ieri su "il manifesto"

Lettera alla redazione de “Il Manifesto” Alla cortese attenzione della direttrice Norma Rangieri Cara direttrice le scrivo per avere chiarezza e se possibile pubblicare una smentita in relazione all’articolo pubblicato sul suo giornale il 30 giugno di quest’anno, articolo che parlava del rione Sanità, Napoli. Sono un cittadino del quartiere, volontario da circa 10 anni e studioso del luogo. La prego di leggere attentamente, spero in un riscontro positivo e ulteriori spiegazioni. Con stima. 

Smentita
Il 30/06/13 il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diventare “veline” in tv e i ragazzi pensano solo al motorino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per questo che buona parte dei ragazzi di questa enclave di 67 mila abitanti incastonata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Plebiscito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere. Si continua a legge: “…la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato, quasi una religione, per la squadra di calcio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre (e siamo tantissimi). Mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione per qualche emigrato in provincia e nel nord Italia. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella rione sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino. Da anni lo ripeto e lo scrivo sul blog del rione Sanità, se non cambiamo linguaggio, se non incominciamo a trattare questa gente da esseri umani, se non consideriamo la loro dignità non ricaveremo un bel niente né dalla gloria né dalla nostra stessa presunzione. E’ un errore esprimere i nostri giudizi di valore senza considerare le altre variabili come la povertà, la storia, la singola esistenza. Sul giornale si legge ancora: “L'aspetto peggiore sono i morti ammazzati per strada, il modello socioeconomico camorrista considerato l'unico possibile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [Antonio Caiafa - quartieresanita.org] 

La Risposta del Giornalista 
Gentile Antonio Caiafa, il reportage in questione riguardava il fermento sociale e culturale del Rione Sanità, un quartiere napoletano generalmente ritenuto “difficile” (vogliamo mettere in discussione anche questo?): il teatro “sott’o ponte” in una chiesa sconsacrata, il lavoro delle cooperative di ragazzi organizzate da un prete “di frontiera”, don Antonio Loffredo, che ad esse ha dedicato un bel libro, “Noi del Rione Sanità”, appena pubblicato da Mondadori. Da blogger informato delle vicende del rione, avrà saputo che alla presentazione, alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martini, hanno partecipato decine di giovani del quartiere, e ne hanno discusso con don Antonio Loffredo, il sociologo Vincenzo Moretti che alla Sanità ha dedicato un bel libro ed Ermanno Rea, che mi ha accompagnato nella mia scorribanda giornalistica raccontandomi, tra i vicoli e nelle cave di tufo, com’era il quartiere ai tempi in cui, ragazzino, andava dai nonni nella zona più povera, i Cristallini. Se avesse partecipato, avrebbe potuto fornire il suo punto di vista e, parlando come ho fatto io con i giovani sottratti alla strada da don Antonio, avrebbe scoperto che una delle attività consiste nel far conoscere il mare ai ragazzini che non l’hanno mai visto. Mi dispiace contestarle tutto, ma non mi risulta che Alex Zanotelli abbia smentito le sue affermazioni, per cui respingo gentilmente, ma fermamente, al mittente ogni illazione. Aggiungo che il punto di vista di Zanotelli è persino più duro: sostiene di aver trovato più voglia di reagire tra i baraccati di Korogocho che a Napoli. Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla. Da meridionale come lei, e di estrazione affatto borghese, quando ascolto discorsi giustificazionisti fondati su presunti torti storici o esimenti quali la povertà penso che la rivoluzione meridionale, ad opera dei meridionali stessi come sarebbe piaciuto a un antifascista liberale qual era Guido Dorso, è ancora ben lungi dal maturare. In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa. [Angelo Mastrandrea]

Pubblicato il 23/08/2013 sul giornale "Il Manifesto" nella sezione Lettere alla redazione. 

6 commenti:

Mario ha detto...

Ieri non ho comprato il Manifesto, Oggi leggo la disputa che ho seguito via facebook. Sono un sostenitore del blog e credo che le prove indicate da Antonio siano più che convincenti, aldilà del fatto che nel quartiere ci siano molti juventini, sì ci sono, ma non sono poi così tanto, le altre affermazioni fatte dal giornalista risultano essere tipiche, non provate e di impatto esagerato. Sono Contento che Antonio faccia presente queste cose, per noi che abitiamo nel rione, la mia è una famiglia di professionisti/artigiani, un punto di vista che non metta in luce sempre le stesse cose buttando tutto quello che di buono si fa nel quartiere, è importante quanto significativo per il prosieguo di tutto il bene che già si sta facendo.

Sara ha detto...

in realtà non importa molto se nel quartiere ci siano tifosi napoletani o yuventini o milanisti, o bambini che non hanno visto il mare. Secondo me la cosa grave è che questi giornalisti vengono qui a fare ricerche, interviste ma in realtà ciò che scrivono ha poco a che fare con ciò che vedono. scrivono dei pezzi autoreferenziali in cui non fanno altro che confermare le proprie tesi di partenza senza verificarne l'autenticità.

Dylan ha detto...

Giusto e basta con il considerare il quartiere una specie di enclave buono solo per i turisti muniti ti stupidi pregiudizi.

leanyse ha detto...

"nel 1934 il fotografo Robert Capa pubblico’ una delle sue piu’ famose fotografie , “il miliziano colpito a morte” che riscosse un grande successo e divenne un’ icona degli orrori della guerra. La foto in questione suscito’ pero’ anche molte polemiche: secondo alcuni testimoni, il miliziano non mori’ in quel luogo; altri giurarono di avec visto i negativi delle foto scattate in seguito le quali avrebbero riprodotto lo stesso miliziano che rialzatsi, correva. Credo che il lavoro di un giornalista non sia lontano da quello del fotografo, quando quest’ultimo “fotografa” e descrive cio’ che gli sta intorno, e per quanto in buona fede, il suo lavoro si differenzia da quello dello scienziato sociale, che a scapito della sintesi, crea l’ossatura della propria ricerca in modo da evitare gli ostacoli che da sempre si trovano sul “cammino” verso una solida analisi scientifica: etnocentrismo, preconcetti, luoghi comuni, bias cognitivi e cosi’ via . Capisco che il suo lavoro di giornalista non richiede lo giustificarsi di una qualsivoglia linea metodologica ( anche se e’ ovvio che in qualsiasi lavoro si applica una visione e una linea da seguire) ciononostante, in quanto giornalista, lei non puo’ ignorare la pericolosita’ di un certo tipo di “fotografie”: quando nel suo articolo scrive frasi come: “una buona parte dei ragazzi...non ha mai visto il mare..” oppure “la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato”, quando lei cita la frase di Alex Zanotelli estrapolandola da un contesto diverso e incollandola nel suo articolo, lei cade purtroppo nello stereotipo e nel luogo comune anche se in buona fede. Che significa “una buona parte”? Quanti ragazzi ha visto’?Cosa intende per ragazzi? Bambini,adolescenti?Da quale fonte ha attinto questa informazione?Questa variabile é presa in considerazione come indicatore di quale fenomeno in particolare ?Su quali basi lei afferma che l’unica appartenenza comune fra i giovani del rione Sanita’ sia il tifo sfegatato? Come ha escluso le altre forme possibili? E’ per questo motivo che la letteratura scientifica e’ meno fruibile di quella giornalistica, non potendo, per motivi metodologici, sintetizzare un lavoro in due pagine di giornale e soprattutto perche’, uno scienziato sociale, sempre e a-priori, deve esplicitare la sua metodologia e con essa gli ostacoli che lo portano ad un aventuale distorsione del fenomeno da descrivere. Io credo sia nei punti sopracitati, il fulcro della discordanza di punti di vista fra lei e il Sig. Caiafa, fra il giornalista e il sociologo. Non metto in dubbio l’onesta’ intellettuale che ha nel suo lavoro, ma con un po’ di umilta’ dovrebbe chiedersi se le sue frasi “totalizzanti” (“l’unica appartenenza,”l’unico modello”.. ecc) descrivono la realta’ complessa e varia di un rione dove vivono 65mila persone e dove probabilmente non esiste solo il sottoproletariato e la camorra come modello (e in ogni caso , se già uno solo degli abitanti di questo quartiere smentisce quest’affermazione, la generalizzazione risulta falsa in sé ).

leanyse ha detto...

Il suo lavoro é ben lontano da un tipo di ricerca di stampo sociologico, ma lei mi dirà, é un giornalista non un sociologo. Guardare la foto di Capa, ha aiutato i suoi contemporanei nella conoscenza degli eventi avvenuti durante la guerra civile spagnola ? Certamente no, ma lui da ottimo fotografo ne volle fare il simbolo della brutalita’ della guerra, sinonimo di morte e sofferenza e non certo un trattato di storia. Il suo articolo avrebbe potuto essere almeno una bella fotografia: una foto per deunciare il fenomeno della poverta’ della disoccupazione, della disgregazione familiare, della malavita organizzata, della mancanza dei mezzi forniti per arginare tali problematiche, avrebbe potuto si’ prendere come esempio il rione sanita’, ma inserendolo in un contesto piu’ ampio e meno stereotipato. Ma a mio parere, e’ invece proprio descivendo il rione sanita’in modo cosi’ estremo e totalizzante che ha toppato. Perche’ in guerra ci sono miliziani che muoiono ma la guerra non e’ la foto di un miliziano che muore.

Leandra Figliuolo.

leanyse ha detto...

Nota aggiuntiva riguardante la risposta pubblicata del Sign. Mastandrea pubblicata sul blog :

Nel suo articolo di risposta lei scrive:

Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla

Non vedo assomutamente nel testo del Sign.Caiafa una qualsivoglia giustificazione alla camorra. Potrebbe indicarmela ?
Quando lei scrive :
In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa
Non mi sembra che il suo articolo parlasse di influsso della politica sul quartiere, né di situazione italiana, né della città di Napoli in generale. Il suo articolo prende come esempio- quasi come archetipo della decadenza e della camorra- il quartiere e i suoi abitanti questi ultimi descritti come massa incolta e decadente, una massa che i pochi « illuminati » cercano faticosamente di emancipare. E’ cosi’ che vede il rione Sanità? E’ questa l’idea che ha sviluppato e che vuole descrivere? In ogni caso é questa l’impressione che ho avuto leggendo il suo articolo. Non sarebbe l’unico a pensarla cosi’, questa visione é molto diffusa anche fra certi intellettuali « radical chic » ma é appunto la visione che critico e che ritango distorta e fuorviante. La realtà é sempre piu’ complessa e meno semplicistica che certe immagini stereotipate .E’ questo approccio che, mi sembra di capire, critichi il Sign. Caiafa e che critico con forza anch’io, -e a ragione ! :
lo stereotipo viaggia veloce come la luce, marca l’immaginario collettivo, crea stigmatizzazioni, giustifica la sua stessa imagine distorta al punto che gli stessi abitanti del quartiere interpretino la realtà cosi’ come proposta dai media e la veicolino a loro volta. E’ questo il fulcro della critica non certo il giustificazionismo di cui lei parla e dal quale si difende !