la "democrazia" è una bella cosa
La democrazia è una bellissima cosa. Bella e delicata e va usata con cura. Stessa cosa per il principio di "rappresentanza". Se ho capito bene Realfonzo, Assessore al Comune di Napoli, proporrebbe l'individuazione di 3 delegati del Comune dentro l'ATO 2 della Campania, prendendoli da soggetti esterni anche al Consiglio Comunale di Napoli. Avremmo un livello di “rappresentanza” dei cittadini di Napoli ancor più diluita. In poche parole un vero e proprio surrogato. Stessa cosa per quanto attiene l'individuazione degli stessi all'interno dei cittadini che, se ho ben capito, dovrebbero provenire dai movimenti. Forse si dimentica che il Consiglio dell'ATO nasce da un Consorzio di Comuni. Che io sappia nelle assemblee dei Consorzi la delega non può andare oltre gli organi di governo dei Comuni consorziati. Questo anche perché il Consorzio delibera su temi molto importanti. Vedi indirizzi su piani, bilanci, rendiconti, tariffe. Non so se questa idea è uno scherzo. Forse l'Assessore si confonde con il principio di 'delega' dentro una Spa. Torno a quello da cui sono partito. La democrazia c'è se ci sono regole. Se il principio di rappresentanza è quanto più tale. Non una barzelletta. Meno che mai una cosa privata, come è nella natura delle Spa. A questo punto io rilancerei chiedendo all'Assessore di lanciare i primi passi per un servizio idrico integrato partecipativo. Proponendogli assemblee di Quartiere, o di Circoscrizione, con le quali avviare la predisposizione di un Bilancio per la gestione del Servizio Idrico Integrato tramite Azienda Speciale Consorziale partecipata. Anche se con più Comuni, ogni Comune, compreso Napoli, dovrebbe mettere a disposizione dei cittadini, meglio dei Quartieri, tutti i dati economico finanziari del servizio. Saranno i cittadini che, partendo dai propri bisogni di Quartiere (cerco di copiare Porto Alegre. In questo caso però, dal momento che si parla di un Consorzio di Comuni, si dovrà pensare forme partecipative che coniughino partecipazione reale e nomina di un Consiglio del Bilancio Partecipativo snello) che, in 3 tornate, decideranno le priorità: -1 prima tornata per l'esame di come è andato l'anno precedente; un vero e proprio esame consuntivo; -2 una seconda tornata per raccogliere tutte le esigenze, proprio tutte, dei Quartieri; -3) una terza tornata in cui i Quartieri, compatibilemente con quello che offre il convento, sceglieranno le “priorità” e nomineranno il Consiglio del Bilancio Partecipativo composto da almeno due delegati per Quartiere (in questo caso forse per Zona) che si interfaccerà con il Consiglio di Consorzio e gli uffici tecnici dell'Azienda Speciale Consorziale perché le priorità dei Quartieri (o delle Zone) vengano inserite sia nel Piano Industriale o Programma degli Investimenti dell'Azienda Consorziale sia nel Bilancio di Previsione dell'Azienda Consorziale. Capisco che sto introducendo un tema, il Bilancio Partecipativo per la gestione del Servizio Idrico Integrato, che può apparire fuori dalla realtà. Si preferisce forse il principio di "partecipazione agli utili" del servizio idrico Spa? Sarebbe molto meno fuori dalla realtà se il Comune di Napoli, e i Comuni dell'ATO 2, avessero già avviato, dentro i rispettivi Bilanci di Previsione, forme diBilancio Partecipato. Mi direte che sono sempre fuori dalla realtà. Che è bello, ma troppo irreale. Bene. Dite all'Assessore del Comune di Napoli Realfonso e a quant'altri di andare a prendere la legge nazionale che nel 2005 approvò il nuovo Trattato per una Costituzione Europea. Quindi dite loro di andare a leggere l'articolo 47 della stessa rubricato: Democrazia partecipativa. Non solo. Dite ancora all'Assessore Realfonso e a quant'altri di andare a prendere la recente legge n. 15 del marzo 2009. E di andare a leggere l'articolo 4 della stessa. Scopriranno che ogni amministrazione pubblica sarà presto chiamata a confrontarsi, pubblicamente, con le parti sociali per ogni programma, piano, progetto, in sede sia preventiva che consuntiva. Si scoprirà così che forse non è chi scrive ad andare troppo avanti, ma siamo anche noi a stare troppo indietro. E indietro perfino a principi approvati da una legge di un governo di centro-destra (il PD non ha votato contro, mi sembra che si sia astenuto). Un saluto [Luigi Meconi]
3 commenti:
bhe' se fosse realmente così ci vorrebbe un trattato di economia scientifica per calcolare le efficienze del sistema. ma comunque è una proposta accettabile. Mario S
mario se leggi bene la cosa è fattibilissima visto che lo fanno anche in altri posti, non capisco perchè noi le cose non le possiamo fare ma se invece ci guardiamo in torno vediamo sempre che l'erba del vicino è migliore. per me invece è molto bello poter far partecipare tutti, visto che è un bene di tutti e nessuno puoi essere il suo proprietario.
Democrazia feudale
di Loretta Napoleoni, da Internazionale.it
Questa settimana ricorrono due anniversari importanti: il crollo delle torri gemelle e quello della Lehman Brothers. Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per interpretarli, ma forse è ora di smettere di guardare al passato per capire quali sono state le cause. Proviamo invece ad analizzare il presente e il futuro. Chi ha guadagnato da queste tragedie? La risposta è sconcertante: uno stato democratico ha perseguito gli interessi di un’oligarchia di privilegiati, i feudatari della globalizzazione, che detengono il potere economico-finanziario e controllano l’informazione.
In difesa della democrazia feudale statunitense George W. Bush, dopo aver dichiarato la guerra al terrorismo, ha inaugurato la politica della paura. La minaccia di Osama bin Laden è stata ingigantita per giustificare una serie d’interventi armati che non servivano a sradicare la malerba del terrorismo, ma a rilanciare l’egemonia statunitense. A dirigere queste grandi manovre era il vicepresidente Dick Cheney, che lavorava per conto delle lobby petrolifere e militari, e i falchi della destra repubblicana, il nocciolo duro della moderna democrazia feudale. Sono loro i pochi eletti che pagano le costosissime campagne elettorali e che decidono chi entra ed esce dalla Casa Bianca.
Gli esperti, quelli veri, si sono accorti subito che la guerra al terrorismo non aveva nulla a che vedere con gli attentati. La questione delle fonti di finanziamento dei gruppi armati islamici è finita presto nel dimenticatoio. I 150 milioni di dollari congelati dall’11 settembre a oggi sono una cifra irrisoria, e sono soprattutto una frazione infinitesimale di quanto è stato speso per riuscire a racimolarli. Ma l’obiettivo era un altro: fare gli interessi delle lobby vicine all’amministrazione e rilanciare l’America come unica superpotenza.
È bastato poco a raggiungerlo: il prezzo del petrolio è salito alle stelle fino a quota 150 dollari al barile, quasi dieci volte i 18 dollari che costava alla vigilia dell’11 settembre. E le multinazionali del petrolio nordamericane, che l’oro nero non solo lo producono ma lo raffinano e lo commerciano per conto dei produttori arabi, hanno registrato enormi profitti. Anche l’industria della guerra, privatizzata dai predecessori di Bush, va a gonfie vele. Dai contractor – i nuovi mercenari – ai fornitori di armi, uniformi e razioni per le truppe, chiunque avesse un piede nell’arte della guerra ha trovato in Iraq e Afghanistan una vera cuccagna.
I neoconservatori hanno imposto la loro visione del mondo a tutti, anche contro la volontà delle Nazioni Unite. L’Iraq è stato invaso con una coalizione di amici di Bush, non con il consenso dell’Onu.
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