La morte sui social

Una nuova forma di elaborazione del lutto sostituisce in parte il lamento rituale e la tristezza individuale. Una condizione di "benessere" e condivisione che trasporta il caro estinto nel mondo dei morti. Faccine tristi, che lacrimano, che piangono ininterrottamente, un segno di preghiera, una poesia, una foto, scritte con "ciao mamma, ciao papà, caro zio, caro amico...". 

Una condizione esistenziale scandisce l'ultimo rito di passaggio, la forma prende un nuovo corpo immateriale, l'effetto è quello di lenire il dolore rimandandolo a pezzetti nel cyberspace. Lo scandalo della morte condivisa nell'etere, che attraversa confini inimmaginabili, così come il pensiero, è forma ancestrale che unisce la sorte, che si adopera per definirla, per resisterla, per vincerla.

Una forma di dolore collettivo che lenisce all'aumentare dello spazio. La solidarietà placa il dispiacere, da sempre essa rende gli uomini più forti e la vita meno dura. Dio si manifesta alle persone, prima attraverso la condivisione affettiva, oggi anche con la condivisione digitale. La vita liquida è permanente, è vita reale, è gruppo di scambio nella buona e nella cattiva sorte.

Internet è la nostra vita, ci rende più forti e forse meno soli. In realtà si può anche affermare il contrario, che la visibilità, proprio perché liquida, è inesistente. Un fatto è certo. Ogni forma di comunicazione scandisce una rottura, una forma di concretizzazione che legittima e unisce, proprio per questo essa è collante sociale per l'esistenza. Che sia un bene o un male questo dipende dalle circostanze, che sia indispensabile è una verità. [+blogger]

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Internet, appunto, si chiama anche vita virtuale o parallela, quindi la critica negativa non esiste. Gli uomini si sentono liberi di scegliere tutte le alternative possibili di vita anche se è comica o tragica. Se quest'articolo critica negativamente la realtà virtuale è totalmente sbagliato.

Sara ha detto...

questo articolo secondo me analizza solo una nuova forma di esternalizzazione del dolore, non la critica nè l'appoggia. Evidenzia solo il bisogno attuale di mettere in "piazza" il proprio dolore, per "condividerlo" in qualche modo e lenirlo.