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adotta san gennaro

Parliamo del rione. Le feste mondane per belle che siano continuano a richiamare i valorosi di turno che con le loro uscite felpate smistano l’attenzione da un’altra parte. Adottare una piazza? Non sarebbe stato meglio adottare l’ospedale san Gennaro? Cosa da niente se non può essere sfruttato a dovere. Poveri i morti di freddo che in una stanzetta occupata al piano terra, di fronte all’ex pronto soccorso, sventolano convinti le loro delusioni. Da anni nessuno ha argomentato meglio delle gente, nessun esperto né tecnico ha saputo dibattere convinto alle mille ragioni che assalivano la popolazione. Nel frattempo c’è chi ha perso il lavoro, chi sogna il proprio medico che è stato spostato altrove, chi si indigna ancora pur sapendo che ha torto.

La ricchezza del quartiere doveva essere mantenuta non spostata. Nel rione ci sono gli esterofili, ogni cazzata diventa realtà. … Uscite dalle case, dai b&b, dalle pizzerie, dalle pasticcerie e dalle chiese ed occupate o adottate l’ufficio postale, la scuola Caracciolo, adottate i neri di piazza Cavour; la festa della Madonna dell’Arco entra fin dentro le vostre case, vi sostiene, tranquilli: essa è pur sempre espressione di una cultura che protegge, che urla il suo dolore, che piange i suoi morti, che blandisce l’anima, che zittisce per mezzo di una falsa ricchezza. Così “convinto” in nome di questa mia repressione (mi accusano! e forse hanno pure ragione), e delle altrui frustrazioni, che dichiaro finito il tempo dell’allegria pregressa. Basta la bieca antropologia umanitaria, basta con le epurazioni autoctone, basta con le eroine del tempo, invincibili, catastrofici e catartici.[+blogger]

barricate


in una macelleria della sanità

Avevo circa 11 anni quando ho incominciato a lavorare come ragazzo in una macelleria alla via Vergini. E' incredibile come adesso percepisco il cambiamento. Causa la povertà della mia famiglia ho interrotto gli studi quasi bambino, così come tutti i mie fratelli e parenti vicini. E' incedibile il tempo passato fuori di casa a lavorare, nel periodo di Natala dalle sei del mattino fino alle undici di sera; una giornata intera per la strada; la macelleria affollata di gente, la pioggia, il freddo della cella figo. Poi ho imparato a "sfasciare" la carne, prima con un pezzo facile, il gambetto, poi con quella che noi chiamiamo "lociena", il davanti dell'arrosto. Difficile togliere senza staccare la polpa dall’osso, difficile soprattutto in inverno quando nel laboratorio del negozio il gelo raggiungeva le mie mani. Mi diceva il capo: "mettile sotto l'acqua fredda, vedrai che si riscaldano". E così per circa 30 anni della mia vita ho lavorato senza sosta, alla fine ho comprato una panda e mi sono sposato.

Una sera, era circa mezzanotte, visto che le macellerie dove lavoravo erano due, dello stesso proprietario, distanti 100metri l'una dall'altra, mentre mi recavo all'altro negozio mi vide il parroco del quartiere: "Guaglio' ma tu stajo ancora faticanno?". Voleva a tutti i costi dire al "masto" che la sua non era umanità, che un ragazzo appena adolescente non poteva fare quella vita. Gli scongiurai di andarsene che non potevo perdere quel posto di lavoro. Ho lavorato senza sosta e quando guadagnavo 500mila lire alla settimana (ero già grande ed esperto tagliatore), ero felice. Mi ricordo che odoravo (puzzavo) sempre di carne fresca macellata, un odore che non si toglieva mai da dosso anche quando mi lavavo e mi profumavo. Quella esalazione mi perseguitava, avevo paura che qualche ragazza mi chiedesse cos’era.

Un episodio che non dimenticherò mai. All’inizio, quando ero ancora un pivello lavoratore, la cosa che più mi urtava erano le “cazziate” che beccavo dal capo. Quella concezione paternalistica l’ho sempre schifata, l’odiavo quel rompi coglioni ignorante. Mentre pulivo a terra, si era fatto quasi l’ora di tornare a casa, sfinito e senza forze, il capo cazzone usci dal cesso e mentre si allacciava la cinta del pantalone mi disse se potevo andare a “spilare ‘o cesso”, insomma quel vecchio logorroico aveva un servo per lavoratore e nella sua pervertita coscienze tirare la catena equivaleva ad un gesto umiliante. Volevo sputargli in faccia ma “senza soldi nun s'e cantano messe”.      

Adesso dopo trent’anni sono felice. Da qualche mese ho cambiato lavoro, ho ritrovato il sapore della libertà. Guadagno molto di meno e con due figli è un problema, ma non mi interessa. Mi sono iscritto ad una scuola serale, voglio prendere un diploma. Questa scelta non la saprei spigare bene, ma accompagnare i miei figli a scuola è una bellissima sensazione, prima non potevo, era impossibile; adesso quando torno da lavoro posso giocare con loro, scrutarli meglio negli occhi, assaporare la loro felicità, e vederli saltellare con gioia quando a casa porto un piccolo “regaletto”. [+blogger]  

una via particolare





Nel rione Sanità da diversi anni quando si cammina, nel giorno della via crucis, si ricordano i morti ammazzati. Non la classica passione di cristo ma il classico dolore di un luogo di frontiera dove l'umanesimo scandalizza gli animi più nobili. Non il rinascimento ma la consapevolezza che il marcio è una componente umana e non una sua particolarità. Lo riscrivo perché mi piace ripeterlo. "Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo, gli uomini si liberano in comunità". 

reato con indulto

E' incominciato l'attacchinaggio selvaggio. Per ora ha iniziato la Peluso, vedremo oltre. 
Noi intanto continuiamo a smanifestare.

Sporcate via Arena alla Sanità, via Sanità, piazza Mario Pagano, Piazza Sanità, Via san Vincenzo, la basilica di s.m. della Sanità, Salita e piazza San Gennaro dei Poveri... per ora.      








mi bastano


CARNEVALE 2015 RIONE SANITA' NAPOLI 

nasce una fondazione

“Nasce una fondazione, quello che serve per il quartiere e il suo riscatto verso la legalità”; frase fatta, anche se da sempre scolpisce la nostra comunicazione. Ma stavolta voglio credere agli uccelli che volano, agli asini che ragliano e alle pecore che belano. Diamo tempo al tempo e aspettiamoci l’ennesima promessa. Bella la manifestazione, commovente, retorica... stop, non ci sono andato quindi non posso giudicare. Bando gli scherzi, crediamoci realmente!, la forza è nel nostro sapere, il sapere della gente e della sua storia orale. Le critiche servono per far conoscere che in questo rione non si pende dalle labbra altrui. Non basta che arrivi un artista qualunque a progettare una mega pizza in piazza Sanità per buttarci tutti i rifiuti dentro. Queste sciocchezze le lasciamo ai turisti. Speriamo che la fondazione san Gennaro faccia parlare i residenti, speriamo che la fondazione, assolva per quello che può naturalmente, i bisogni reali e non quelli di uno scuotere qualunque. Non bastano piattaforme di latta per rendere il quartiere più vivibile. Che ci sia il maestro caio o lo scultore caioio o il musicista caioioio questo nella sostanza non cambia nulla. Non è l’intelligenza presunta a dare natali illustri nobilissimi e perfetti da fare invidia a principi reali.


Non c’è bisogno della saggezza altrui o di quella che arriva da lontano, non c’è bisogno dei media né della mega pubblicità, se tutto ciò fosse basato esclusivamente sulle nostre forze, beh, forse avremo la capacità di creare un nuovo sapere, di fare una nuova cultura integrando con quella del passato. Dei mastri artigiani e dei guantai, chi ne parla? I giornali? Pochi sanno (perché gli altri non hanno voglia di sapere), che questo rione in passato era un piccolo distretto industriale del guanto di pelle. La creatività del lavoro ha messo i napoletani tra i primi al mondo nella lavorazione del guanto. E le cucitrici del rione non erano da meno. Basta solo questo piccolo esempio per sbriciolare ogni arrogante signore che in giacca e cravatta intende insegnare la civiltà ai napoletani e al rione. Un augurio di buon lavoro, questa volta pieno di fiducia. [+blogger]  

il carnevale del rione


non solo italiano

La scuola d’italiano per stranieri agisce sul e dentro il territorio Sanità, la scuola è la rete Sanità, la scuola è Padre Alex Zanotelli; la scuola sono io, Terrance, Tiziana, Loshan, Valentina, Lakman, Antonella, Rajage, Suor Lucia, Nisansala, Vincenzo, Mattia, Kawya, Cinzia, gli srilankesi, i russi del Caucaso, i palestinesi, … essa non è solo una scuola d’Italiano, come recita lo spot realizzato volontariamente. (per vederlo clikka qui)     

La scuola d'italiano per immigrati è nata diversi anni fa grazie all'impegno della rete Sanità e all'ospitalità che ci è stata subito offerta dall'Istituto Ozanam di piazzetta san Severo. Prima insegnavano Gennaro, Carmela, Anna Maria, Sara, Giovanna, Andrea ... adesso invece insegnano Tiziana, Antonella, Valentina, Suor Lucia, Antonio, Vincenzo, Mattina, Cinzia ... Ogni anno organizziamo una festa, anzi, ne facciamo una a Natale, una a Pasqua e una a fine anno. Tra poco circa 25 studenti sosterranno l’esame di media inferiore con una buona preparazione, tutti sanno leggere e scrivere abbastanza bene, tranne qualche eccezione, tutti comprendono benissimo l’italiano e lo scrivono con margini d’errore accettabili.


Tutti quelli che intendono collaborare per insegnare o fare altro aiutandoci sono i benvenuti. Come docenti, per chi ha intenzione di continuare e prendere una specializzazione, l’Istituto rilascia certificato di frequenza 150/300ore indispensabile per l’abilitazione e insegnamento dell’Italiano per gli stranieri. In alcuni Istituti invece il corso tirocinio è a pagamento, da noi è gratis. Per info contattate il blogger, recatevi a piazzetta san Severo 82, oppure chiamate il numero 081445223 e chiedete di Suor Lucia. Grazie. [+blogger] 

25 maggio



pasqualina

Nel fantastico mondo dei miei pazienti di Rione Sanità a Napoli, Pasqualina ha un posto di spicco. Ha 55 anni, la conosco da trenta, ma la ricordo, sempre, con la stessa immagine. Piccoletta, un volto a luna piena, tra l’amimico e l’ansioso, un corpo grasso, globoso, rivestito di indumenti neri, per pretestuosi lutti famigliari. Il suo entrare in sala d’aspetto, mi viene sempre annunciato dal volto preoccupato della mia ragazza, che sta alla porta: - “ Dottore, c’è Pasqualina…”- Dire questo, è come annunciare che può accadere l’imprevedibile. Pasqualina soffre di tutta la gamma di disturbi psichici, che vanno dalla depressione, con turbe ansiose, sino a veri eclatanti episodi schizofrenici, simili epilettici. Ha provato tutte le cure, tutti gli specialisti, mettendo in crisi la povera economia di casa. Con lei è nato, da anni, uno strano rapporto medico-paziente, unico direi. Anni fa, al primo annuncio della sua entrata in sala, era seguito il secondo concitato della ragazza : - “ Dottore, correte subito. Pasqualina è a terra” -

Il verificarsi di questo evento, in un ambulatorio della Napoli popolare, precipita nello spettacolo drammatico folcloristico. L’ammalato viene circondato da tutti i presenti, che, simultaneamente, iniziano un loro personale intervento di aiuto, contendendosi tra loro. Chi le alza i piedi, chi le butta un bicchiere d’acqua in faccia, chi la vorrebbe, invano per il peso, disporla su una sedia. I più devoti implorano santi occasionali, tra cui si riconosce la supremazia dell’adiacente S.Vincenzo, detto “O Monacone”. S.Gennaro è più metropolitano. Ma all’apparire dell’immagine del medico, il Salvatore, tutto si ferma, i volti sono in silenzio su di lui. E qui entro io. E’ un grosso peso, credetemi, anche perché l’intervento corretto oggi è più tecnologico che personale. In un ambulatorio di medicina di base i mezzi sono scarsi. Quella mattina, dopo essermi chinato su Gelsomina, stesa al centro della sala, scossa da fremiti, e averle accarezzate le paffute gote e detto frasi occasionali, ma rassicuranti, ritornai in ambulatorio, per cercare un qualsiasi medicamento nell’armadietto. 

La bottiglia del limoncello, regalatami il giorno prima, catturò il mio sguardo. Pensai, dato la suggestionabilità dei suoi malanni, di intervenire con la stessa suggestione nell'atto terapeutico atteso da tutti. Presi un bicchiere, versai un sorso di limoncello, completai il tutto con acqua. Tornando in sala con questa miscela giallo oro, fantasticamente sconosciuta, ma d’impatto visivo non comune, la feci bere a sorsi a Pasqualina. Dopo poche deglutizioni, un colpo di tosse si antepose ad un urlo, che andò man mano a concretizzarsi in una frase. -“S. Antonio, S.Antonio, mio bello, mi hai salvata, mi hai ridato la vita!” - Da quel giorno Pasqualina asserisce, con estrema convinzione, che io sia il suo S.Antonio. Quando sono presenti altri pazienti, nella sala d’aspetto, li coinvolge, al mio apparire, con: -” Vedete come rassomiglia a S.Antonio? E’ tale e quale”!- Suscitando, il più delle volte, in me, la curiosità di andarmi a vedere, prima o poi, una raffigurazione di S.Antonio, il mio sosia. [lucio paolo]

"sodoma" in silenzio

Vincenzo è un regista, il primo che io conosca del rione Sanità, un regista del quartiere, un cittadino impegnato da anni per il recupero dei beni artistici e storici. Non voglio adesso elencare ogni suo pregio, proprio perché ci conosciamo da anni, rischio di essere troppo fazioso nel giudizio e nella complicità. Non posso e non voglio parlare del film, anche perché non l’ho ancora visto, ma di tutto quello che è stato scritto e taciuto dai media e da una certa produzione che nonostante la critica ha diretto con estrema facilità un argomento che alletta l’opinione pubblica e tutto ciò che rappresenta la realtà di un quartiere povero.

Facile, il titolone è un omaggio agli inserzionisti che lucrano sulla speculazione, così come il nome del regista è fondamentale per un film, anzi è la parte più importante, è la mente, è la rappresentazione, è la costruzione… è il film! Anche la sua vita trae frutto dal suo passato che fa notizia, che si inclina ai raduni scandalistici, bieca fenomenologia di un passato che non c’è più, di un passato che ritorna sottoforma di beffa e di ambiguità.

Non mi spiego però come mai in un film come “Sodoma, l’altra faccia di Gomorra”, quando viene presentato, spiegato, pubblicizzato, la percezione visiva e uditiva intravede l’odore della Sanità, l’odore del quartiere che dice attraverso Vincenzo Pirozzi, sono io il regista, io la persona più rappresentativa del film. Ma basta, è solo la percezione che fa scintille, quando invece dovrebbe essere la normalità, dovrebbe essere la sostanza, il cuore del lavoro cinematografico. Gli articoli che parlano bene del film sfiorano il nome del regista, “ma come?, non è la parte più importante?”. Anche in televisione il nome è associato al ragazzo napoletano, un ragazzo che da anni dirige la soap opera “Un Posto al Sole” trasmessa da rai3.

Ma la questione è più sottile. Se Vincenzo è un bravo, brutto, incapace o brillante regista, questo lo stabilirà la critica, così come la gente, gli amanti del cinema; se invece le sue capacità e il suo successo sono la diretta conseguenza del far parlare (e scrivere) perché fa notizia, allora questa è un'altra questione ancora; se deve essere giudicato che lo sia fino in fondo da tutti, senza nascondere nulla e assumendosi ogni responsabilità. Regista da tempo e attore in diversi film di ottima fattura, se Vincenzo, parere del tutto personale, non si avvicina ancora alla “resurrezione” è solo perché è in atto in questo preciso momento una rivoluzione culturale che parte dal rione Sanità. Uno che ha avuto la forza di girare un film come Sodoma, parodia scandalistica di chi non sa sparare, uccidere, ricattare (e se e quando lo fa si ridicolizza virtuosamente), ha in se i germi di un cambiamento radicale. Ma per non essere presuntuoso, visto che potrei sbagliarmi come dice qualcuno, aspettiamo la storia e quello che ci dirà in futuro.

Enzo è un mio amico. Adesso anche io dopo questa affermazione sarò accusato. [+blogger]     

festa materdei



carnevale alla sanità



la bicicletta


E’ una sensazione molto bella riscoprire la bicicletta in mezzo a centinaia di auto e moto. Ho iniziata a guidarla da diversi mesi, precisamente da quando ho saputo che mio suocero ne aveva una vecchia, ma ancora abbastanza buona per essere riusata, nello scantinato sotto casa.  C’è una sensazione di libertà altra: io che ho sempre viaggiato in moto, e da qualche anno in vespa, adesso faccio la “barba” a tutti i poliziotti e posti di blocchi della città. Mi diverto a “infrangere” i divieti, passo nella zona pedonale, affronto con calma marciapiedi e strisce gialle, mi fermo in divieto di sosta, cammino senza pagare l’assicurazione e bollo.

Ma un codice di comportamento vale anche per il ciclista che comunque può mettere in pericolo il pedone. La cosa migliore è la prudenza, anche se le differenze con uno scooter o con un’auto sono talmente distanti che il paragone non regge gli esempi e i confronti. In effetti, la cosa realmente soddisfacente è la spensieratezza, sulla bici cammini veloce senza andare di fretta, alleni il tuo corpo, le tue gambe, fai moto. La bici non inquina, si riaccende sempre, non devi cambiare le candele, l’olio, la batteria, se per caso ti dimentichi a casa la patente non succede nulla, se non hai il libretto di circolazione anche, e se per caso il fari ti si rompe è molto ma molto difficile che un vigile ti faccia la multa. [+blogger]  

partita e osservazioni

Ieri al campetto del Seminario A. Ascalesi di Capodimonte si è svolta la prima partita del torneo interculturale organizzato dalla scuola di italiano Samb e Diop, che si è svolta tra le squadre di Africa 1 e 2 composte dai ragazzi in maggioranza africani che frequentano la scuola al Centro Missionario in via dei Tribunali. La partita è stata giocata con vero spirito agonistico, molti di quei ragazzi, arrivati a Lampedusa come tanti altri su un barcone di fortuna erano già buoni giocatori nei loro paesi, come Agostino, nigeriano, fuggito dal suo paese dopo che alcuni membri della mafia locale gli avevano bruciato la sua officina meccanica. Ha giocato a buon livello nella squadra nella sua città, Benin City e ha segnato molte delle reti che hanno permesso alla sua squadra, in pettorina gialla di vincere per 10-3. Altro personaggio è un allenatore sudanese, mister Baker, che ha anche giocato alcuni minuti dando il cambio a giocatori più stanchi e che, per la sua mole, muoveva abbastanza agilmente. 

Quando siamo saliti sul pulman nel viaggio di andata, ci sono stati due episodi spiacevoli: due signore napoletane molto "benpensanti" quando hanno visto quei ragazzi neri come l'ebano salire sul pulman, subito hanno associato straniero uguale ladro, magari neanche se lo immaginano lontanamente l'inferno che hanno passato per arrivare da noi, e quello che passano quotidianamente per avere un minimo di sopravvivenza col rischio di essere espulsi dalla sera alla mattina. 

Il secondo episodio, e questo l'ho sentito bene perchè ero abbastanza vicino, è stato quando sul pulman sono saliti alcuni giovanotti che avevano tutta l'aria di essere dei bulletti abituali, ma forse mi sbaglio, che hanno preso in giro gli africani con i soliti sfottò. Le due signore sono in qualche modo giustificate dal momento che appartengono ad una generazione non abituata a vedere persone di colore diverso, a parte, forse, i soldati neri americani, ma è sulle nuove generazioni che bisogna fare prevenzione, poichè è ormai una realtà saremo sempre di più un paese di immigrazione e, nonostante lo spread e la crisi economica, dobbiamo sforzarci di vivere insieme e cercare di creare opportunità e cittadinanza per tutti e per fare ciò due mezzi sono indispensabili: conoscere la lingua del paese ospitante, e, perchè no, anche lo sport, il calcio in particolare che, quando è libero da soldi e interessi, ma è puro divertimento, è un mezzo formidabile di aggregazione. 

Stiamo cercando per l'Ozanam di mettere su una squadra di srilankesi e una italiana in occasione delle prossime partite. Diamo quindi un calcio ai pregiudizi in nome dello sport e della solidarietà umana e perchè no, cristiana! [vincenzo minei]

...la schifezza