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preservare


la bomba

Assunta Bernarducci è una donna magra, non più giovane, con un addome globoso a mo’ di pera. Attende sempre un figlio, nonostante il marito venga ogni tanto dalla Germania. Abita in Vicoletto S. Gennaro dei Poveri : un capillare mozzo dell’urbanistica cittadina. Il vico si ferma per impotenza ai piedi della collina di Capodimonte, non riuscendo a valicare le centinaia di moto e macchine sequestrate dai vigili e ammonticchiate lì, tra ciuffi d’erba. E’ contornato da case abusive, forse un tempo baracche che venivano spazzate via al primo acquazzone che scendeva, giù dalla collina, a forma di torrente. Assunta abita un basso, due vani, solo letti a castello e brande per i suoi dieci figli che riempiono le maglie vuote di questa rete. Un cucinino che termina in un cunicolo nero: il gabinetto. Lo stereo è sempre acceso e invade il vico con le canzoni di Merola. Oggi sapevo che avrei trovato il fratello di Assunta, dimesso dall’Ospedale S.Gennaro. Tonino è un alcolista e soffre di una delle complicanze più tremende, la cirrosi, l’idrope degli antichi. Nello sconquasso del fegato bruciato dall’alcool, l’addome si riempie di liquido. E’ di Caivano, ma durante la malattia è stato ospitato dalla sorella. Assunta mi aspettava, seria sulla porta con l’ultimo lattante in braccio. C’era il silenzio rispettoso della morte. 

”Me lo hanno fatto portare a casa, non è cosciente”- Appena superata l’entrata, una branda, quasi a sbarrarmi il cammino. Tonino, il volto scavato e violaceo respirava rumorosamente, gorgogliando in fondo alla gola. Una coperta copriva il suo corpo magro, ma non celava quella sferica convessità del suo ventre. I bambini mi guardavano. Sapevo che la mia visita non poteva avere nessun valore e forse questo mi rendeva nervoso. Tolgo la coperta e scopro questo ventre gonfio a sproposito, con la pelle gelida, tesa,lucida, che lascia intravedere un reticolo di vene azzurre. Il rantolo è l’unico suono nel basso. I figli sono appollaiati sui letti a castello e guardano muti. Mi trovo ad usare un termine sbagliato, forse per stizza per la mia impotenza. -“ Ma non lo potevano pungere, in ospedale, per alleviare questa tensione. Tra poco scoppia!” In realtà Tonino non è cosciente e non soffre più, per cui questa manovra volutamente non è stata attuata. Assunta mi guarda in silenzio mentre compio un rituale di visita che non mi convince, ma che so che lei si aspetta. Dalla scollatura della vestaglia ha estratto un lungo seno avvizzito e ha introdotto un nero capezzolo nella bocca del bambino. Le spiego quello che in ospedale le hanno già detto: non c’è altro che aspettare il decesso. Vado via nell’imbarazzo della mia impotenza, senza guardarla negli occhi. Mi avvio verso l’uscita del vicoletto .Qualcuno dalle finestre mi saluta. Alle mie spalle, i passi affrettati di chi mi sta raggiungendo. E’ Assunta: - “ Dottore, scusate, voi avete detto che può scoppiare, volevo sapere se ci può essere pericolo per i miei figli?” [lucio ranieri]

2012



salute mentale

(Appello per la salute mentale nella città di Napoli) Nella città di Napoli, le contraddizioni emergenti negli ultimi anni, a causa della crisi dello sviluppo socio-economico e della fine del welfare, del malaffare politico-amministrativo, dei fenomeni di immigrazione e di neo-emigrazione, hanno raggiunto la loro massima espressione, producendo ulteriore degrado sociale e istituzionale, impoverimento diffuso, collasso delle reti di solidarietà e imbarbarimento dei costumi.

Di fronte a queste profonde ferite, le pratiche della psichiatria si stanno sempre più conformando al ‘mandato sotterraneo’ di ammortizzatori di conflitti e disagi sociali. E ci riferiamo non solo a quella psichiatria da discarica che diventa contenitore provvisorio o definitivo di comportamenti devianti ma anche a quella psichiatria che collude con la richiesta di confezionare risposte individuali a difficoltà sociali (insicurezza, emarginazione, violenze, ricatto e maltrattamenti, disoccupazione, povertà, immigrazione etc.) attraverso l’utilizzo, privo di ogni razionale scientifico, di psicofarmaci, psicoterapie e ricoveri.

Perciò, riteniamo che sia giunto il tempo, ora più che mai, di riprendere con forza la riflessione sul “quotidiano” della Salute Mentale, se vogliamo arginare il rischio che i servizi territoriali diventino meri ambulatori, le case famiglia cronicari ed i centri diurni ghetti sociali. E’ innegabile che un superato modello ideologico di intendere la cura psichiatrica, che richiedeva uno stile di lavoro oblativo e basato sull’onnipotenza, volto ad un’etica del sacrificio in nome di una “grande causa”, ha contribuito ad un senso di fallimento diffuso, di frustrazione, di vero e proprio burn-out fra gli operatori, favorendo comportamenti di evitamento e di fuga dalla professione ( i cosiddetti ‘imboscati’). Di contro, va certamente riconosciuto l’impegno di tutti coloro che quotidianamente incontrano e supportano la sofferenza psichica e fra mille difficoltà contribuiscono, giorno dopo giorno, a quel progetto collettivo che definiamo Salute Mentale: oltre la psichiatria, la Salute Mentale per noi significa ancora “prendersi cura” della persona nella sua indissolubile unità bio-psico-culturale, verso la lenta ricostruzione di una storia interrotta e alla ricomposizione della sua trama relazionale; oltre il paradigma bio-medico, la Salute Mentale significa ancora riattivazione di risorse familiari e collettive a sostegno della crisi individuale; oltre la tentazione di rimozione della follia, la Salute Mentale significa ancora accoglienza, condivisione della sofferenza, rapporti reciproci di aiuto; oltre le logiche violente dell’abbandono e dell’espulsione, la Salute Mentale significa ancora riappropriazione di diritti, diritto di cittadinanza e potere sociale; oltre l’impotenza e la solitudine la Salute Mentale significa ancora partecipazione allargata ai processi di cura di nuovi e fecondi soggetti collettivi: sociali (il quartiere e la città, il terzo settore, il volontariato laico e religioso), istituzionali (comune, municipalità, associazioni, impresa sociale) culturali (università, scuole di formazioni, il mondo dell’arte).

La Salute Mentale si rappresenta come un progetto avanzato di cura del disagio e del dolore psichico, calato nella complessità socio-culturale della vita, che va oltre gli specifici saperi, (psichiatrico-psicologico-psicofarmacologico-psicoriabilitativo-neuroscientifico,etc), le tecniche e le discipline di confine (sociologia, antropologia, filosofia, arte, etc.). Purtroppo, oggi, nella nostra città assistiamo, invece, ad un arretramento culturale che commissiona ad un riduzionismo neuro-psichiatrico la responsabilità di un metodico “smantellamento” delle Unità Operativa di salute mentale, delle loro risorse umane, delle loro ricchezze culturali, delle loro storie.

Nel prossimo futuro si prospettano: l’accorpamento delle UOSM, la scomparsa dei centri diurni e l’espulsione delle cooperative della riabilitazione, la mancata sostituzione dei dirigenti apicali e degli operatori del comparto, l’estinzione degli psichiatri a tempo indeterminato, degli psicologi, degli assistenti sociali, l’abbandono e il degrado di strutture sedi di SPDC e di residenze. Ma il più grave sintomo del disfacimento ci sembra il vuoto di pensiero, che si ravvede nell’assenza di un confronto e di una riflessione comune di saperi aggiornati e prassi di cura efficaci.
L’orizzonte che si sta configurando davanti a noi è fatto di emergenze, ambulatori specialistici dallo stile puntiforme, silenzi e acting-out, burocratizzazione degli interventi, mentre il futuro dei nostri utenti è ricacciato nella cronicità delle lungodegenze del privato selvaggio, o abbandonato all’emarginazione, diventando solitudine e carico affettivo insopportabile per le famiglie.

La Salute Mentale o diventa un problema/risorsa collettivo, di Tutti, o ritorna ad essere psichiatria neo-manicomiale, abbandono, deriva psichiatrica di controllo sociale. In tal senso la cornice della legge 180, pur richiamando gli operatori ad una “onnipotenza terapeutica” che spesso è implosa nello scoraggiamento, altre volte è precipitata nella sfiducia, di rado nella depressione, resta un progetto che, se riletto entro i dovuti e reali “limiti” di attuazione, rappresenta ancora oggi un’esperienza di democrazia, di solidarietà verso gli ultimi, di sperimentazione clinica, di riflessione e ricerca.

Ma un rilancio della Salute Mentale non può ridursi ad orizzonte utopico o peggio a semplice dichiarazione di intenti. Pertanto, appellandoci alle istituzioni preposte (Assessorato Regionale, Direttori Asl, Sindaco di Napoli), si rinnova l’urgenza, nella nostra città, di politiche socio-sanitarie che forniscano gli strumenti e le risorse economiche, gli uomini e le donne, le strategie e le programmazioni necessari a definire e a sostenere il complesso e delicato processo della Salute Mentale con i suoi avanzati e reali effetti di emancipazione e benessere diffuso.

Da quanto, si costituisce un Laboratorio per La Salute Mentale che promuoverà ogni iniziativa affinché si giunga alla risoluzione dei problemi che da troppo anni si abbattono sugli utenti e le loro famiglie ma anche su tutti gli operatori impegnati in prima persona. Il Laboratorio avvierà un confronto con tutte le forze in campo, Istituzioni, Sindacati, Partiti e Movimenti, Associazioni di familiari ed utenti, Associazioni e Ordini professionali, Terzo settore, Volontariato, Università, Mondo della cultura, al fine di realizzare una valida rete di alleanze.

Inoltre il Laboratorio promuoverà l’ attuazione di una campagna capillare di sensibilizzazione pubblica (per le strade, nei servizi territoriali, sulla rete, attraverso i mezzi di informazione) sul disagio che vivono nella città di Napoli gli utenti, i familiari e gli operatori, e contemporanea, la raccolta di firme a favore di tutte le strategie necessarie al superamento dell’attuale degrado in cui versa il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Na1 Centro. [giugno 2011 laboratorio salute mentale]