una scuola parallela

Mama meka kiyawannada (Leggete insieme a me); oyata wayasa kjyada...? (quanti anni hai?); saduda, agaharunada, badada, Brahaspatinda, sikurada, senosurada, irida. (Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica.); mama, oba, ohu/aya, api, obala, oun (io, tu, egli/ella, noi, voi, loro); sudu, koia, kaha, buduru, ratu... (bianco, verde, giallo, marrone, rosso...).  
Da diversi anni svolgo attività di volontariato, principalmente insegno italiano agli immigrati provenienti da tutto il mondo. Collabora attivamente con l’istituto Ozanam - piazzetta San Severo a Capodimonte 82. Responsabile suor Lucia. Nella scuola in principio ho insegnato agli alunni che già parlavano e scrivevano abbastanza bene l’italiano. Nel mio gruppo diversi hanno fatto l’esame di licenza media inferiore. Attualmente ho una classe di circa 15 ragazzi maschi e femmine di età diverse e tutti srilankesi che si sono trasferiti da poco in Italia. 


Quando, per la prima volta, ci siamo incontrati non sapevano dire anche buongiorno. Oggi io so “parlare” un po’ srilankese. Quando ci incontriamo loro salutano in Italiano, io invece nella loro lingua. La poca conoscenza, limitata a poche parole ma essenziali, stabiliscono quasi subito una reciproca simpatia soprattutto con le persone che non parlano affatto l’italiano. Questo metodo mi ha permesso di stabilire una relazione forte, matura, un approccio empatico e di fiducia reciproca.


Normalmente molti lasciano la scuola per problemi di lavoro o per imbarazzo. Chi non riesce a capire bene si “umilia” così tanto da vergognarsi anche dei suoi amici. Comunque il gruppo che insegno  adesso è abbastanza stabile, seguono con divertimento e credo che questo sia anche una normale conseguenza di un percorso che “quando inizia deve poi finire così come è incominciato”.


Quasi ogni settimana arrivano “alunni” nuovi, il problema è inserirli soprattutto quando, a metà del programma, molti hanno già superato una determinata soglia di difficoltà. Per fortuna che ci sono gli altri collaboratori e le altre collaboratrici volontarie. Il metodo d’insegnamento l’ho acquisito sul campo che poi ho adottato man mano, e quando potuto modificato, in relazione ai casi e alle storie degli immigrati. [+blogger]

1 commenti:

Fla F ha detto...

Scusate se sono brusco e lo continuo a dire, le attività di volontariato servono solo a sgravare chi pur guadagnando non fa il suo dovere e si appoggia appunto ai volontari.

bisognerebbe fare in modo che queste persone perdeserro il posto a discapito di altri che lavorano seriamente e per di più senza essere pagati.