tutte

Se tutte le donne andassero a scuola. Se tutte le donne si laureassero. Se tutte le donne smettessero di guardare i programmi televisivi dove le donne sono svilite. Se tutte le donne non comprassero più i prodotti che fanno pubblicità usando il corpo delle donne. Se tutte le donne imparassero a usare i contraccettivi. Se tutte le donne denunciassero ogni violenza subita. Se tutte le donne votassero solo le donne. Se tutte le donne pretendessero dai mariti una divisione equa dei compiti familiari. Se tutte le donne lavorassero.

Se tutte le donne che lavorano chiedessero di essere pagate di più. Se tutte le donne imparassero una lingua straniera. Se tutte le donne spiegassero alle figlie come funziona il loro corpo. Se tutte le donne insegnassero ai figli come si stira una camicia. Se tutte le donne imparassero a usare il computer. Se tutte le donne aiutassero le altre donne. Se tutte le donne si organizzassero. Se tutte le donne facessero sentire la loro voce. Se tutte le donne sapessero il potere che hanno. [giovanni de mauro - internazionale.it]

la propria vergogna

Quando una persona fa del male in modo evidente e continuo si assume la responsabilità derivante da quell’atto, l’evidenza non può essere negata. Un ladro se viene beccato a rubare va in galera, un manigoldo verrà punito, un truffatore anche. Un tempo c’erano le punizioni corporali oggi, invece, è diverso anche se le punizioni si differenziano per grado e quantità. Insomma, gli atti evidenti hanno la loro storia, bella o brutta che sia, essi potranno essere spiegati e rappresentati. Se uno si vergogna di quell’atto potrà sempre riscattarsi, comprenderlo, evidenziarlo. Quando c’è un giudizio evidente, bello o brutto che sia, le conseguenze possono essere spiegate. Quello che invece è deplorevole, schifoso, infimo, spregevole, è negare la propria vergogna. [+blogger]


"Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili". [Bertolt Brecht]

storia e tv


è scomparso il clochard?

Il povero che avevo filmato sabato sera, e che viveva al freddo vicino al supermercato di via Sanità, l’altro ieri era stato portato nel centro la Tenda da un volontario del rione, grazie anche all’intervento di molte persone del quartiere che gli portavano caffè e latte caldo, brioche e cornetto, un pasto e una coperta. Molti ci dicono che è difficile portare un “vagabondo” in una casa, toglierlo dalla strada almeno quando fa freddo, quando piove, oppure se ha bisogno di cure. Invece, Mauro Migliazza, ci dice che non c’è voluto niente: “il primo giorno ha fatto un po’ di storie, gli ho comprato qualcosa e mi sono messo vicino a lui per qualche minuto, poi sono ritornato e ho iniziato a dialogare, sono riandato via e ritornato di nuovo sempre nello stesso giorno, alla fine siamo diventati amici e si è fidato di me”.

Mi chiedo, se una sola persona è riuscito a essere “simpatico”, ad entrare nelle grazie di un povero “demente”, un’insieme di persone preparate per l’accoglienza dovrebbero avere la forza e la possibilità di “Ammucchià e puverielle n’coppe a nu lenzuolo e portarseli in paraviso”, mi perdonerete il napoletano e la citazione di Viviani. E invece no, molti sostengono che è difficile, che spesso proprio perché hanno problemi psichici sono restii al cambiamento e alle cure. Queste è pure vero, ma mi faccio un’altra domanda: se faccio il prete, il missionario, il “salvatore di uomini”, se predico la pace, l’amore, la fratellanza, la giustizia e sono contro la disuguaglianza dovrei, in primis, sporcarmi le mani come fanno centinaia di uomini e donne che dedicano la loro vita per il prossimo?!

In realtà ci sono molti, anzi moltissimi, preti invisibili che fanno questo!; ma c’è una particolarità: sono invisibili appunto, non si fanno vedere, vegetano per le strade, non respirano proprio come i più poveri che non hanno il diritto di parlare, di protestare, di vivere. L’idea di questi preti, e il loro parere, non interessa a nessuno: non interessa all’assessore Riccio (politiche sociali) che nel 2004 aveva promesso quattro luoghi/struttura dislocati strategicamente per la città di Napoli ma che invece poi si sono rivelati luoghi “d’aria puzzolente”; non interessa a nessuno che operatori volontari lavorano gratis raccogliendo la merda di chi non ha un cesso per defecare; non interessa a nessuno l’unione di più persone che sradicano la loro cultura per entrare nella cultura dell’altro.

L’economico, entrando in tutti gli aspetti del sociale, estraendo ogni forma di definizione, contrapponendo il buono, forte, felice, educato, civile al cattivo, mentecatto, malfamato, rozzo, incivile, ha invaso ogni forma di definizione materiale e immateriale, invertendo anche l’ordine di come si definisce la solidarietà, l’amore, la pluralità, il sostegno. Oggi in nome del mercato si guadagna, si legittimizza, si definisce la proprietà privata…. Un clochard, su di una panchina di piazza Cavour dove dormiva quasi ogni notte, un giorno scrisse: “C’è qualcosa di perverso se, chi ha accumulato con fatica le sue ricchezze, le custodisce gelosamente? Si!, solo nel caso in cui la morte, la sofferenza, l’indifferenza prevaricano la ragione”.

A proposito, dimenticavo, lo sapevate che nel rione ci sono a disposizione 154 posti letto (100 Tenda e 54 La Palma), su circa 300 disponibili in tutta Napoli?! [+blogger].

leggilibrosanità

Provo sempre un po’ di timore, lo ammetto, nell’approntarmi alla lettura di un saggio. Timore di un testo talmente scientifico da risultare freddo, di una scrittura così attenta ai concetti che si vanno a esprimere da risultare, spesso, poco accattivante. Timore, insomma, di sentirmi chiusa fuori, esclusa da ciò che l’autore, per paradosso, tenta di portare alla mia attenzione. Oppure di ritrovarmi ingabbiata in una serie di regole necessarie alla fruizione. O, più semplicemente, di annoiarmi. In questo senso, Il cibo, una via di relazione mi ha piacevolmente stupita. La varietà, intanto: si tratta di una raccolta di testi redatti da autori vari e curata da Maria Luisa Savorani, al cui interno trovano posto capitoli a genere saggistico, ma anche brevi racconti, poesia e persino qualche ricetta della tradizione italiana.

Si susseguono pagine che attingono all’esperienza umana e professionale degli autori (e che lasciano trapelare in più di un’occasione sensibilità e una volontà evidente di incontrare l’altro, ad esempio nei paragrafi dedicati al cibo come comunicazione) a pagine di carattere storico e antropologico (nei capitoli sui miti correlati al pane e al vino e sul culto delle dee Madri – archetipi della femminilità, di colei che è preposta per tradizione al nutrire). Le sezioni dedicate nel dettaglio alle situazioni esistenziali in cui l’alimentazione necessita di particolari specificità (la gravidanza, la maternità, la malattia, le fasi di ricerca del sé anche attraverso l’ascetismo) si alternano a brevi scritti poetici e intimistici, come pagine di diario, toccanti nella loro autenticità. Il tutto contraddistinto da un desiderio dichiarato, tra le righe e nel titolo stesso del libro, di toccare corde intime davvero in chi legge, tanto a livello di comprensione quanto in senso emotivo. Argomentando, con esempi chiari e cognizione di causa, la necessità di riappropriarci del senso profondo del cibo: quello di comunicare con il mondo intorno e con quello interiore, sino al riappropriarsi della identità propria e del contesto socio-culturale. Quello di nutrire, e non tanto materialmente, quanto piuttosto con il dono stesso del cibo, il modo in cui viene portato, l’intenzione finale del gesto di preparare e offrire.

Gli alimenti e le bevande primarie, come il pane e il vino, assumono così una straordinaria semantica intrinseca: attraverso il cibo e la maniera di sceglierlo e di porgerlo a noi stessi e alle persone che ci circondano, possiamo dire anche senza parole, comprendere l’altro, offrire aiuto, amore, solidarietà. In questa ottica, ecco che la cucina diviene luogo privilegiato in cui utilizzare la comunicazione non verbale, ma pure posto di incontro per eccellenza, di condivisione e confidenza, fucina di creatività in cui il sapere e il saper fare vengono tramandati di madre in figlia, il luogo pulsante di ogni casa. La lettura di questo libro ti fa sentire “ricevuto”, e non già in un salotto tirato a lucido e formale, quasi asettico nella sua perfezione, ma in una cucina calda, profumata di storia e di rispetto, popolata da leggende antichissime che tornano a vibrare. Il linguaggio utilizzato, anche nelle sezioni più scientifiche, è sempre fruibile, la scrittura scorrevole e il percorso lineare, così da non perdere alcuna sfumatura di gusto. Un saggio che ti accoglie e riscalda, che ti invoglia a recuperare il piacere di ricevere e offrire, nella consapevolezza di ogni piccola sfumatura dell’atto.

“Il cibo e la tavola sono codici comunicativi completi che fanno da specchio alle nostre condizioni psichiche e sociali. […] Il pranzo costituisce un’unità che coinvolge una molteplicità di atti culturali e formativi. Il momento conviviale può divenire una connessione di senso, una modalità di vivere, un’apertura sul mondo. […] Riconquistare lo spazio della cucina come espressione, come cura dell’altro e di sé, come momento profondamente vitale diventa un atto libero che ci rende protagonisti attivi della nostra vita e ricrea un dialogo.” [Silvia Longo per Libri Consigliati]

caro lucio...


Caro Lucio abbiamo “fallito”, tu portandogli un giubbotto e qualcosa di caldo, io riprendendolo con la telecamera e denunciando la miseria. Mi dispiace ma è così! Il fallimento nostro è il fallimento della povertà, della solidarietà, dell’amore, della pietas. Noi adesso abbiamo pietà di quet’uomo... ieri sera faceva molto freddo, e mentre tornavo a casa, al caldo, non ho avuto la forza di portarlo con me. Neanche tu l’hai fatto caro Lucio, neanche il prete se lo porta nel suo lussuosissimo bed e breakfast. Noi proviamo pietà, domani la pietà finisce; noi dovremmo provare amore, come si prova per un figlio, una madre, per se stessi; e invece proviamo pietà, ci dispiace, ci indigniamo, gli compriamo qualcosa. Quest’uomo sta per morire, mentre noi proviamo pietà! [+blogger]


dieta di carne

Quando ero bambino mia mamma mi ha super nutrito, una dieta ferrea fatta di ogni tipo carne: vitello, vitellino, agnello, maiale, cavallo. Era convinta che se non mangiassi almeno tre volte, in una settimana, la carne, sarei rimasto senza globuli rossi e senza ferro, ricoverato con prognosi riservata, spacciato per la mia crescita ed intelligenza. Carne macellata di ogni tipo, non importa se un animale, un terrestre come noi, subisca le più atroci torture, ingiustizie e maltrattamenti fino ad essere sparato in testa. Quando si ammazza un agnellino fa più pena di un bambino, è assurdo, ma è così. Piange disperatamente, gli occhi smarriti, terrorizzati, alienati e chi affonda la lama nel cuore sembra non aver sentimenti. Noi uomini ammazziamo ogni tipo di animale. Si ammazza per vendere, per vestirci, per divertimento, per esperimento, per noia, per paura, per crudeltà.

Il cacciatore deve pur esporre la sua testa di cervo come soprammobile oppure imbalsamare un cavalluccio marino, avere la sua pelle di balena, coccodrillo, vestirsi con il pelo di un orso o di un daino. È assurdo, ma è così. Eppure si vivrebbe benissimo senza mangiare carne, senza rivestirci di pelle, senza un visone o le scarpe di serpente. Ma del resto perché ci meravigliamo?! Come testimonia la foto, se siamo così malvagi da ammazzare un bambino, da contagiarlo con l’aids, se sterminiamo popoli, se facciamo la guerra solo per non farci togliere la neve da sopra un grattacielo, o una pista di ghiaccio nel deserto, o l'autodromo di Abu Dhabi allora perché mai dovremmo smettere di schiacciare uno scarafaggio che fa schifo? Mi chiedo: e se dopo la morte ci ritrovassimo tutti noi umani chiusi in gabbie di un metro per un metro aspettando che ci friggono? [+blogger]

i cittadini dei miracoli

LETTERA ALLE ISTITUZIONI

Al Ministro dell’Interno Roberto Maroni, Al Sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, All’Assessore della Pubblica Istruzione del Comune di Napoli Gioia M.Rispoli, Al Presidente della Municipalità Stella San Carlo all’Arena Alfonso Principe, All’ Assessore della pubblica istruzione Massimo Rippa, Al Cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, Al Rettore Dirigente del convitto Vitto Emanuele e preside dell’Educandati Femminile Vincenzo Racioppi

OGGETTO: RIVENDICAZIONE DI SPAZI PUBBLICI NELL’EDUCANDATI
FEMMINILE AI MIRACOLI.


Egregio Ministro dell’Interno Roberto Maroni, quelli che Vi scrivono sono i cittadini dei Miracoli, per la seguente motivazione: vorremmo sapere perché ogni cinque, sei anni c’è il cambiamento del parroco della nostra chiesa, quando questi chiede qualche spazio in più per i bambini e i ragazzi del quartiere Stella San Carlo all’Arena Napoli. Lo spazio viene richiesto da una parte dell’Educandati Femminile di piazza Miracoli scuola che è decollata fino ad ora solo per metà. Dato che questa scuola ha ancora molti spazi liberi, ci chiediamo, perché non dare uno spazio anche alla Chiesa per l’oratorio, dove si incontrerebbero e farebbero attività i ragazzi del quartiere gratuitamente. La domanda che Vi facciamo è la seguente: qual è il problema? C’è il guadagno per qualcuno che già adesso vi adopera dentro? Ci sono problemi burocratici? Noi vorremmo una spiegazione da qualcuno, siamo ormai stufi di tutto e di tutti. In attesa che qualcuno ci faccia il favore di risponderci rivolgiamo i nostri distinti saluti. [I cittadini dei Miracoli, via]

ciacco dicono alquanti...

Ecco cosa pubblicava "il foglio" - Vedi



Ecco cosa pubblichiamo noi! Leggi


veleno dalla lombardia

L'ITALIA non ha la pena capitale, ma potrebbe presto contribuire attivamente a uccidere condannati a morte, a dispetto delle nostre leggi, dei comandamenti cristiani, della morale cattolica. Un'azienda farmaceutica con base vicino a Milano, la Hospira Spa è stata incaricata di produrre Sodium Thiopental. Si tratta dell'anestetico utilizzato per le esecuzioni con iniezione letale negli Stati Uniti. Da gennaio la società milanese, sussidiaria di una multinazionale americana, dovrebbe esportare la sostanza negli Usa, che ne sono rimasti a corto e non possono più giustiziare nessuno con questo metodo, usato in 35 Stati su cinquanta, finché non riceveranno nuove dosi. A scoprire questa "Italian connection" è stata Reprieve, l'organizzazione umanitaria britannica che si batte contro la pena capitale e la tortura in tutto il pianeta, e che ha anticipato a Repubblica l'appello inoltrato questa settimana all'azienda milanese.

L'iniezione letale è un micidiale cocktail di tre sostanze, una delle quali è un anestetico dalle caratteristiche particolari, il Sodium Thiopental appunto, che dovrebbe garantire di uccidere i condannati "con gentilezza". La Hospira Usa, l'unica compagnia americana che produceva questo farmaco, qualche mese fa ne ha interrotto la produzione per problemi nel suo stabilimento negli Stati Uniti. Ben presto, i penitenziari dei 35 stati che compiono le esecuzioni con tale sistema sono rimasti senza anestetico. A quel punto hanno disperatamente cominciato a cercarlo altrove.

Lo stato dell'Arizona, per esempio, il mese scorso se ne è procurato un quantitativo prodotto da un'altra azienda farmaceutica in Gran Bretagna, ma la Corte Suprema dell'Arizona ha temporaneamente bloccato un'esecuzione, non avendo garanzie che il farmaco inglese avesse le stesse qualità di quello prodotto in America, ovvero permettesse una morte "senza atroci sofferenze". La condanna in questione è stata poi ugualmente eseguita, uccidendo Jeffrey Landrigan, nonostante i dubbi sull'anestetico e nonostante il giudice che lo aveva riconosciuto colpevole si fosse dichiarato pronto a un ripensamento di fronte a nuovi elementi sulle circostanze del delitto di cui era imputato.

Ma nel frattempo Reprieve (il nome significa "sospendere", riferito alla pena di morte, tra i patroni dell'associazione figurano personalità come lo scrittore Alan Bennett, l'attrice Julie Christie, l'architetto Richard Rogers)) ha fatto causa alla ditta britannica, come ha scritto il Guardian, chiedendo che venisse vietata la vendita del farmaco negli Usa in base a una legge europea (EU Council Regulation 1236/2005) che definisce illegale l'esportazione di prodotti "utilizzabili per la pena capitale, la tortura o altri trattamenti crudeli e inumani". A quel punto, pur di mandare avanti lo stesso la fabbrica della morte, lo stato dell'Oklahoma ha proposto di usare un anestetico usato comunemente dai veterinari per addormentare gli animali. Serviva però una soluzione più a lungo termine. E così Reprieve è venuta a sapere che Hospira ha affidato alla propria sussidiaria italiana, la Hospira Spa di Liscate, in provincia di Milano, la produzione di Sodium Thiopental da destinare ai penitenziari americani, almeno fino a quando la produzione non riprenderà negli Stati Uniti.

"Non solo, abbiamo scoperto che la fabbrica milanese è stata già usata in passato per questo scopo", dice a Repubblica l'avvocato Clive Stafford Smith, direttore di Reprieve, uno dei difensori dei diritti umani più famosi del mondo, autore di decine di mozioni contro la pena di morte e la tortura, dalle carceri degli Usa fino ai detenuti di Guantanamo. "Ora ci sono due modi per bloccare questa iniziativa. Il primo, il più semplice, è una decisione volontaria di Hospira Spa di fermare la produzione del farmaco o di impedire che venga esportato negli Usa per le iniezioni letali. Il secondo è che il governo italiano emetta un bando all'esportazione di questo anestetico". Livia Firth, ambasciatrice di Reprieve per l'Italia, ha scritto ieri una lettera a Francesco Colantuoni, amministratore delegato di Hospira Spa, per chiedergli un incontro: "Siamo sicuri che non vorreste facilitare le esecuzioni, e soprattutto non in Italia, ove la lotta contro la pena di morte è particolarmente forte", afferma la lettera. "La vostra ditta può evitare lo scandalo di essere direttamente coinvolta nella pratica barbarica della pena di morte". [Enrico Franceschini – Fonte: La Repubblica.it]


vieni via con me

Ciao Roberto, sento l'esigenza di scriverti per dirti grazie, mi dai il coraggio e la forza di non piegarmi ad una città dimenticata dai suoi stessi cittadini. Ogni giorno, percorrendo le strade di Napoli mi viene voglia di allontanarmi, di fuggire da una realtà triste e qualche volta l'ho fatto, ma poi son sempre ritornata. Sono sicura che parole come le mie ti avran bombardato da tempo ormai, ma io voglio abbattere comunque il muro del silenzio e sono qui a scriverti perché lo sento e perché le parole arrivano al cuore. Questa sera ti sento vicino, con il cuore sono con te, non so spiegarti il perché di tutto questo, so solo dirti che è cosi, forse perché tue parole mi sono entrate dentro così forte che sento l'esigenza di esternare questi miei pensieri.

La solitudine che a volte ti prende è una strana e perversa forza che ti fa andare avanti nonostante tutto, perché ci sono quegli sguardi, quelle luci di speranza che di tanto in tanto si pongono innanzi ai tuoi occhi e ti fanno capire che la vita è bella, che c'è chi ti ascolta, che c'è gente come te in qualche parte del mondo che non aspetta altro che essere visto dai tuoi occhi. Quando dico gente come te, intendo gente simile a te stesso oltre che gente come te Roberto ovviamente. Vedi le parole a volte si prestano a dei giochi come in questo caso, ma è come dici tu, è la loro forza che le fa vibrare. Provano con te ad insinuare il dubbi, ma la forza tua è proprio questa andare avanti e non piegarsi. Sai io mi identifico con la gramigna, dura a morire, ricordi chi diceva che CHi NON HA PAURA DI MORIRE, beh sarà cosi anche per te.

Io ho paura della morte, ma so che le mie parole andranno avanti ,che il mio ricordo ci sarà, sebbene non abbia piantato nulla nelle coscienze del mondo, so che le ho piantate dentro me e in chi mi circonda. Io ho un vivissimo ricordo delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio e sapessi quanto ho pianto questa estate quando qualcuno al telegiornale insinuava che le agende rosse di Borsellino fossero agende comuniste, insinuando il dubbio nelle persone che non erano presenti in quegli anni e che non sanno che quel colore era un semplice caso e non un colore politico.

Infangare è questo il termine giusto, però c'è un proverbio che dice L'OFFESA DEL FANGO NON SPORCA, per cui sta a noi gente comune a non farci sporcare e a non far sporcare persone che si sono battute in nome dell'onestà e della libertà. Buona notte occhi scuri e brillanti, il nero dei tuoi occhi è come il buio delle stanze in cui vivi, ma ricordati che la luce della tua anima le illuminerà sempre. Notte magica poesia di un mondo lontano e vicino alla mia anima, notte che tu possa, almeno nei sogni, essere libero e riassaporare quella libertà che ti han tolto ma che chi ti ama ti restituisce... un bacio. [Rosaria Uglietti]

l’italia avanzata

Franco Califano, noto cantante, ha dichiarato di voler una casa dove poter passare la sua vecchiaia. Anzi, più che volere pretende ed ha anche richiesto un vitalizio per la sua fama. E’ stato ricevuto dalla Polverini, presidente della regione Lazio che, stando sempre alle sue dichiarazioni, gli ha promesso entrambi le cose. Il cantante sembra che non abbia più i soldi per poter pagare la sua lussuosa casa, e dopo aver sperperato un patrimonio, adesso chiede aiuto ai contribuenti.

Certo, se fosse realmente così e se la legge glielo permettesse questo significherebbe che avremmo risolto il problema dei senza tetto. E non solo, il nostro paese sarebbe così avanzato che aiuterebbe i poveri, i poverissimi, e anche i ricchi caduti in disgrazia. Soltanto io avrei una lunga lista di persone che hanno bisogno di una casa, che vogliono fare una vecchia dignitosa, che vorrebbero un piccolo vitalizio per mangiare e dormire. Ma certo, questo è il paese della coerenza, della fantasia, delle illusioni, della bontà.

Se aiutiamo le persone che hanno guadagnato un patrimonio, che sono vissute nella ricchezza, nella sontuosità, e soprattutto, come si è sempre vantato il cantante di cui sopra, accerchiato da belle donne, allora questo vuol dire che i poveri, gli operai, le badanti, gli ambulanti, i disoccupati, i precari, gli sfruttati e le prostitute avranno sicuramente di che rallegrarsi per il prossimo futuro. [+blogger]

razzismo su pompei

“Se Pompei fosse in Lombardia, o in Toscana, sarebbe quello che deve essere, cioè il sito archeologico più importante del mondo, una risorsa turistica fruttuosa, un luogo meraviglioso di studi e di ricerche”. Intervistato dal resto del carlino, chi ha rilasciato la precedente dichiarazione ha poi rincarato la dose: Pompei dimostra prima di tutto che ci sono molte, moltissime Italie… ma davvero pensate che una cosa del genere sarebbe potuta succedere, che so, a Firenze? Via, non prendiamoci in giro. Anzi, voglio andare ancora più su: davvero pensate che sarebbe stato possibile una cosa del genere Innsbruck?”. E ancora: “il nostro paese si divide in aree sviluppate e non”.

Poiché il livello intellettuale e morale di queste frasi non è superiore a quello di uno striscione da curva (siamo quasi a al “forza Vesuvio”), potrebbe essere sufficiente la risposta che si legge nell’unico sito internet che le abbia prese in considerazione: quello del Napoli calcio, dove un tifoso risponde con argomenti di uguale livello. Ma siccome il titolare di queste incredibili esternazioni è stato il Ministro dei Beni Culturali, è l’attuale direttore dei Musei Vaticani, è socio corrispondente dell’accademia dei Lincei ed è (vien da ridere…), il curatore della mostra delle italie all’italina. Arte, immagine identità dell’Italia storica che aprirà a Torino in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale: beh, è tutto un po’ difficile far finta di niente. Per Antonio Paolucci il problema di Pompei è di trovarsi troppo al sud, in quella scala di latitudine che per lui scandisce inesorabilmente lo sviluppo e la civiltà.

Eppure Napoli non doveva sembrare a Paolucci così culturalmente sottosviluppata, quando si trattava di esporci per sei mesi il crocifisso falsamente attribuito a Michelangelo che egli aveva fortemente contribuito a fare acquistare allo Stato per oltre 3milioni di euro. Certo, sempre meglio 3milioni buttati in u’ opera che ne valeva sì e no 80mila, che usati per la manutenzione di Pompei: che così a sud, ma così a sud, che è proprio insalvabile. A meno che non la si trasporti in blocco a Firenze: e chissà se non sia questo il senso recondito del titolo della mostra che Paolucci sta preparando. Invece che lasciarsi andare al più vieto antimeridionalismo, Antonio Paolucci avrebbe potuto provare a dar conto delle sue responsabilità: in quanto ex Ministro dei beni culturali, e ancora di più in quanto responsabile fra i massimi della degenerazione estrema del sistema delle mostre di cassetta che drena energie vitali dalla tutela e riduce la storia dell’arte a rotella dell’industria dell’intrattenimento “culturale”.

Se proprio buttarla sulla geografia, il problema di Pompei non è di essere troppo a sud, ma di essere in Italia. [tommaso montanari - corriere della sera - gazzetta del mezzogiorno, 11/11/’10]

improvvisamente, un’utopia

Eravamo a pochi passi dall’uscita di una scuola e i ragazzini pascolavano pigramente su entrambi i lati di Avenue de Champel. Di colpo è partito l’inseguimento. Un quindicenne con i capelli neri e la carnagione scura urla qualcosa in tono aggressivo a quelli dall’altro lato della strada e un piccoletto con gli occhiali, dopo essersi voltato indietro un paio di volte, scatta in avanti in una corsa disperata. Il gregge si sveglia e, come leoni affamati, tutti cominciano a inseguire il povero agnellino. Lui affretta il passo, continua a voltarsi per vedere quanta distanza ha preso, ma tutti lo rincorrono ferocemente.

“Massimo”, dico al mio amico con cui assistevo alla scena, “credo che questo sia bullismo bello e buono. Forse dovremmo intervenire”. “Sì, però…”, risponde lui perplesso, senza distogliere lo sguardo dall’inseguimento, “Mi sembrano tutti un po’… non so, un po’ handicappati”. Osservando meglio i ragazzini, mi rendo conto che c’è qualcosa di strano. Ce n’è uno gigantesco, che corre creando enormi onde di grasso lungo tutto il corpo, senza mollare la presa del suo panino. È cattivissimo. E poi ce ne sono di magrissimi, uno che zoppica, uno sulla sedia a rotelle. Tutti un po’ sporchini e brutti. Ho un’illuminazione. “Oh mio dio, Massimo, questo paese sta davvero avanti: l’accessibilità e l’integrazione sono talmente alte, che questa è una battaglia tra gang rivali di disabili!”. In realtà la mia utopia di civiltà è durata poco. Fino a quando il piccoletto scappato via come un fulmine non è arrivato alla fermata ed è salito sull’autobus. Uno a uno, i liceali sporchini e brutti sono arrivati alla fermata e sono saliti anche loro. Compreso quello obeso.

Insomma, stavano solo correndo disperatamente per non perdere l’autobus, avvertiti dal grido del primo ragazzino che l’ha visto arrivare. E il piccoletto si voltava continuamente per vedere a che punto fosse. È evidente che io e Massimo ci siamo dimenticati quanto eravamo brutti e sporchini anche noi quando andavamo al liceo. Forse ho corso troppo. Per vedere una Svizzera con le bande di teppisti disabili ci vorrà ancora qualche anno. Eppure questa settimana la mia dose di utopia di civiltà non è finita qui. L’altro giorno sono passato al consolato italiano. Dovevo chiedere una lista di documenti necessari per sposare il mio compagno. Ebbene, fin dal momento in cui ho parlato con il custode all’entrata, mi sono reso conto che mi sentivo in modo molto diverso rispetto all’Italia.

Sia ben chiaro: a Roma nessun funzionario pubblico a cui descrivevo la mia famiglia mi hai mai tratto male o in modo poco rispettoso. Però io dovevo sempre affidarmi al suo buon cuore: sulle scale dell’ufficio pubblico, tiravo un sospiro e mi auguravo di trovare una persona tollerante e aperta di mente. Qui, sulle scale del consolato, non ho tirato nessun sospiro: la legge è dalla mia parte e se il funzionario ha qualche problema, il problema è solo suo. Una volta entrato nell’ufficio di competenza, però, ho visto il futuro: questo signore di mezza età con forte accento pugliese – e la foto di Napolitano alle spalle – mi ha elencato i documenti necessari per sposare il mio compagno: “Ma certo, deve richiedere gli estratti di nascita, fare le fotocopie dei documenti, i documenti delle vostre bambine e così via”.

Improvvisamente, in quell’ufficio pubblico italiano, io, Manlio, Clelia e Maddalena abbiamo cominciato a esistere per lo stato italiano, o almeno per quel suo lembo di terra all’interno della città di Ginevra. Improvvisamente, mi sono trovato nell’Italia che esisterà tra dieci, forse vent’anni. Io ripeto continuamente che noi non siamo fuggiti dall’Italia, con tutto che sarebbe molto comprensibile decidere di farlo. No, noi in Italia stavamo bene e gli italiani ci trattavano ancora meglio. Ma stando qui mi rendo conto che avere la legge che ti tutela è tutta un’altra storia. Improvvisamente l’omofobia non è più un problema tuo e quindi puoi smettere di preoccuparti di cosa pensa il funzionario che hai di fronte. Quando c’è la legge, se un funzionario pubblico è un omofobo, fosse anche un presidente del consiglio, il problema è solo suo. [claudio rossi marcelli - fonte: internazionale.it]

attenzione ai calcinacci

ATTENZIONE Questo maltempo sta facendo cadere molti calcinacci: l'altra sera a vico Sanfelice, stamattina (verso le ore 10.00), alla via Sanità, e in altri punti del rione. Avvertiamo, chi di competenza, per un sopralluogo e una verifica approfondita visto i diversi palazzi decrepiti del quartiere. Se continua a piovere in questo modo il rione sarà invaso dalla "lava" che, dalla collina di Capodimonte, scende fino ad arrivare nel centro storico. Per adesso nulla di grave, ma meglio prevenire soprattutto se, come succede quasi ogni anno, si allagano via Sanità, borgo Vergini, vico Lammatari e i vicoletti adiacenti.


la proprietà non è più un furto

Immaginate un mondo senza regole, immaginate una donna senza le sue regole; immaginate uno stato senza la legge, immaginate una religione senza la sua bibbia. La consuetudine incontrastata ci attanaglia contro la semplicità e la assoluta libertà. Oggetti sempre più cavillosi, macchine che sfornano oggetti prestigiosi per format televisivi. Stonature che farebbero scatenare anche la più mite delle anime, quelle che si incontrano nell’ultimo cerchio, quelle infime prive di entità, le cape che per metà sono sottoterra.

Immaginate un lavoro stabile e duraturo, immaginate una pensione di vecchiaia; immaginate poi una casa, una automobile, un matrimonio all’italiana, una festa di compleanno. In quest’epoca, da trent’anni, ci manca la semplicità, ci manca lo stipendio, ci mancano le case, la famiglia, il lavoro. Tutto e sotto o sopravalutato: la religione, l’anarchia, la moralità, l’ateismo. Noi sempre al punto di partenza, l’attenzione che ci respinge, la forza che non ha più voglia di mostrarsi.

Immaginate un percorso a ritroso, immaginate la povertà; ora invece guardiamo tutti alla ricchezza, alla sontuosità, alla beatitudine. Adesso vi cito le parole di un film:

“ma cchè ce farò io con tutto quel denaro che accumulo, dal momento in cui ormai sono in grado, e da molto tempo, di provvedere a tutti i bisogni della mia vita? Bhè, lo utilizzerò per farne altro, altro ancora… milioni, miliardi... perché il mio bisogno fondamentale è quello di arricchire. Quando penso ai cassieri di banca che a rischio di morire pe difendere il capitale altrui, oppure al fattorino del tramme che ogni sera immancabilmente consegna l’incasso della giornata. O a quei morti di fame che accettano passivamente la loro disgrazia nel rispetto della legge in difesa della proprietà. Embè, e allora ciò proprio il sospetto che in questi nullatenenti… embè, va avanti la pazzia, aleggi la stronzaggine. Ciò me tranquillizza, perché è su di loro che io mi arricchisco. Ma malgrado tutto io non so felice. E no, perché anch’io, come il danaro, vorrei essere eterno”. [+blogger].

...presunta onorata santità

Piano di dismissione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli, si informa che nei prossimi giorni si mette all’asta un immobile sito in zona. E’ un’opportunità unica per chi vuole investire nel “mattone”. Locandine per tutto il rione sanità, in calce, firmato ROMEO.

Ma che ASSURTITA’. Solo pochi mesi fa tutti i giornali italiani ed esteri parlavano delle romeo gestioni, degli illeciti commessi e delle truffe in atto. La magistratura indagava per capire come venivano, e in che modo, messe in vendita le case. Oggi sembra che nulla sia successo. Le locandine, azzeccate sui muri dei palazzi, portano lo stemma del Comune di Napoli in bella posta e la firma piccola in calce, come per far capire ai più maliziosi: guarda che “furbata”, della Romeo gestioni. Ci stiamo auto-congestionando senza la minima possibilità di liberarci. Mentre la munnezza viene accatastata sotto le finestre dei lustri ben pensati, chi truffa è riabilitato nella impossibilità di essere condannato.

Venerdì sera verso le 19,15 nell’affollatissima via Toledo, un tenente della polizia arrestava un ragazzo nero di circa 20 anni perché ostacolava la circolazione dei pedoni, perché vendeva borse griffate e spazzolini da tenti per gli iperglicemici. Tutti assistevano a quella scena, tutti si indignavano perché notavano la paura negli occhi di quel ragazzo. Ma nessuno aveva il coraggio di protestare. Mi chiedevo, ma perché nei vicoletti perpendicolari gli ambulanti – napoletani – non venivano arrestati? Perché i vuò cumprà sì e gli altri no?

È la stessa domanda che mi faccio quando sento che un evasore fiscale, come un grande imprenditore o una grossa ditta di moda o un grosso personaggio della tv, dello spettacolo o del mondo dello sport, ritorna ad evadere facendo la stessa identica cosa nel dispregio più assoluto della legge e del senso civico. Qual è la differenza che ci fa notare le assurdità? Perché quel poliziotto arresta un’ambulante e non arresta una altro ambulante? Quali meccanismi si insinuano perché noi riteniamo giusto delle affermazioni mentre altre identiche parole le interpretiamo in modo diverso?

Potremmo dire che siamo tutti dei razzisti? Che siamo tutti dei venduti? Che tiriamo l’acqua solo al nostro mulino? O forse possiamo pensare che in Italia la definizione di concetto pubblico e privato non sia mai stato realmente definito? Forse siamo tutti dei PARACULI? E’ possibile che la peculiarità della nostra lingua ci metta un po’ tutti in imbarazzo? Per concludere, se definiamo la nostra reale situazione, allora forse dobbiamo un po’ tutti vergognarci. Se invece in quest’epoca ci è precluso l’uso della determinazione, allora vuol dire che saremo salvati in cambio di una presunta onorata santità. [+blogger]

fiaccolata...


Padre Carmine, dopo sette anni di attività e buon lavoro alla piazza Miracoli, è stato rimosso. Siccome adiacente alla chiesa c’è l’educandato all’interno del quale ci sono 3 suore (ma che in realtà suore non sono), nei locali ampi luminosi il parroco, come gli abitanti del quartiere, ha richiesto di gestire gli spazi per fare attività ludiche e ricreative.

Una parte di questi grandi spazi gestibili sono stati dati, dal reggente Sarno, alle pseudo-suorine e rifiutate al sacerdote. Si ricorda che le volontarie (suorine), fanno attività ricreative, con i bambini, a pagamento. Cercando una mediazione col Cardinale Sepe la disputa è sfociata con la rimozione del parroco verso una altra passocchia. Le persone del rione Miracoli si stanno organizzando per una fiaccolata in difesa di don Carmine.

zanotelli l'infedele