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i qualunque

Scrivere, o soltanto raccontare di questo quartiere, è facile e per di più poco dispendioso visto che, quasi tutto quello che viene pubblicato, è merce di un comune scambio. Una forte retorica, un modo di vedere le cose attraverso l’eroismo e lo stoicismo, lo spettro della camorra, l’abbandono e la mancanza di senso civico. C’è chi si inventa vere e proprie fiction per descrivere il rione Sanità, ma forse non ha torto per la sua fantasia. Il quartiere può essere salvato solo dai preti (già dai preti, ma a loro chi li assolve?), dai politici pubblicitari, dai ricchi signori del Vomero o del nord Italia. Gli investimenti, il turismo (il turismo, bella invenzione inquinante), la privatizzazione, la moneta. 

Ripercorrere le fasi storiche di questa vallata è praticamente impossibile se si considera che 60anni fa era un quartiere rosso (ma non del pd), operaio, artigiano, povero e virtuoso. Virtuoso perché c’erano gli artigiani più bravi del mondo come i guantai. Don Armando, abitante del rione ed ex commerciante degli anni ‘20/30 - che prima di morire, poco dopo sua moglie, aveva festeggiato 73anni di matrimonio - mi raccontava del cappellaio ambulante sotto al ponte della Sanità; lui ogni settimana andava a provarsene uno per vedere quello che più gli piaceva e piacere alle ragazze.


Ma le storie si sa sono uniche e raccontate secondo le proprie rappresentazioni. L’intervista registrata a lui e sua moglie (oggi anche digitalizzata) è un misto di contraddizioni e meraviglia, di critiche verso la “gioventù moderna” e di ricordi idilliaci. La signora Carmela mi spiegava come nel rione, negli anni del fascismo, si sentiva molto più tranquilla. “Due donne sole venivano scortate e accompagnate fino a casa per la loro incolumità”.


Non è questo però il senso dell’articolo. Se tutti noi che ci preme l’informazione dessimo un po’ meno spazio agli eroi di turno, al volto più noto, al caso più eclatante, e facessimo un po’ di più parlare la gente comune (il Marotta c’è riuscito), bhé forse avremmo la forza di risolvere le cose con maggior sicurezza e incisione. Le proteste per l’accorpamento della scuola Caracciolo e la chiusura dell’ospedale san Gennaro; l’occupazione pacifica del cimitero delle Fontanelle e del parco san Gennaro; le spazzate comune per aiutare la raccolta differenziata; il doposcuola per i ragazzi e gli stranieri; il carnevale e la ludoteca cittadina, insomma tutto questo avrebbe un altro senso se a parlare fossero gli altri, i qualunque, i comuni mortali consapevoli che nella loro borsetta blu c’è quasi sempre un thermos rosso con il coperchio bianco, le posate, uno straccio, il pane e il vino. [+blogger].

campi estivi

Recentemente nella sala conferenze dei Missionari Vincenziani di via Vergini, si è svolta una bellissima iniziativa delle associazioni e delle scuole del quartiere. L'iniziativa riguardava una mostra delle foto del campo estivo "Guardiamo il quartiere con altri occhi", con testimonianze dei bambini e dei ragazzi preadolescenti che hanno partecipato. Davanti ai genitori e parenti che affollavano la sala i protagonisti, ragazzini ed educatori, insegnanti e volontari, tra cui c'erano Ugo Pugliese, Mario Vitrone, Mauro o roman e anche se verso la fine, il sottoscritto, hanno illustrato le attività svolte tra le settimane nel quartiere e quella residenziale a Marechiaro. Quest'anno rischiamo di non ripetere questa esperienza educativa e ludica. Le richieste aumentano, ma i problemi sono i medesimi di quelli del 2011: gli operatori della Ludoteca di piazza Miracoli non ricevono lo stipendio da mesi, il comune è perennemente in rosso (salvo poi trovare magicamente i soldi per l'America's cup o per il Giro d'Italia, ovvero, gli eventi). La Ludoteca rischia la chiusura, e sarebbe un vero peccato buttare via il lavoro di anni, c'era un gruppo di bambini Sarawi che dovevano essere ospitati per le vacanze, e ora chissà se ne avranno la possibilità. Chiedo a questo punto alla giunta De Magistris quali siano le sue intenzioni. Si rendono conto questi signori, sindaco in testa, che siamo stanchi di promesse mai mantenute? di sentire lamenti sulla dispersione scolastica quando per compiacere le politiche di "razionalizzazione" del governo nazionale e regionale, chiudete scuole e centri aggregativi, biblioteche, i luoghi vitali per la cultura democratica? Speriamo che si passino una mano sulla coscienza e una nel portafogli, altrimenti sarebbe giusto quello che dice Pino Daniele, quando canta "Napule è na carta sporca, e nisciun se ne' mporta [vincenzo minei]

pasqualina

Nel fantastico mondo dei miei pazienti di Rione Sanità a Napoli, Pasqualina ha un posto di spicco. Ha 55 anni, la conosco da trenta, ma la ricordo, sempre, con la stessa immagine. Piccoletta, un volto a luna piena, tra l’amimico e l’ansioso, un corpo grasso, globoso, rivestito di indumenti neri, per pretestuosi lutti famigliari. Il suo entrare in sala d’aspetto, mi viene sempre annunciato dal volto preoccupato della mia ragazza, che sta alla porta: - “ Dottore, c’è Pasqualina…”- Dire questo, è come annunciare che può accadere l’imprevedibile. Pasqualina soffre di tutta la gamma di disturbi psichici, che vanno dalla depressione, con turbe ansiose, sino a veri eclatanti episodi schizofrenici, simili epilettici. Ha provato tutte le cure, tutti gli specialisti, mettendo in crisi la povera economia di casa. Con lei è nato, da anni, uno strano rapporto medico-paziente, unico direi. Anni fa, al primo annuncio della sua entrata in sala, era seguito il secondo concitato della ragazza : - “ Dottore, correte subito. Pasqualina è a terra” -

Il verificarsi di questo evento, in un ambulatorio della Napoli popolare, precipita nello spettacolo drammatico folcloristico. L’ammalato viene circondato da tutti i presenti, che, simultaneamente, iniziano un loro personale intervento di aiuto, contendendosi tra loro. Chi le alza i piedi, chi le butta un bicchiere d’acqua in faccia, chi la vorrebbe, invano per il peso, disporla su una sedia. I più devoti implorano santi occasionali, tra cui si riconosce la supremazia dell’adiacente S.Vincenzo, detto “O Monacone”. S.Gennaro è più metropolitano. Ma all’apparire dell’immagine del medico, il Salvatore, tutto si ferma, i volti sono in silenzio su di lui. E qui entro io. E’ un grosso peso, credetemi, anche perché l’intervento corretto oggi è più tecnologico che personale. In un ambulatorio di medicina di base i mezzi sono scarsi. Quella mattina, dopo essermi chinato su Gelsomina, stesa al centro della sala, scossa da fremiti, e averle accarezzate le paffute gote e detto frasi occasionali, ma rassicuranti, ritornai in ambulatorio, per cercare un qualsiasi medicamento nell’armadietto. 

La bottiglia del limoncello, regalatami il giorno prima, catturò il mio sguardo. Pensai, dato la suggestionabilità dei suoi malanni, di intervenire con la stessa suggestione nell'atto terapeutico atteso da tutti. Presi un bicchiere, versai un sorso di limoncello, completai il tutto con acqua. Tornando in sala con questa miscela giallo oro, fantasticamente sconosciuta, ma d’impatto visivo non comune, la feci bere a sorsi a Pasqualina. Dopo poche deglutizioni, un colpo di tosse si antepose ad un urlo, che andò man mano a concretizzarsi in una frase. -“S. Antonio, S.Antonio, mio bello, mi hai salvata, mi hai ridato la vita!” - Da quel giorno Pasqualina asserisce, con estrema convinzione, che io sia il suo S.Antonio. Quando sono presenti altri pazienti, nella sala d’aspetto, li coinvolge, al mio apparire, con: -” Vedete come rassomiglia a S.Antonio? E’ tale e quale”!- Suscitando, il più delle volte, in me, la curiosità di andarmi a vedere, prima o poi, una raffigurazione di S.Antonio, il mio sosia. [lucio paolo]

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