(Appello per la salute mentale nella città di Napoli) Nella città di Napoli, le contraddizioni emergenti negli ultimi anni, a causa della crisi dello sviluppo socio-economico e della fine del welfare, del malaffare politico-amministrativo, dei fenomeni di immigrazione e di neo-emigrazione, hanno raggiunto la loro massima espressione, producendo ulteriore degrado sociale e istituzionale, impoverimento diffuso, collasso delle reti di solidarietà e imbarbarimento dei costumi.
Di fronte a queste profonde ferite, le pratiche della psichiatria si stanno sempre più conformando al ‘mandato sotterraneo’ di ammortizzatori di conflitti e disagi sociali. E ci riferiamo non solo a quella psichiatria da discarica che diventa contenitore provvisorio o definitivo di comportamenti devianti ma anche a quella psichiatria che collude con la richiesta di confezionare risposte individuali a difficoltà sociali (insicurezza, emarginazione, violenze, ricatto e maltrattamenti, disoccupazione, povertà, immigrazione etc.) attraverso l’utilizzo, privo di ogni razionale scientifico, di psicofarmaci, psicoterapie e ricoveri.
Perciò, riteniamo che sia giunto il tempo, ora più che mai, di riprendere con forza la riflessione sul “quotidiano” della Salute Mentale, se vogliamo arginare il rischio che i servizi territoriali diventino meri ambulatori, le case famiglia cronicari ed i centri diurni ghetti sociali. E’ innegabile che un superato modello ideologico di intendere la cura psichiatrica, che richiedeva uno stile di lavoro oblativo e basato sull’onnipotenza, volto ad un’etica del sacrificio in nome di una “grande causa”, ha contribuito ad un senso di fallimento diffuso, di frustrazione, di vero e proprio burn-out fra gli operatori, favorendo comportamenti di evitamento e di fuga dalla professione ( i cosiddetti ‘imboscati’). Di contro, va certamente riconosciuto l’impegno di tutti coloro che quotidianamente incontrano e supportano la sofferenza psichica e fra mille difficoltà contribuiscono, giorno dopo giorno, a quel progetto collettivo che definiamo Salute Mentale: oltre la psichiatria, la Salute Mentale per noi significa ancora “prendersi cura” della persona nella sua indissolubile unità bio-psico-culturale, verso la lenta ricostruzione di una storia interrotta e alla ricomposizione della sua trama relazionale; oltre il paradigma bio-medico, la Salute Mentale significa ancora riattivazione di risorse familiari e collettive a sostegno della crisi individuale; oltre la tentazione di rimozione della follia, la Salute Mentale significa ancora accoglienza, condivisione della sofferenza, rapporti reciproci di aiuto; oltre le logiche violente dell’abbandono e dell’espulsione, la Salute Mentale significa ancora riappropriazione di diritti, diritto di cittadinanza e potere sociale; oltre l’impotenza e la solitudine la Salute Mentale significa ancora partecipazione allargata ai processi di cura di nuovi e fecondi soggetti collettivi: sociali (il quartiere e la città, il terzo settore, il volontariato laico e religioso), istituzionali (comune, municipalità, associazioni, impresa sociale) culturali (università, scuole di formazioni, il mondo dell’arte).
La Salute Mentale si rappresenta come un progetto avanzato di cura del disagio e del dolore psichico, calato nella complessità socio-culturale della vita, che va oltre gli specifici saperi, (psichiatrico-psicologico-psicofarmacologico-psicoriabilitativo-neuroscientifico,etc), le tecniche e le discipline di confine (sociologia, antropologia, filosofia, arte, etc.). Purtroppo, oggi, nella nostra città assistiamo, invece, ad un arretramento culturale che commissiona ad un riduzionismo neuro-psichiatrico la responsabilità di un metodico “smantellamento” delle Unità Operativa di salute mentale, delle loro risorse umane, delle loro ricchezze culturali, delle loro storie.
Nel prossimo futuro si prospettano: l’accorpamento delle UOSM, la scomparsa dei centri diurni e l’espulsione delle cooperative della riabilitazione, la mancata sostituzione dei dirigenti apicali e degli operatori del comparto, l’estinzione degli psichiatri a tempo indeterminato, degli psicologi, degli assistenti sociali, l’abbandono e il degrado di strutture sedi di SPDC e di residenze. Ma il più grave sintomo del disfacimento ci sembra il vuoto di pensiero, che si ravvede nell’assenza di un confronto e di una riflessione comune di saperi aggiornati e prassi di cura efficaci.
L’orizzonte che si sta configurando davanti a noi è fatto di emergenze, ambulatori specialistici dallo stile puntiforme, silenzi e acting-out, burocratizzazione degli interventi, mentre il futuro dei nostri utenti è ricacciato nella cronicità delle lungodegenze del privato selvaggio, o abbandonato all’emarginazione, diventando solitudine e carico affettivo insopportabile per le famiglie.
La Salute Mentale o diventa un problema/risorsa collettivo, di Tutti, o ritorna ad essere psichiatria neo-manicomiale, abbandono, deriva psichiatrica di controllo sociale. In tal senso la cornice della legge 180, pur richiamando gli operatori ad una “onnipotenza terapeutica” che spesso è implosa nello scoraggiamento, altre volte è precipitata nella sfiducia, di rado nella depressione, resta un progetto che, se riletto entro i dovuti e reali “limiti” di attuazione, rappresenta ancora oggi un’esperienza di democrazia, di solidarietà verso gli ultimi, di sperimentazione clinica, di riflessione e ricerca.
Ma un rilancio della Salute Mentale non può ridursi ad orizzonte utopico o peggio a semplice dichiarazione di intenti. Pertanto, appellandoci alle istituzioni preposte (Assessorato Regionale, Direttori Asl, Sindaco di Napoli), si rinnova l’urgenza, nella nostra città, di politiche socio-sanitarie che forniscano gli strumenti e le risorse economiche, gli uomini e le donne, le strategie e le programmazioni necessari a definire e a sostenere il complesso e delicato processo della Salute Mentale con i suoi avanzati e reali effetti di emancipazione e benessere diffuso.
Da quanto, si costituisce un Laboratorio per La Salute Mentale che promuoverà ogni iniziativa affinché si giunga alla risoluzione dei problemi che da troppo anni si abbattono sugli utenti e le loro famiglie ma anche su tutti gli operatori impegnati in prima persona. Il Laboratorio avvierà un confronto con tutte le forze in campo, Istituzioni, Sindacati, Partiti e Movimenti, Associazioni di familiari ed utenti, Associazioni e Ordini professionali, Terzo settore, Volontariato, Università, Mondo della cultura, al fine di realizzare una valida rete di alleanze.
Inoltre il Laboratorio promuoverà l’ attuazione di una campagna capillare di sensibilizzazione pubblica (per le strade, nei servizi territoriali, sulla rete, attraverso i mezzi di informazione) sul disagio che vivono nella città di Napoli gli utenti, i familiari e gli operatori, e contemporanea, la raccolta di firme a favore di tutte le strategie necessarie al superamento dell’attuale degrado in cui versa il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Na1 Centro. [giugno 2011 laboratorio salute mentale]
2 commenti:
Si dovrebbe parlare un po' più spesso di questi argomenti trattati così marginalmente dalla stampa e dalle istituzioni.
Chi vive realmente un disagio mentale, altre al malato stesso che ne subisce tutte le conseguenze, è il familiare stesso, colui che si è preso la responsabilità di assisterlo e di curarlo. Questa una condizione assurda che a volte fa usciere fuori di testa anche chi realmente sta bene. Si dovrebbe intervenire anche qui, nell'interesse sia del malato che della persona sana anche spesso è un parente stretto.
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