve mettere in guardia maggiormente è la norma che definisce e che può rendere ovvio anche le assurdità.  Offrire uno stipendio da fame attualmente è legittimo specialmente se negli affari si coinvolgono i poveri. Se dietro un lavoratore ce n’è un altro che accetta questo stato di cose è assurdo prendersela con quest’ultimo anche se è normale accusarlo. Questa normalità è diventata regolare, tantoché gli stipendi non si elargiscono secondo i propri bisogni ma secondo le proprie aspettative (figuriamoci se parliamo di lavoro fatto con la forza fisica… anatema). Se dopo 30 anni torniamo indietro di 30 anni vuol dire che L’Italia è rimasta ferma  nel 1950. [+blogger]                        

"sodoma" in silenzio

Vincenzo è un regista, il primo che io conosca del rione Sanità, un regista del quartiere, un cittadino impegnato da anni per il recupero dei beni artistici e storici. Non voglio adesso elencare ogni suo pregio, proprio perché ci conosciamo da anni, rischio di essere troppo fazioso nel giudizio e nella complicità. Non posso e non voglio parlare del film, anche perché non l’ho ancora visto, ma di tutto quello che è stato scritto e taciuto dai media e da una certa produzione che nonostante la critica ha diretto con estrema facilità un argomento che alletta l’opinione pubblica e tutto ciò che rappresenta la realtà di un quartiere povero.

Facile, il titolone è un omaggio agli inserzionisti che lucrano sulla speculazione, così come il nome del regista è fondamentale per un film, anzi è la parte più importante, è la mente, è la rappresentazione, è la costruzione… è il film! Anche la sua vita trae frutto dal suo passato che fa notizia, che si inclina ai raduni scandalistici, bieca fenomenologia di un passato che non c’è più, di un passato che ritorna sottoforma di beffa e di ambiguità.

Non mi spiego però come mai in un film come “Sodoma, l’altra faccia di Gomorra”, quando viene presentato, spiegato, pubblicizzato, la percezione visiva e uditiva intravede l’odore della Sanità, l’odore del quartiere che dice attraverso Vincenzo Pirozzi, sono io il regista, io la persona più rappresentativa del film. Ma basta, è solo la percezione che fa scintille, quando invece dovrebbe essere la normalità, dovrebbe essere la sostanza, il cuore del lavoro cinematografico. Gli articoli che parlano bene del film sfiorano il nome del regista, “ma come?, non è la parte più importante?”. Anche in televisione il nome è associato al ragazzo napoletano, un ragazzo che da anni dirige la soap opera “Un Posto al Sole” trasmessa da rai3.

Ma la questione è più sottile. Se Vincenzo è un bravo, brutto, incapace o brillante regista, questo lo stabilirà la critica, così come la gente, gli amanti del cinema; se invece le sue capacità e il suo successo sono la diretta conseguenza del far parlare (e scrivere) perché fa notizia, allora questa è un'altra questione ancora; se deve essere giudicato che lo sia fino in fondo da tutti, senza nascondere nulla e assumendosi ogni responsabilità. Regista da tempo e attore in diversi film di ottima fattura, se Vincenzo, parere del tutto personale, non si avvicina ancora alla “resurrezione” è solo perché è in atto in questo preciso momento una rivoluzione culturale che parte dal rione Sanità. Uno che ha avuto la forza di girare un film come Sodoma, parodia scandalistica di chi non sa sparare, uccidere, ricattare (e se e quando lo fa si ridicolizza virtuosamente), ha in se i germi di un cambiamento radicale. Ma per non essere presuntuoso, visto che potrei sbagliarmi come dice qualcuno, aspettiamo la storia e quello che ci dirà in futuro.

Enzo è un mio amico. Adesso anche io dopo questa affermazione sarò accusato. [+blogger]