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no a banche armate...

...si a difesa non armata

La guerra imperversa ormai dalla Somalia all’Iraq, dalla Siria al Sud Sudan, dal Califfato Islamico(ISIS) al Califfato di Boko Haram (Nigeria), dal Mali all’Afghanistan, dal Sudan (la guerra contro il popolo Nuba) alla Palestina, dal Centrafrica al Libano. La Libia sta sprofondando in una paurosa guerra civile di tutti contro tutti, come sta avvenendo nello Yemen. L’Ucraina sta precipitando in una carneficina che potrebbe portare l’Europa in guerra contro la Russia. E’ già ritornata la Guerra Fredda fra Russia e i paesi del Patto NATO che persegue una politica di espansione militare che va dall’Ucraina alla Georgia. “La grande Spada”, di cui parla l’Apocalisse, è ritornata a governare la terra e sospinge tutti i paesi ad armarsi fino ai denti. A livello mondiale infatti oggi si spendono quasi cinque miliardi  di dollari al giorno in armi. Solo in Italia spendiamo 70 milioni di euro al giorno in armi, senza contare i 15 miliardi di euro stanziati per gli F-35 e 5,4 miliardi per una quindicina di navi militari. Ma ancora più grave è il ritorno trionfale delle armi atomiche. Gli USA spenderanno nei prossimi anni 750 miliardi di dollari per ‘modernizzare’ il loro arsenale atomico. La lancetta dell’ “Orologio dell’apocalisse “è stata spostata dagli scienziati per il 2015, a tre minuti dalla mezzanotte della guerra nucleare, lo stesso livello del 1984, allora in piena guerra fredda. In questo contesto, dopo i fatti di Parigi, sarebbe grave che l’Occidente cadesse nella trappola mortale  di una ‘guerra santa’ contro l’Islam. Sarebbe davvero la “Terza Guerra Mondiale”. Per questo dobbiamo rilanciare con forza la nonviolenza attiva inventata da Gesù e messa in pratica da uomini come Gandhi , Martin Luther King, Nelson Mandela. Aldo Capitini. E per incamminarci su questa strada, abbiamo oggi a disposizione due strumenti importanti: la campagna per la Difesa Non Armata e Nonviolenta e la campagna contro le Banche Armate.

La prima campagna, lanciata all’Arena di Verona il 25 aprile 2014, è una raccolta di firme per una Legge di iniziativa popolare che porta il titolo :”Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa civile, non armata e nonviolenta.” L’iniziativa , sostenuta da un ampio schieramento del movimento per la pace, chiede l’istituzione e il finanziamento di un Dipartimento che comprende i corpi civili di Pace e l’Istituto di Ricerca sulla Pace e il Disarmo. Questo per dare concretezza all’articolo 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…!) e per dare fondamento istituzionale e autonomia organizzatrice al principio fondante della legge che vuole il pieno riconoscimento della difesa alternativa a quella militare , come afferma la legge n. 30 del 1998. Il finanziamento invece di questa Difesa civile dovrà venire sia dai fondi provenienti dalla riduzione delle spese per la difesa militare sia dalle possibilità dei contribuenti da destinare la quota pari al 6 per mille dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). Infatti la Difesa non armate e nonviolenta, per essere efficace, deve essere  preparata, organizzata e finanziata. Come si è sviluppato a dismisura il Genio militare deve ora svilupparsi il Genio civile per una difesa alternativa. La Campagna per essere efficace ha bisogno che in ogni regione, provincia, città e comuni si formino dei comitati per la raccolta firme che terminerà entro il 28 maggio 2015. (Per informazioni vedi :info@difesacivilenonviolenta.org.) Non possiamo accontentarci delle 50.000 firme richieste, ma dobbiamo portarne almeno mezzo milione che consegneremo al Presidente della Camera, perché la legge venga discussa al più presto in aula. Dobbiamo mobilitarci tutti in questa importante campagna.
Ma mi appello soprattutto ai vescovi, ai sacerdoti, alle comunità cristiane perché si impegnino per questa Difesa Nonviolenta che nasce proprio dall’insegnamento di Gesù di Nazareth.

In questo clima di violenza e  di guerra, non è certo un compito facile, sfidare il “complesso militare-industriale” che oggi governa il mondo. Per questo trovo significativo che allo stesso tempo della campagna di Difesa Civile, sia stata rilanciata la Campagna contro le Banche Armate , da tre riviste missionarie e nonviolente, Nigrizia, Mosaico di Pace  e Missione Oggi . Se vogliamo infatti contrastare la Difesa Armata, dobbiamo mettere in crisi la produzione e la vendita di armi (l’Italia è all’ottavo posto nel mondo per la produzione di armi pesanti e al secondo per le armi leggere). Chi finanzia la produzione e l’esportazione di armi sono le banche: le cosidette “banche armate”.  Non possiamo dichiaraci per la pace ed avere i nostri soldi in banche che finanziano le armi. E’ immorale! Oggi, grazie alla legge 185, il Parlamento italiano è obbligato ogni anno a dirci quali sono state le banche che pagano per l’export di armi italiane. Unicredit e Deutsche Bank risultano quest’anno tra le principali banche armate nella lista della presidenza del consiglio. Ma sono tante altre ad avere le mani sporche di sangue.

Questa campagna era stata lanciata già nel 2000 rivolta soprattutto ai vescovi, parroci, responsabili di istituti religiosi . Purtroppo pochi hanno risposto in questi 15 anni!  Eppure  la pace è il cuore del Vangelo! Per questo la rilanciamo con forza, chiedendo ai nostri vescovi, parroci, responsabili degli istituti religiosi di scrivere alla direzione della propria banca per chiedere se è coinvolta nel commercio delle armi. In caso di risposta vaga o di non risposta, chiediamo di interrompere i rapporti con la banca,rendendo pubblica la scelta.Mi appello , in particolare, alle comunità cristiane perché le trovo ancora “fredde”. Ma ci appelliamo a tutti i cittadini perché insieme, credenti e non, diamo una mano perché le nostre banche impieghino i soldi per la pace, non per la guerra.(Per ulteriori informazioni vedi i siti di Nigrizia,  Mosaico di Pace  e Missione Oggi e quello della Campagna :www.banche armate.it, dove troverete anche un fac-simile di lettera da inviare alla ‘banca armata’).
E’ ancora una delle tragedie nella storia dell’umanità che, come diceva Gesù, “ i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce!” Diamoci tutti da fare perché vinca la Vita. [alex zanotelli]

alternativa

È il decimo anniversario delle spaventose stragi dell’11 settembre 2001, che a detta di tutti hanno cambiato il mondo. Le conseguenze di quegli attentati sono indiscutibili. Tanto per limitarci all’Asia occidentale e centrale, diremo che da allora l’Afghanistan sopravvive a stento, l’Iraq è stato devastato e il Pakistan è sempre più sull’orlo di una crisi che potrebbe rivelarsi catastrofica.

Il 1 maggio di quest’anno Osama bin Laden è stato assassinato proprio in Pakistan, e in quel paese si sono registrate anche le conseguenze più significative dell’11 settembre. A febbraio uno dei massimi specialisti di questioni pachistane, lo storico militare britannico Anatol Lieven, ha scritto sulla rivista The National Interest che la guerra in Afghanistan “sta destabilizzando e radicalizzando il Pakistan, e questo comporta, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo, il rischio di una catastrofe geopolitica che farebbe impallidire qualsiasi cosa possa mai accadere in Afghanistan”.

A tutti i livelli della società pachistana, scrive ancora Lieven, si registrano consensi nei confronti dei taliban afgani: non perché i pachistani li amino, ma perché li considerano “una legittima forza di resistenza contro l’occupazione straniera”, proprio come venivano visti i mujahidin afgani negli anni ottanta, quando lottavano contro i sovietici.

Questi sentimenti sono condivisi dai militari pachistani, che detestano Washington perché li ha coinvolti nella guerra contro i taliban. In Pakistan le forze armate sono un’istituzione stabile, quella che tiene insieme il paese. Gli interventi statunitensi rischiano, scrive ancora Lieven, “di provocare rivolte in alcuni settori dell’esercito”. Se dovesse succedere, “lo stato pachistano si disgregherebbe rapidamente, con tutte le disastrose conseguenze del caso”. Aggravate dal fatto che il Pakistan possiede un arsenale nucleare enorme e che nel paese esiste un forte movimento jihadista. Nel suo libro, Lieven sintetizza così la sua tesi: “Si può dire che i militari americani e britannici vanno a morire in Afghanistan per rendere il mondo più pericoloso per il popolo americano e per quello britannico”.

Più di un analista ha osservato che nella sua guerra contro gli Stati Uniti, Osama bin Laden ha ottenuto alcuni importanti successi. Per esempio, nel numero di maggio di The American Conservative, Eric S. Margolis scrive: “Osama ha ripetutamente affermato che l’unico modo per cacciare gli Stati Uniti dal mondo musulmano è attirare gli americani in una serie di guerre piccole ma costose, che alla fine li mandino in fallimento”. E subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si è capito che Washington era decisa a realizzare gli obiettivi di Bin Laden. Michael Scheuer è un analista della Cia che ha seguito le tracce di Bin Laden dal 1996.

Nel suo libro del 2004, Imperial hubris, Scheuer scrive: “Bin Laden è stato chiarissimo quando ha spiegato all’America per quali motivi ci fa la guerra. Vuole modificare la politica degli Stati Uniti, e di tutto l’occidente, verso il mondo islamico”, e in larga misura è riuscito a farlo. Prosegue Scheuer: “Le scelte politiche statunitensi stanno causando la radicalizzazione del mondo islamico, cosa che Osama bin Laden aveva tentato di fare con un successo relativo, fin dai primi anni novanta. Quindi mi sembra lecito concludere che Washington rimane l’unico alleato indispensabile di Osama bin Laden”. E si può dire che continui a esserlo anche dopo la sua morte.

La sequenza di orrori che ha segnato questi dieci anni fa sorgere una domanda: c’era un’alternativa alla reazione dell’occidente agli attentati dell’11 settembre? Dopo le stragi del 2001, il movimento jihadista, in gran parte critico verso Bin Laden, si sarebbe potuto dividere e neutralizzare se il “crimine contro l’umanità” – come quegli attentati sono stati giustamente definiti – fosse stato affrontato appunto come un crimine, cioè con un’operazione internazionale per catturare i presunti responsabili. Ma nella fretta di fare la guerra quest’idea non è stata neanche presa in considerazione. Anche se Osama bin Laden era stato condannato in gran parte del mondo arabo per gli attentati.

Al momento della sua uccisione Bin Laden era da tempo una figura sempre più sbiadita, e negli ultimi mesi era stato eclissato anche dalla primavera araba. Il suo peso è stato ben descritto dal titolo di un articolo pubblicato sul New York Times da Gilles Kepel, noto specialista di questioni mediorientali: “Bin Laden era già morto”. Quel titolo avrebbe potuto essere fatto molto tempo prima, se gli Stati Uniti, con il loro attacco per rappresaglia contro l’Afghanistan e l’Iraq, non avessero mobilitato il movimento jihadista. Certo, nei gruppi jihadisti Osama bin Laden era venerato come un simbolo, ma ormai non sembra che avesse più un ruolo di primo piano all’interno di Al Qaeda, divisa in sezioni che agiscono spesso in modo indipendente.

Insomma, anche i dati di fatto più evidenti e più elementari di questo decennio ci spingono a riflessioni amare nel momento in cui valutiamo l’11 settembre, le sue conseguenze e le ipotesi sul futuro. [noam chomsky - internazionale 2/9/'11]