Il rione Sanità da molto tempo vive una
esponenziale crescita turistica, da seimila visitatori l’anno si è passati ai
sessanta mila del 2015. Sono soprattutto italiani quelli che visitano il
quartiere, non a caso i molti b&b nati in questi ultimi tempi sono tutti
gestiti da non napoletani. In questi stessi anni la criminalità organizzata è
molto più presente nel rione, le cronache giornalistiche, e non solo, parlano
di una escalation senza precedenti. Negli anni Settanta i registi dell’epoca
“protestarono” a suon di fiction contro quella che sembrava essere
l’inefficienza delle forze dell’ordine. “Milano odia, la polizia non può
sparare”, “Roma Violenta”, “Napoli Violenta” sono solo alcuni titoli di film di
una ferocia singolare ed inaudita. Poi le stragi sfociate nella morte di Della
Chiesa, Falcone, Borsellino (solo per ricordare i nomi più illustri), hanno dato il via a un’epoca di ribellione, di insulti parlamentari, di coalizioni politiche, di
cosche mafiose che si estendevano da un lato all’altro dello stivale. Non
voglio approfondire, già tutto è stato scritto e documentato.
Mentre all’esterno della pizzeria di via
Sanità centinaia di persone aspettano il loro turno, a pochi metri di distanza
padre e figlio scampano ad un attentato; due giorni prima in un luogo ancora
più vicino, un ragazzo veniva gambizzato. I morti ammazzati e quelli che sono
stati uccisi per sbaglio passeggiano assieme ai tanti signori muniti di reflex
e di videocamere professionali. Da un lato una strage che ammazza due persone e
ne ferisce tre, dall’altra s’inaugura un altro percorso greco/romano. Iniziano
le notti bianche anche nel rione, tre nel giro di pochi mesi: zona pedonale,
gente a piedi e in bici, l’aria è quella di una civiltà mai “annusata” da queste
parti. Ma i clan non si fermano, si continua con i regolamenti di conti.
Negli anni precedenti, quando nel rione
esisteva il boss, le persone avevano paura di entrare nel quartiere, molti
“strisciavano” la Sanità, l’evitavano intenzionalmente, impossibile organizzare
con qualche scolaresca una visita guidata. Per contro (stranamente) era l’esatto opposto. Oggi potrei dire: nessuno più ha
paura? Cammina per la via Arena alla Sanità la prole straniera, camminano i non
campani, ma anche quelli che dal Vomero o della via Petrarca arrivano per
comprare il fiocco di neve. La bontà di un dolcetto, di una pizza e la voglia
di visitare le catacombe di san Gennaro hanno ribaltato i sentimenti di
angoscia?!
Dopo anni finalmente qualcuno sta iniziando
a capire che gli abitanti del rione non sono tutti conniventi, che le cronache
giornalistiche servono per vendere carta e che lo stereotipo stampato ha sempre
la spiegazione del “come volevasi dimostrare”. Ecco che invece inizia un’epoca
che sbilancia i più scaltri, qualcosa attualmente bisogna raccontare per non
soffocare, il lavoro da solo non dà una spiegazione esaustiva del fenomeno,
quindi? Quando le etichette si formano nella loro drammatica realtà, la
conoscenza sembra vacillare in un mare di ipotesi tutte giuste, inequivocabili,
senza ombra di dubbio. L’ipotesi come conoscenza da verificare è troppo lunga
per confermare la [mia] ricerca, mentre i social possono essere utili proprio
in relazione a questa monotonia. Potrei azzardare e dire che le vite virtuali
creano le raffigurazioni di onnipotenza, ma meglio lasciare queste affermazioni
ad un buon sociologo.
Insomma, la cosa che mi interessa
analizzare in quest’articolo è proprio la “vicinanza” che c’è tra le due realtà
di cui sopra: mentre si spara si mangia, mentre si festeggia si minaccia,
mentre si organizza si distrugge. L’abitudine alla paura rischia di rendere
ogni cosa normale per gli abitanti
del rione, ma per gli stranieri? Qualche
mese fa ragazzi in moto spararono uccidendo una persona alla via Sanità,
esattamente all’altezza di uno dei palazzi del Sanfelice; poche ore dopo
visitatori fotografavano le scalinate del palazzo, gli archi, il portale nella
tranquillità più assoluta.
La normalizzazione di cui parlavo prima è
anche una costante delle persone che non sono del posto?! Mi chiedo, ma questa domanda/affermazione
è giusta? C’è forse un concetto di paura generalizzata che fortifica il singolo
(anche se in questo caso non saprei proprio come immaginarlo), oppure una
invincibile resistenza alla paura e/o alla morte? Non mi illude la concezione
costruttivistica della incolumità personale, perché il processo di negoziazione
non è frutto di queste osservazioni. Tanto che se Freud relaziona la certezza
alla civiltà e Bauman invece l’inverte per quella post-moderna, in questo caso
certezza e rischio si fondano in quello che definisco equivoco storico: dove la storia ci ha insegnato ad aver paura
della guerra, lo stesso non vale per il nostro rione?! Si ammazza nella certezza
che l’ordine non sarà ricostituito, cosicché ciò che crea spavento e umiliazione
rafforza la scena della realtà. Sul
Vesuvio si continua a costruire, le persone che ci abitano non hanno intenzione
di lasciare le loro case anche se sanno con certezza di vivere costantemente in
una situazione d’imminente pericolo. C’è forse questo tipo di rappresentazione
della realtà anche qui nel rione? Se sì, in questo caso, è un bene o un male
che s’ignora il rischio? E se quest’ultimo è realmente ignorato questo vuol
dire che la definizione di malavita sta cambiando?, oppure è già cambiata?, o
forse è la statistica definita da Monsieur Verdoux ad avere ragione di uno
stato di cose immobile ed inefficiente? E se lo Stato è immobile ed
inefficiente è colpa della gente che non denuncia? Delle forze dell’ordine che
non sono all’altezza della situazione? Di un laissez-faire istituzionale? Oppure di una
commistione che non ha precedenti nella storia della repubblica italiana?
4 commenti:
da riflettere
Una scelta che richiama il nostro tempo, la spregiudicatezza, la volontà di apparire, la giusta vita virtuale.
Tutti con un popolo in cammino anche se fanno finta di non pensarci proprio il popolo è diventata una bella" realtà ieri il prefetto ha voluto un nostro rappresentate per discutere di sicurezza. Sono assieme si può battere la criminalità.
JGran bel articolo Complimenti
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