E’ da qualche settimana che girano le ronde nel nostro rione. Ragazzi molto giovano in cerca di lavoro e di gloria. In realtà è da parecchi anni che si vedono, anche se ogni tanto scompaiono, per poi riapparire massicciamente e ri-sparire successivamente. Sono i ragazzi che si definiscono del “telefono”, sì è proprio così, se li senti dicono proprio così: “siamo del telefono”. Sono i precari che lavorano per le compagnie telefoniche e che cercano di “appioppare” un nuovo contratto con la scusa di un risparmio considerevole sulla bolletta. Spesso non sanno neanche parlare bene l’italiano, cercano di convincere le persone, che non ha nemmeno il telefono, ad abbonarsi con vantaggi e benefici. In realtà sono ragazzi che non sanno nulla di contratti, né di rete fissa né internet, e se ne sanno, vi assicuro, è veramente poco. La colpa non è di questi poveri “appioppatori” male addestrati e poco professionali; in realtà la colpa è di un sistema che recluta vergogna in cerca di soldi. Chi fa questo “mestiere” ha la dignità di lavoratore onesto, un giovane diplomato ceca di guadagnarsi da vivere, anche se un perfido economista decide come e quando bisogna guadagnare e mangiare. In verità mi fanno “pena” questi ragazzi ben vestiti, con camicia, pantalone classico, cartellina e penna in bella vista. Questi ragazzi sono i management del futuro, quelli su cui la società deve contare per progredire e aiutare; essi non hanno nessuna colpa, la sola responsabilità è di chi sta a capo di un bordello economico. Pur per far soldi la formazione non basta, basta la furbizia e la subordinazione. “Dici di si e cerca di fottere gl’altri”, campa tu… “io voglio la botte piena e la moglie ubriaca”. È la lotta per la sopravvivenza al lavoro, per l’incompetenza politica, per la tragicità. È l’umana pietas di un lavoro che non ha lavoro, di una economia che non è economia, di un sistema che non è un sistema. Cosa aspettarsi per le prossime consulenze? La legge di uno studioso dice: “si occupa sempre un posto da incompetenti, ecco perché il carro tira avanti…”. Non è una massima è l’inettitudine figlia del mercato. [+Blogger ].
5 commenti:
Caro Blogger, secondo me la falla è una. In realtà lo dici anche tu alla fine del post: la maggior parte degli imprenditori di oggi sa poco o niente di quello che fa e soprattutto di ciò che fanno i suoi dipendenti. Hai ragione, non è colpa delle manovalanze. Il problema sono questi aspiranti manager che si buttano sul mercato senza le competenze necessarie forti di un grosso "portafoglio" e soprattutto con la "complicità" di tutte quelle persone che hanno la necessità di portare la pagnotta a casa e che anche loro si buttano a fare qualsiasi cosa...con la differenza che l'imprenditore improvvisato ha dalla sua la legge, mentre il dipendente può essere sbattuto fuori in qualsiasi momento e senza neanche un arrivederci e grazie. Non capisco perchè sia così difficile comprendere che il personale è una risorsa fondamentale dell'azienda, che va educato, aggiornato e sul quale si fanno continui investimenti. sarebbe un vantaggio per i dipendenti ma soprattutto per l'azienda. Per investimento intendo ovviamente anche quello economico. Non ci vuole un genio per capire che un cittadino con più soldi a disposizione fa anche muovere di più il mercato. Non voglio fare certo una lezione di economia, credo solo che sia necessario che le persone prendano coscienza del fatto che possono essere indispensabili per l'economia, che è importante acquisire delle competenze e farle valere. Fin quando ci starà bene il contentino di fine mese a questi imprenditori da strapazzo sarà sempre permesso di fare il bello e il cattivo tempo sui contratti di lavoro.
è vero ed è triste la realtà ci offre solo povertà per adesso, solo che la nostra non è morirci di fame ma vergognarci. A.C.
RONDE RONDE NEL QUARTIERE MA MEGLIO LAVORARE CHE RUBARE. ALFIO
POVERO LAVORO E POVERI NOI CHE FACCIAMO PARTE DI QUESTA DISGUSTOSA SUCIETA' DEL CONSUMO E DELL'INETTITUDINE. UN PROFONDO RAMMARICO SENTO NEL MOMENTO IN CUI LEGGO QUESTE SCHIFEZZE, MI SENTI DEBOLE DI FRONTE A TANTO DEGRADO MORALE.
L’articolo 1 della Costituzione Italiana recitava nel 1946 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Nel 2009 è ancora possibile considerare il lavoro come un diritto?
L’intento che mi sono proposta di perseguire, attraverso la stesura del mio lavoro, è stato quello di intraprendere e continuare una riflessione relativa ad una tematica tanto ampia quanto attuale come le evoluzioni del mercato del lavoro e del ruolo dei suoi attori sociali nel corso dell’ultimo decennio ed in virtù dei cambiamenti politici e normativi occorsi, muovendo dall’enucleazione di fenomeni sociali ed economici quali il Fordismo, il Post-Fordismo e la Globalizzazione dei mercati.
Sulla scia di autorevoli pareri di alcuni giuslavoristi, è stata centrale la comprensione delle dinamiche evolutive sia economiche che sociali, appartenenti al passato, e che hanno caratterizzato l’accesso al mondo del lavoro, fino ad arrivare ai giorni nostri in particolar modo in Italia, dove la recessione economica ha attuato meccanismi tali per cui l’intervento della legge Treu nel 1997 e della Legge 30 nel 2003, detta anche legge Biagi, ha apportato notevoli modifiche alle dinamiche di accesso al lavoro, rendendo quest’ultimo foriero di fenomeni quali la flessibilità e la sua degenerazione in precarietà.
La scelta di analizzare quattro tipologie contrattuali cosiddette flessibili, quali il contratto di inserimento, di somministrazione lavoro, il contratto a tempo determinato ed infine il part-time, mi è stata indispensabile al fine di comprendere da un lato in che modo il nuovo sistema di accesso al lavoro sia arrivato ad incidere sui rapporti professionali tra imprese e lavoratori e sui diritti di questi ultimi anche in base ai mutamenti legislativi che politicamente hanno avuto luogo. Tale impostazione ricostruttiva mi ha permesso di evidenziare come si sia diversamente conformata e modificata l’identità del lavoratore flessibile, o lavoratore precario. Servendomi quindi di variegate testimonianze letterarie e scrutando di tanto in tanto la stampa estera e le novità economiche europee che hanno fatto capolino in Italia negli scorsi mesi, ho cercato di delineare il profilo del lavoratore atipico, tipica figura “contrattuale” dei nostri tempi, tanto “amata” dalle aziende, quanto portatrice di precarietà per l’incerto futuro delle giovani leve, ma anche dei meno giovani, i quali sognano il posto fisso e considerano ancora il lavoro come un diritto inoppugnabile.
Ovviamente la mia analisi non ha avuto la pretesa di poter trovare risposte valide per tutti o soluzioni pronte per soccorrere gli aspiranti lavoratori in cerca di un’occupazione.
Quel che è certo è che la vasta rosa di autorevoli pareri di cui mi sono avvalsa, tra cui Pietro Ichino, Adalberto Perulli e Pier Giovanni Alleva, mi ha permesso di constatare da un lato come anche in un momento di recessione economica in cui oggi versa l’Italia, alcune imprese non abbiano interrotto le assunzioni e che l’accesso al lavoro sia aumentato anche per effetto dell’introduzione di contratti flessibili, dall’altro proprio a causa dell’abuso di tali fattispecie contrattuali, la precarietà oggi domina il mondo del lavoro e di conseguenza anche la situazione occupazionale e soprattutto personale di milioni di lavoratori sottoposti al regime della flessibilità lavorativa. È proprio a questi ultimi ed alla tutela del loro diritto al lavoro e alla stabilità che deve andare il pensiero dei Governi, di qualunque colore essi siano.
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