il dilemma degli aiuti umanitari

Immaginate di essere un operatore umanitario che lavora per un’organizzazione che porta aiuti nei paesi in guerra. Vi trovate in una zona di conflitto e siete fedele ai principi di imparzialità e neutralità stabiliti dalla Croce rossa. La vostra unica responsabilità è alleviare le sofferenze umane, indipendentemente dalla situazione e da chi siano le vittime. State lavorando in un campo profughi in Darfur: fate il possibile per le vittime, ma i vostri sforzi sono strumentalizzati dalle truppe governative e dai ribelli. Chiedono soldi per ogni pozzo che scavate e impongono percentuali esorbitanti su tutti i sacchi di riso, le tende e i farmaci che fate arrivare. Vendono una parte dei vostri aiuti e con il ricavato comprano armi che usano per uccidere o per costringere altre persone a rifugiarsi nel campo profughi. Che fate? Continuate a fare il possibile per le vittime convinti che ogni singola vita salvata vale il costo che impone? Oppure decidete che in questo contesto imparzialità e neutralità non valgono più, e andate ad aiutare le vittime da un’altra parte? Nel 1863 Henri Dunant e altri notabili ginevrini fondarono il Comitato internazionale della croce rossa (Cicr), precursore di tutte le organizzazioni umanitarie. Fornire aiuti in tempo di guerra è un dovere, e ricevere aiuto è un diritto in ogni circostanza e per chiunque. I principi umanitari adottati dal Comitato internazionale sono poi stati adottati dalle Convenzioni di Ginevra. Nel secolo e mezzo trascorso dalla fondazione del Cicr, i suoi principi sono rimasti immutati, mentre i conflitti sono molto cambiati. Oggi le guerre sono quasi tutte guerre civili, combattute da milizie irregolari. Oggi le organizzazioni umanitarie portano il loro aiuto in Congo, Somalia, Sierra Leone, Etiopia e Sudan, paesi dove le fazioni in guerra di solito hanno come primo obiettivo massacrare il maggior numero possibile di civili che sostengono il nemico o cacciarli dalle zone in cui abitano. Le organizzazioni umanitarie portano assistenza ovunque possono, ma sono alla mercè dei capricciosi poteri locali – signori della guerra, ribelli, cellule terroristiche, generali bambini e capi milizia – cioè di chiunque abbia in mano la distribuzione degli aiuti umanitari a qualunque livello, da quello nazionale fino al singolo villaggio. Sono loro a decidere il prezzo che le organizzazioni dovranno pagare per poter raggiungere le vittime. Si dice che trattare con i poteri locali è come “stringere la mano al demonio”. Negli anni ottanta, nei campi profughi delle Nazioni Unite in Cambogia, i khmer rossi riuscirono a mettere le mani su una quota tra il 50 e l’80 per cento di tutti gli aiuti alimentari e sanitari. Più o meno nello stesso periodo, nei campi profughi del Pakistan si addestravano i futuri combattenti taliban. Negli anni novanta, poi, grazie agli aiuti internazionali, gli estremisti hutu ruandesi rifugiati nell’est dell’allora Zaire riuscirono a continuare la loro offensiva per sterminare i tutsi del Ruanda. E ancora: in alcune zone della ex Jugoslavia l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati fu costretto a cedere ai miliziani serbi più del 30 per cento degli aiuti alimentari. Oggi in Somalia alcuni signori della guerra pretendono che l’80 per cento degli aiuti arrivi ai loro uomini. E in Darfur ben 130ong internazionali versano ogni anno milioni di dollari al regime di Khartoum, mentre all’interno dei campi profughi i ribelli sottraggono altri milioni in provviste e materiali. Gli aiuti umanitari sono diventati un’industria. Secondo stime del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), le ong che operano sulla scena internazionale sono più di 37mila. E le fazioni in lotta nelle guerre civili di tutto il mondo tentano di usare gli aiuti per dar da mangiare alle proprie truppe o per comprare armi. Il valore degli aiuti umanitari è di circa sei miliardi di dollari all’anno, senza contare i miliardi investiti dai militari occidentali in progetti “per conquistare il cuore e la mente delle popolazioni” nei paesi che si trovano sul fronte della guerra al terrorismo. Le cifre in gioco sono così alte che il problema di un uso distorto degli aiuti è urgentissimo. Eppure le organizzazioni umanitarie non lo affrontano, anzi, stanno zitte, per paura di veder diminuire le donazioni. Usano come scudo la purezza dei loro principi di neutralità e imparzialità. Dal loro punto di vista, il dovere umanitario di aiutare chi soffre deve prevalere sui vergognosi abusi che se ne fanno. Lasciano alla “politica” il compito di trovare una soluzione ai problemi causati da queste violazioni. Ma se anche la politica sfugge alle sue responsabilità, le organizzazioni umanitarie dovrebbero issare un limite oltre il quale l’uso distorto degli aiuti non è più tollerabile. Grazie agli aiuti, alcune guerre rischiano di durare più a lungo e di provocare più vittime. Quando è il momento di andarsene? È in gioco il destino delle vittime ed è una scelta su cui bisogna riflettere di continuo. [Linda Polman, Internazionale 822]

5 commenti:

Abu Abbas ha detto...

Ciao a tutti.
aldilà dell'idealismo puro, non dobbiamo dimenticare che quando pèarliamo di guerra e aiuti alla popolazione è fondamentale considerare l'aspetto economico e distorsivo degli aiuti umanitari che vengono di fatto pilotati dalle "aziende" private, contractors ecc. che operano in zone di guerra. In iraq ad esempio, le ONG o le organizzazioni umanitarie si appoggiano alle compagnie private che forniscono sicurezza agli operatori e ai volontari. le organizzazioni umanitarie diventano cioè dei nuovi clienti per le compagnie private. questo per due motivi:
1- le org. umanitarie operano in scenari dove le comp. private sono già impegnate ed hanno solidi punti di riferimento(con i governi, con le multinazionali ecc.)quindi dotate di un dispiegamento più veloce e capillare
2- le organizz. umanitarie, che traggono fondi dalla comunità internaz. o dall'opinione pubblica, sono più affidabili nei pagamenti degli usuali datori di lavoro delle compagnie private, nonchè durature nel tempo (dovendo occuparsi anche della ricostruzione sociale e materiale).
E' stato calcolato che la fetta più profittevole proviene dallo sminamento, condotto in vari luoghi del mondo, con un giro d'affari di 400 milioni di dollari.
Le ONG , sempre più cercano la collaborazione con le aziende di sicurezza private, per impedire di subire perdite fra i volontari o di vedere saccheggiate le risorse e gli aiuti materiali per le popolazioni.
E' ovvio che tutto ciò comporta un pesante inquinamento dell'intervento umanitario( di per sè universale e neutrale) e una frattura nel tessuto sociale: nascita di gruppi armati contrapposti, focalizzazione della protezione solo sugli operatori stranieri e non sulla popolazione locale, con una segregazione che ripropone la distanza tra ricchi e poveri, svantagiati e avvantagiati.
In sostanza, l'intervento umanitario, che si affida alla sicurezza delle compagnie private (e questo è sempre più frequente) perde quelle caratteristiche di neutralità (di sicuro non lo sono le compagnie private a cui è demandata la sicurezza e la vita dei volontari) rafforzando l'idea che il potere e la sicurezza appartengono solo a chi se lo può permettere in termini di denaro.
Meditate fratelli.

Anonimo ha detto...

è vero comunque a volte dietro gli aiuti umanitari si nascondono vere e proprie organizzazioni criminali che si celano dietro mentite spoglie non è che non dobbiamo fidarci più di nessuno ma in questi casi chi realmente è immune da illeciti? io credo che solo a livello individuale si possa trovare una brava e buona persona e soprattutto quando non ci sono in ballo interessi economici.

Anonimo ha detto...

http://www.lindapolman.nl

Anonimo ha detto...

oggi ho visto nel quartiere i manifesti funerari di Manuela Rodrigez la mamma del piccolo Evlis. Domani la celebrazione alle ore 10,30 nella basilica di s.m. della sanità, comunemente conosciuta come la chiesa di san Vincenzo.

Anonimo ha detto...

chi ha visto realmente lavorare la croce rossa non può fare a meno di pensare che moltissimi sacrifici nella vita sono stati fatti da uomini e donne che non hanno nemmeno avuto un briciolo di riconoscenza. sono uomini e donne che mettono a repentaglio la loro vita, e non per ammazzare o per sottomettere ma solo per salvare e aiutare. il dilemma più grave non è l'usurpazione che fanno i regimi, il dilemma è chiudere una volta e per sempre con le guerre ingiuste e assurde. d'altronde anche chi combatte spesso lo fa per ninte, per gli ideali, o per soldi come fanno parecchi soldati. insomma noi tutti dovremmo unirci contro le avversità-- ma è un problema troppo grande, dovremmo capire la creazione del mondo.