come in un film di almodovar
l'onnipotente
due pulci
roma bene
14 comandamenti
senza dio dal meccanico
Come sempre la vespa di anni 26 non cammina decentemente, questa volta è toccato alle marce, ho già fatto il freno, comprato la ruota posteriori, pulito il carburatore ecc, ecc. Oggi mentre Giovanni l’aggiustava mi sono messo a parlare con un amico di vecchia data, uno che nella Sanità è cresciuto e ci è rimasto volentieri. Mi ha detto che si è convertito, adesso è un evangelista fiero e timorato. Gli ho chiesto cosa l’ha spinto a diventare un evangelista, mi ha confermato che è stato lo spirito santo e la sua fede.
Quando mi parlava usava sempre la parola segno, "Dio è un segno e da ogni cosa posso dedurre che esiste. Lui mi da numerosi segni durante la giornata. Mi ha detto che quest’estate è stata particolarmente toccante perché mentre era in crociera la figlia si è spaccata tutti i denti. Le avevano già prospettato una dentiera ma quando è andato in ospedale si è rimessa completamente: “è caduto solo un dente”. “Un miracolo, anche perché il capitano della nave che doveva partire alle 17,30 è partito alle 18,00 per aspettarci. Questo non è un segno?!”.
Continuando a parlare mi faceva capire che tutto è un miracolo: mi ha detto: “ti ricordi di Sebastiano, facevamo le elementari assieme?, l’ho rivisto dopo 30 anni… è stato dio”... poi ha continuato: “ho lavorato molto grazie a dio; avevo un problema fisico adesso non ho più niente, è sempre opera di dio; ieri ho discusso con una persona poco raccomandabile ma non è successo niente, è sempre opera di dio. Non riuscivo a trovare il latte per la bambina ma dio era con me e ci sono riuscito; non trovavo un parcheggio per l’auto, poi come per magia l’ho trovato.
Dopo che ci siamo salutati ho ripensato alla discussione e alla fine mi sono chiesto: e se l'onnipotente fosse anche in quella scritta che appare ogni tanto sull'autostrada, quelle che recita, dio c'è? [+blogger]
alternativa
Il 1 maggio di quest’anno Osama bin Laden è stato assassinato proprio in Pakistan, e in quel paese si sono registrate anche le conseguenze più significative dell’11 settembre. A febbraio uno dei massimi specialisti di questioni pachistane, lo storico militare britannico Anatol Lieven, ha scritto sulla rivista The National Interest che la guerra in Afghanistan “sta destabilizzando e radicalizzando il Pakistan, e questo comporta, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo, il rischio di una catastrofe geopolitica che farebbe impallidire qualsiasi cosa possa mai accadere in Afghanistan”.
A tutti i livelli della società pachistana, scrive ancora Lieven, si registrano consensi nei confronti dei taliban afgani: non perché i pachistani li amino, ma perché li considerano “una legittima forza di resistenza contro l’occupazione straniera”, proprio come venivano visti i mujahidin afgani negli anni ottanta, quando lottavano contro i sovietici.
Questi sentimenti sono condivisi dai militari pachistani, che detestano Washington perché li ha coinvolti nella guerra contro i taliban. In Pakistan le forze armate sono un’istituzione stabile, quella che tiene insieme il paese. Gli interventi statunitensi rischiano, scrive ancora Lieven, “di provocare rivolte in alcuni settori dell’esercito”. Se dovesse succedere, “lo stato pachistano si disgregherebbe rapidamente, con tutte le disastrose conseguenze del caso”. Aggravate dal fatto che il Pakistan possiede un arsenale nucleare enorme e che nel paese esiste un forte movimento jihadista. Nel suo libro, Lieven sintetizza così la sua tesi: “Si può dire che i militari americani e britannici vanno a morire in Afghanistan per rendere il mondo più pericoloso per il popolo americano e per quello britannico”.
Più di un analista ha osservato che nella sua guerra contro gli Stati Uniti, Osama bin Laden ha ottenuto alcuni importanti successi. Per esempio, nel numero di maggio di The American Conservative, Eric S. Margolis scrive: “Osama ha ripetutamente affermato che l’unico modo per cacciare gli Stati Uniti dal mondo musulmano è attirare gli americani in una serie di guerre piccole ma costose, che alla fine li mandino in fallimento”. E subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si è capito che Washington era decisa a realizzare gli obiettivi di Bin Laden. Michael Scheuer è un analista della Cia che ha seguito le tracce di Bin Laden dal 1996.
Nel suo libro del 2004, Imperial hubris, Scheuer scrive: “Bin Laden è stato chiarissimo quando ha spiegato all’America per quali motivi ci fa la guerra. Vuole modificare la politica degli Stati Uniti, e di tutto l’occidente, verso il mondo islamico”, e in larga misura è riuscito a farlo. Prosegue Scheuer: “Le scelte politiche statunitensi stanno causando la radicalizzazione del mondo islamico, cosa che Osama bin Laden aveva tentato di fare con un successo relativo, fin dai primi anni novanta. Quindi mi sembra lecito concludere che Washington rimane l’unico alleato indispensabile di Osama bin Laden”. E si può dire che continui a esserlo anche dopo la sua morte.
La sequenza di orrori che ha segnato questi dieci anni fa sorgere una domanda: c’era un’alternativa alla reazione dell’occidente agli attentati dell’11 settembre? Dopo le stragi del 2001, il movimento jihadista, in gran parte critico verso Bin Laden, si sarebbe potuto dividere e neutralizzare se il “crimine contro l’umanità” – come quegli attentati sono stati giustamente definiti – fosse stato affrontato appunto come un crimine, cioè con un’operazione internazionale per catturare i presunti responsabili. Ma nella fretta di fare la guerra quest’idea non è stata neanche presa in considerazione. Anche se Osama bin Laden era stato condannato in gran parte del mondo arabo per gli attentati.
Al momento della sua uccisione Bin Laden era da tempo una figura sempre più sbiadita, e negli ultimi mesi era stato eclissato anche dalla primavera araba. Il suo peso è stato ben descritto dal titolo di un articolo pubblicato sul New York Times da Gilles Kepel, noto specialista di questioni mediorientali: “Bin Laden era già morto”. Quel titolo avrebbe potuto essere fatto molto tempo prima, se gli Stati Uniti, con il loro attacco per rappresaglia contro l’Afghanistan e l’Iraq, non avessero mobilitato il movimento jihadista. Certo, nei gruppi jihadisti Osama bin Laden era venerato come un simbolo, ma ormai non sembra che avesse più un ruolo di primo piano all’interno di Al Qaeda, divisa in sezioni che agiscono spesso in modo indipendente.
Insomma, anche i dati di fatto più evidenti e più elementari di questo decennio ci spingono a riflessioni amare nel momento in cui valutiamo l’11 settembre, le sue conseguenze e le ipotesi sul futuro. [noam chomsky - internazionale 2/9/'11]