Il fatto che il governo di Silvio Berlusconi possa imporre alla televisione Pubblica la sospensione di alcune trasmissioni è allarmante. Che poi la Rai ubbidisca a questo perverso divieto, accettando di perdere milioni di euro, dimostra la sua totale soggezione alla politica. Tutto questo rivela come in Italia si stia affermando una specie di putinismo strisciante, nel quale lo zar di turno pretende di imporre il suo volere a tutti. Tuttavia definire la sospensione dei talk show come la “morte dell’informazione” mi sembra esagerato. Questi programmi peccano di un vizio antico del sistema televisivo italiano, da sempre infestato dalla politica: sono un palcoscenico per la partitocrazia. Una ribalta riservata a un ristrettissimo giro di addetti ai lavori, al massimo un centinaio di persone. Quasi l’80 per cento sono maschi tra i 45 e 65 anni, cioè rappresentativi di una piccola fetta della popolazione. Sono facce note da quindici anni e dicono cose scontate.
C’è Maurizio Gasparri che ripete da anni gli stessi ritornelli, Antonio Di Pietro che dà del mafioso al premier, Fabrizio Cicchitto che si scaglia contro gli ex compagni della sinistra, Pier Ferdinando Casini che si esercita nell’abusato ruolo del terzista. Ci sono Ignazio La Russa che smentisce le divisioni interne al Pdl, Francesco Rutelli, approdato al suo quinto partito, Rosy Bindi e Maurizio Lupi che s’interrompono a vicenda e Daniele Capezzone nel nuovo ruolo di chierichetto del Cavaliere. Ci sono Pier Luigi Bersani e Roberto Castelli che si smentiscono a vicenda. Ogni tanto si fanno vedere anche Vittorio Sgarbi e Daniela Santanchè, che non rappresentano nessuno, ma garantiscono scintille. Che i talk show non siano lo specchio della realtà italiana lo dimostra la scarsa presenza femminile. Anche nei salotti “di sinistra” di Floris e Santoro le donne, che sono la maggioranza del paese, vengono discriminate in modo eclatante: di solito ce n’è una ogni tre uomini. Nel talk show femminile di Ilaria D’Amico la percentuale scende al 5 per cento. Anche la società civile è assente.
Avete mai visto in studio una di quelle maestre delle elementari a cui il paese deve tanto? Un artigiano strozzato dalla crisi? Un laureato precario costretto a lavorare per 800 euro al mese in un call center? Uno dei milioni di pendolari che ogni mattina affollano i treni italiani? Ogni tanto qualche economista collegato via satellite aspetta pazientemente il suo turno per dire la sua in non più di un minuto. Anche i giovani sono ignorati: di ospiti sotto i 35 anni non se ne vedono praticamente mai. moderatori, che a volte si comportano come delle dive, non cercano l’approfondimento pacato ma i colpi di scena e la rissa verbale, utili a far salire l’audience: prima va in onda la predica di Travaglio, poi Belpietro può attaccare a testa bassa. In molte trasmissioni un confronto civile sembra impossibile. L’invadenza della politica è un’anomalia tutta italiana. La cancelliera tedesca Angela Merkel nell’ultima legislatura è andata in tv una sola volta: una scelta che è stata criticata anche dai suoi elettori. Molti giornalisti che oggi attaccano giustamente l’atteggiamento prepotente e censorio della politica sulla tv hanno contribuito alla crescita di questo fenomeno malato. Perché, invece di lamentarsi soltanto, non si decidono a invitare meno politici e ad aprire i loro salotti alla società civile, alle donne, ai giovani, alle forze creative del paese? [gerhard mumelter - internazionale 839]
7 commenti:
gli dico sempre a mio figlio che a volte si incanta a guardare la tv, "Michele, la televisione è cacca", questo lo diceva sempre don giuseppe rassello.....
ma che guardat a fa a ti sciem, sta gent e cac,
ttosto mi dico che con tutta la schifezza che sta in tv,imporre il canone equivale ad una vera e propria rapina autorizzata.
Ma non vi ricordate che anche dalla pagina di questo blog sono state denunciate le macagne televisive. quando giravano le telecamere di Santoro per anno zero nel rione chi prendeva informazioni per poi intervistare faceva in modo che le cose andassero sempre per il verso che piaceva a loro e al pubblico. insomma in gergo si dice che le informazioni sono criptate, mezze verità come del resto la nostra cultura ci ha insegnato in questi ultimi 30anni.
CHI CI CAPISCE QUALCOSA DI QUESTA ITALIA E' UN SANTO MARTIRE E DECAPITATO...
Probabilmente il paragone più efficace è con le sigarette.
Oggi perfino i fumatori più accaniti ammettono che era assurdo quando si fumava negli ospedali o sugli autobus e si pensava che le sigarette facessero venire solo un po’ di tosse. Arriverà il giorno in cui ripenseremo con stupore
e vergogna a quanta carne mangiavamo. Il nuovo libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa, ha il merito di non
voler convincere a tutti i costi. Lo scrittore americano racconta quello che ha visto negli allevamenti intensivi. E mette in fila i numeri. L’industria della carne vale 150 miliardi di dollari, mangiamo 50 miliardi di animali all’anno, gli allevamenti occupano
un terzo delle terre emerse del pianeta e sono una delle principali cause del cambiamento climatico. Safran Foer la definisce una guerra, una barbarie industriale
combattuta usando tecniche di
manipolazione genetica. Gli animali sono nutriti con diete a base di farmaci, allevati in condizioni igieniche oscene, privati
della loro mobilità, uccisi con sofferenze insopportabili. Sono ridotti a merci in una
catena di montaggio che ha come unico
obiettivo fare più soldi. Mangiare o non
mangiare animali è uno di quegli argomenti
che non lasciano indiferenti. Segno
che il cibo è di gran lunga più importante
del suo scopo primario. E può essere
un buon argomento di discussione a tavola,
anche il giorno di Pasqua. Possibilmente
prima che arrivi l’agnello al forno.
la tv di stato è diventata tv privata, noi paghiamo per vedere, noi siamo quelli che paghiamo i vertici della rai, quelli che girano con macchine super ma provate ad entrare? andate a viale mazzini, e vedete se vi fanno varcare almeno la soglia. questo è un esempio di come la democrazia ci prende in giro
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