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"che sarà di san severo"

“Che sarà, che sarà, che sarà… che sarà di San Severo chi lo sa!”. Cantavo questa canzone, insieme con i miei amici della parrocchia, quando don Michele e don Giuseppe Rassello ci informarono che il mandato parrocchiale era finito e che entrambi erano stati assegnati a luoghi differenti. La basilica di San Severo prima del loro arrivo era pressoché abbandonata. Negli anni ‘80/90, invece, divenne uno splendore: i due preti riuscirono a mettere su attività straordinarie e rivoluzionarie come il campeggio estivo, le attività ludiche, il doposcuola, una mensa per i poveri. Ricordo che molte persone che visitavano il quartiere cercavano di conoscere e capire chi erano questi due uomini che stavano “trasformando” le abitudini della gente del rione. La piccola catacomba divenne attrazione straordinaria, così come un gruppo enorme di giovani e giovanissimi. Io appartenevo a quello degli adolescenti, eravamo circa 100, poi c’erano i grandi e i bambini. Per circa 10 anni nel rione Sanità la Basilica di San Severo divenne un simbolo per gli abitanti del quartiere, così come i parroco e il suo vice.


A vederla adesso non si direbbe, gli annali “illustri, nobilissimi e perfetti da fare invidia a principi e reali”, sono scomparsi del tutto. Il piccolo cortile antistante la basilica è stato trasformato in campo di calcetto. Il portale della chiesa è semidistrutto, dalla facciata cadono calcinacci e pezzi di intonaco in bilico, colpa delle pallonate e dell’incuria. Non è che io sia un fautore della bellezza, di Basiliche a Napoli ce ne sono tante, ma la tristezza mi assale nel momenti in cui attraverso la piazzetta, un tempo ricca di ragazzi e ragazze, oggi lasciata in “agonia”. Dietro, Salita Cinesi, infestata dai continui rifiuti ingombranti. Quando si entra pezzi di umidità scrostati invadono la navata centrale. Ricordo che don Giuseppe Rassello diceva sempre: “questa basilica è viva”. Oggi invece è in fin di vita e muore in una eterna agonia. Non mi interessa spendere tanti soldi per restaurarla, per me può restare anche così, meglio investire risorse in un altro modo. Questo che ho scritto è solo un ricordo nostalgico, un ricordo che mi fa pensare che anche tra le pietre c’è disuguaglianza. [+blogger] 

oltre la moda

“Il gusto è gusto”, questa è una massima non sempre condivisa. Tutti pensiamo che sia giusta ma la realtà spesso è un’altra. Facciamo esempi generalizzati: un laureato del rione ama la musica classica, il blues oppure il jazz;  allo stesso modo, un lavoratore operaio che ha la terza media serale ascolta la neomelodia di Ciro Rigione e Gigi D’Alessio; in casa del primo possiamo trovare libri, mentre in quella del secondo riviste di gossip; mentre l’uno ama il cinema di Bergman, l’altro ha visto solo Scarface; in tv, il sabato sera, il laureato vede programmi di politica mentre il serale vede c’è posta per te. Queste differenze possono essere portate alle estreme conseguenze, così come la divisione netta di due mondi, di due idee, di due vite. La prima è sinonimo di eleganza, la seconda di ignoranza.

Nel quartiere alla via San Gennaro dei Poveri vive una famiglia con 4 figli, tre bambine e un adolescente. I genitori, lui ha la terza media mentre la mamma ha la quinta elementare. Tutti i figli vanno a scuola. Alla via  Luca Giordano, invece, vive una famiglia con 2 figli, un maschio e una femmina di 14 e 15 anni. Entrambi i genitori sono laureati, la mamma è medico mentre il padre è un commercialista. Se osservate i figli di entrambe le coppie la cosa diventa alquanto imbarazzante. I 4 ragazzi/bambini della prima famiglia sono di un’ educazione disarmante, non intervengono mai a sproposito, annuiscono e rispondono brevemente mai sovrapponendosi, si rivolgono con rispetto verso i genitori e verso gli adulti. L’esatto opposto sono invece i figli dei due professionisti del Vomero. Parlano Napoletano, maleducati sia a tavola che verso i genitori, non amano la scuola, la figlia preferisce già truccarsi, ha un iphone costosissimo  mentre il fratello gioca tutta la giornata con il videogame portatile, guarda la tv preferendo solo programmi calcistici.

Oggi le ragazze della Sanità (continuo a generalizzare), portano scarpe alte colorate, i cosiddetti zatteroni che un tempo, negli anni 70, venivano calzate da donne emancipate, attrici e femministe. Diversi anni fa avere una bella moto era roba da ricchi. Il tatuaggio se lo faceva solo l’ergastolano o chi aveva scontato diversi anni di galera. Le ragazze della Sanità sono cafone e prive di eleganza colpa di quelle scarpe arcobaleno; i ragazzi con le moto sono tutti buffoni e pagliacci; mentre resiste ancora il tatuaggio perché “chi ha il potere di confermare” lo ha imposto a tutti. La normalità la decidiamo giorno per giorno e quando non ci piace più pensiamo che chi la attua sbaglia incondizionatamente. Come la moda, un vestito prima è bello poi è brutto, insomma, prima se porta poi nun se porta cchiù!

Non tutti per fortuna ragionano così, ma la “stranezza” di chi ascolta un neomelodico educando i suoi figli in modo ineccepibile ed onesto rispetto a chi preferisce la musica classica e i libri senza curare la propria famiglia, non è sicuramente figlia dell’ignoranza popolana, né del gusto né della generosità. Essa è definita volta per volta da chi ha il potere di confermare e/o sconfermare la norma e, come la moda, resiste in un determinato periodo sottraendo tutto quello che di differente propone l’alterità.  Per dirla in modo diverso, laddove il linguaggio economico determina per definizione dei presupposti, le somiglianze e le definizioni cambiano a secondo degli interessi, che in seguito si trasformano in speculazione culturale. [+blogger]