surplus culturale

Napoli è una città protetta, lo è sempre stato fin dalle suo origini. I terremoti e le calamità naturali hanno sempre risparmiato la città partenopea. San Gennaro in primis tra gli artefici della gamma virtuosa di uomini straordinari, ma sarebbe troppo lunga la sfilza di religiosi da citare. Una “profezia che si autoadempie”, la voglia di sopravvivere, di scherzare con la morte, di farsela amica, un miscuglio di idee, passioni, amore, paura, attese. Ma l’arte della teoria è qualcosa di diverso dalla pratica illuminata nel suo divenire. Noi abbiamo la possibilità di provare che tutto è vero se realmente crediamo a tale verità, anzi essa è tangibile nella mente del singolo e molto spesso anche nella mente collettiva. Naturalmente con le dovute differenze tra malattia e superstizione, quello che nasce è una forma cultuale “alta”, qualcosa di altro dal di fuori, qualcosa che si forgia dentro naturalmente. Spesso una forma poetica, ma anche un semplice morso di tarantola (come nella “terra del rimorso” di E. De Martino), il sangue che si liquefa, le mani con le stimmate, la visione celeste.

L’uomo si protegge, la mamma protegge i suoi piccoli, anche con la preghiera e la vocazione; chi non crede s’aggrappa alla materia che ha sempre una sua giustificazione. Vivere nell’oblio è n’u scuore. Così come la jella è una forma di protezione, la causa che risolve le cose; il rito preclude tutta una serie di inadempienze. Un’altra caratteristica è la mancanza, un “sentimento” che non può essere accettato se si è pari. In passato c’erano i ceti, oggi c’è la finanza che nella sua più diretta espressione mette in relazione la ricchezza con un Dio. Un esempio inversamente proporzionale: il cimitero di Poggioreale di Napoli. Se con l’espressione “Signore onnipotente” si alzano gli occhi al cielo, con la stessa onnipotenza, invece, nel cimitero napoletano quanto più s’abbassano gli occhi tanto più si acquistano prestigi e favori. Per il mondo dei trapassati il diavolo non conta anche se appena sotto i piedi. L’ultimo loculo situato all’ultimo piano di una palazzina e materialmente più vicino al cielo, è considerato dai vivi poco redditizio, mentre ai piani inferiori il prezzo sale vertiginosamente. Insomma una forma di protezione dal basso. Eppure le credenze superano di gran lunga la razionalità, credere senza aver mai visto e sentito, gli esseri umani proteggono se stessi e santificano giorno per giorno le loro fatiche.

Qui c’è una componente, qualcosa che plasma l’essere, il divenire e la sua cultura. Qui c’è un illuminismo che rende magica la jella e lo jettatore. Napoli non è una città contraddittoria, Napoli sconta migliaia di governanti che hanno parlato lingue differenti. Ed anche da questi ultimi i napoletani si sono difesi. La difesa è una condizione umana che pone sempre e comunque delle strategie per sopravvivere. Da questa condizione nasce non una vita parallela ma una ricchezza, una condizione umana che s’interseca nella quotidiana rassegnazione, nell’esistenza continua ed esasperata (conoscere questo surplus culturale è importante).  Proteggersi e proteggere diventa una condizione fondamentale, la costruzione della realtà che parte dalla presenza di una entità che con forza afferma la sua storia. Il male fatto a me, e che mi attanaglia, non mi appartiene, il sangue mi preserva, il rito lenisce il mio dolore, lo jettatore è la mia speranza.

Forme di protezione, forme di mancanza, una forza incontenibile, un plasmarsi di esperienze, di interazioni continue, un continuo nel divenire; così oggi nell’attesa come nella vita, nel sogno come nei numeri a lotto. Questa energia è nuova, nasce e sbilancia, un  moto spontaneo che non potrà essere arrestato. Il Vesuvio ci protegge, san Gennaro ci protegge, la lava dei Vergini ci protegge, rito pagano o religioso che sia è una forza collettiva che non conosce fine. [+blogger]

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