Francesca Bellino è una mia cara amica. Giornalista e scrittrice con una ossessione in testa che si chiama Tunisia. Non solo la sua famiglia è in parte tunisina (il marito è l’attore Ahmed Hafiene noto in Italia per aver fatto numerosi ruoli tra cui Hassan in La giusta distanza di Carlo Mazzacurati), ma da tempo lo è anche la sua anima. Di recente ha scritto un romanzo, Sul corno del rinoceronte, che ripercorre attraverso la storia di un’amicizia i momenti turbolenti che anticipano la rivoluzione dei gelsomini, l’inizio delle rivolte arabe. Mi ha sempre colpito una frase del romanzo di Francesca. Lei scrive: “I segreti sono nascosti negli occhi. Il mio primo incontro con la Tunisia sono stati gli occhi di Meriem. Poi mi sono imbattuta in quelli dei giovani in trappola, arresi ai bordi delle strade o persi davanti a squallide tazzine di caffè”. In poche righe Francesca Bellino ha fatto una fotografia precisa di quanta frustrazione circolava e circola ancora tra i giovani, soprattutto uomini, tunisini.
Me li ricordo pure io quegli occhi. Tanti anni fa ho seguito un corso di arabo all’istituto Bourguiba di Tunisi. Eravamo una multiforme umanità. Tutti lì per un interesse diverso. Chi adorava il poeta Nizar Qabbani, chi voleva imparare una lingua con cui lavorare nel settore del petrolio, altri invece sognavano di tradurre manoscritti medievali. Io non so bene perché fossi lì, forse per non darla vinta a una lingua che mi faceva impazzire con i suoi plurali fratti e le sue coniugazioni. E poi c’erano loro, le signore eleganti. Alcune erano italiane, altre tedesche, altre ancora francesi.
I sogni mangiati
Lo studio dell’arabo era una scusa, quello che dicevano a casa ai mariti per giustificare il viaggio. In realtà più che alla lingua araba erano interessate agli arabi. Ed ecco che di colpo quei giovani senza lavoro, senza futuro, si attaccavano a queste signore occidentali per un regalo o per una cena in qualche ristorante di lusso. Le signore elargivano generosamente in cambio di qualche prestazione sessuale e di qualche galanteria. Era un commercio alla luce del sole che mi aveva lasciato senza fiato.
Ero ingenua forse, ma non me lo aspettavo proprio. E cominciai a osservare quei giovani. Avevano tutti qualche sogno, qualche voglia di futuro, ma allora c’era Ben Ali, il dittatore, quello che Francesca Bellino chiama il rinoceronte, a mangiare i sogni. E oggi? La situazione non è migliorata. I ragazzi sognano ancora di fuggire, di lasciarsi questo paese alle spalle. Un paese, va detto, tra i più battaglieri e laici del Nordafrica. Un paese però che è abbandonato dalla comunità internazionale, che lo considera una pedina poco importante. Ed ecco che le grinfie del fondamentalismo e del terrorismo si sono fatte sentire con brutalità. La Tunisia è stata colpita duramente dal terrorismo, pensiamo solo agli attentati al museo del Bardo e a quello sulla spiaggia di Sousse, e oggi ha alti tassi di radicalizzazione tra i giovani.
I giovani, i loro occhi. Ho cercato di guardare quelli di Anis Amri, il terrorista del mercatino di Natale di Breitscheidplatz, a Berlino. Gli occhi rivelati dalle fotografie sono opachi, velati, manca la luce. All’Ucciardone, una delle strutture carcerarie dove è stato recluso, Anis Amri è stato descritto come violento. Riguardo le foto segnaletiche che sono state pubblicate dai giornali. Questa storia ci riguarda, penso. Ci riguarda come Italia. Parla di noi. Anis Amri non ha una faccia poi così diversa dai ragazzi di Messina, Palermo, Enna, Catania. Come ogni giovane, anche lui forse ha sognato per se stesso un futuro migliore, chissà. Cerco di guardare l’uomo dietro al terrorista. Non è facile. Soprattutto non è facile se penso a chi ha perso la vita in quel mercatino berlinese. Non è facile se penso a Fabrizia Di Lorenzo che voleva solo un mondo più bello dove vivere. Se penso ai loro corpi falciati senza pietà, mi sale una rabbia immensa. Ma ecco che dobbiamo essere lucidi, e cercare di capire come siamo arrivati fino a questo punto. Dobbiamo farlo, anche solo per capire come difenderci. Se continuiamo a gridare al lupo al lupo non servirà a niente. Dobbiamo cercare Anis, chiunque esso sia, dietro la parola terrorista.
La prima falla
Ed ecco che questa vicenda emblematica ci spinge a guardare alle falle del nostro sistema. Parliamo tanto di legalità, ma è proprio l’illegalità del sistema che porta alla diffusione della peste terrorista.
Di Anis Amri sappiamo che è arrivato in Italia con un barcone. Ecco la prima falla. Ecco quello che non va, il barcone. Il viaggio dei migranti è in mano ai trafficanti, ai mafiosi. Loro decidono i prezzi, le rotte, le modalità. Qualcosa che dovrebbe essere competenza degli stati oggi è in mano a criminali senza scrupoli. Chi arriva in Europa deve farlo a costo di morire in mare o di morire nelle tappe precedenti. Si può morire in carcere in Libia, dopo uno stupro di gruppo o di sete nel deserto del Sahara. Negli anni settanta i padri di questi ragazzi che fanno il tahrib, così si chiama il viaggio di migrazione in somalo, potevano prendere un aereo e avevano dei visti. Oggi non c’è una maniera legale di arrivare in Europa. Ci sono solo i trafficanti. Questo è un dramma per i migranti, che rischiano la vita. Ma è un dramma per l’Europa. Come sa l’Europa chi arriva nel suo territorio?
Un tempo c’era un sistema di visti per arrivare dal Nordafrica in paesi come la Francia o l’Italia. Si era pendolari per un po’. Molti lo erano per lavoro, altri per studio. C’era un viavai controllato dall’una e dall’altra parte. Chi migrava non lo faceva per sempre, aveva la possibilità di tornare indietro. Le procedure non erano ottime, ma sicuramente migliori di quelle di adesso. Oggi non c’è più mobilità tra un lato e l’altro del Mediterraneo. Da mare aperto, oggi il Mediterraneo è diventato un mare chiuso, uccisi tutti gli scambi che hanno creato grandi civiltà. Dal momento in cui Anis Amri mette piede in Italia comincia una sorta di discesa agli inferi che finirà solo con la sua morte a un posto di blocco a Sesto San Giovanni. Ora, Anis Amri era un soggetto a rischio, descritto come violento, etichettato come problema e molto probabilmente era vero. Mi chiedo: si poteva recuperare questo ragazzo in qualche modo? Soprattutto nello stadio iniziale? Non ho una risposta. Mi inoltro nella sua biografia. Ed ecco che lo vediamo chiedere protezione in quanto minore. Lui ha già compiuto 19 anni. Le autorità non lo sanno e lo mettono in un centro per minori. Diciannove anni però non fanno di te un uomo. Anis Amri è un dicianovenne violento, rissoso e confuso. Questo emerge dalle parole del padre intervistato da un giornale tedesco.
Il fortino dell’Europa
Il sistema, inoltre, porta a mentire. Anis ha mentito, ma forse non è il solo. Il richiedente asilo deve inserirsi in griglie prestabilite per ottenere l’asilo politico. Allora se sei del nord del paese X non puoi ottenere asilo, ma se dici di essere di Y allora la tua domanda sarà valutata. I migranti lo sanno e, pur di non vedersi rifiutata la domanda, si inventano storie non vissute. Le loro sofferenze sono autentiche, ma spesso la commissione non valuta l’individuo e vuole sentirsi raccontare quello che ha già prestabilito. Ed ecco che molti si fingono minori o fingono di essere chi non sono.
La realtà è complessa. Se accolgono i siriani, allora anche un tunisino o un marocchino si finge siriano, su internet ci sono i tutorial per rifare l’accento di Damasco, di Homs e di Aleppo e anche se sei di Rabat o di Mahdia allora ci provi anche tu, perché l’Europa è diventata una fortezza. Sì, un fortino che continua a sfruttare il sud del mondo, le sue materie prime, ma che vuole il migrante solo dopo che abbia passato atroci sofferenze, perché dopo accetterà di lavorare per pochi spiccioli. Il sistema è malato. Se ci fosse un viaggio legale (e, sottolineo, legale) tutto questo non avrebbe bisogno di esistere. Nessuno dovrebbe mentire. Ma è al centro di accoglienza che Anis non ancora terrorista si perde completamente. Brucia insieme ad altri ragazzi una parte della struttura. È molto violento. Sconterà, come hanno già detto tutti i giornali, quattro anni di pena in varie strutture siciliane. “Non si è radicalizzato in carcere”, dicono le autorità. Ma il carcere lo ha inabissato sempre di più. Ha creato il terreno fertile per la radicalizzazione.
Lo sappiamo, le carceri italiane sono sovraffollate, invivibili. L’Ucciardone, dove Anis è finito, è noto alle cronache. Spazi angusti, corpi addensati in pochi metri soffocanti, detenuti promiscui loro malgrado. Le risse all’Ucciardone e in molte carceri italiane sono all’ordine del giorno. Il personale, soprattutto la polizia penitenziaria, è sempre sul piede di guerra. Sono in pochi e fanno turni massacranti. E poi hanno paura per la loro incolumità. Il loro numero non è sufficiente a tenere tutti quei detenuti. La situazione nelle carceri è drammatica. Luigi Manconi e Rita Bernardini ce lo ricordano sempre che il nostro sistema penitenziario non solo è in crisi, ma produce ancora più frustrazione e criminalità.
Il carcere non dichiarato
Dopo L’Ucciardone c’è stato il Cie, il centro di identificazione ed espulsione. Un carcere non dichiarato dove si finisce perché si è in stato di irregolarità con i documenti o i n attesa di espulsione. I Cie sono un universo psicotico dove lo spazio e il tempo sono sospesi, si è solo trattenuti, ma in soldoni si è carcerati. Si attende. Puoi guardare la tv, le donne cercano di abbellire le loro celle che qui chiamano camere, ma sei in un non luogo e la tua diventa una non vita. Puoi rimanerci un mese, due, ma anche diciotto. Ci puoi finire dentro perché il tuo datore di lavoro non ti rinnova il contratto e quindi non puoi avere il permesso di soggiorno o, come il futuro terrorista Anis Amri, perché sei in attesa di espulsione dopo aver scontato una pena in carcere. Uscire dal carcere per finire in un altro che ha regole ancora più assurde del primo.
La malaccoglienza da troppo tempo in Italia produce schivitù e sfruttamento dei migranti
Basta leggere il rapporto Accogliere. La vera emergenza per capire che siamo nei guai. LasciateCIEntrare ha girato l’Italia per un anno intero, il 2015, monitorando i centri di identificazione ed espulsione (Cie), i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e i centri di accoglienza straordinaria (Cas). Quello che emerge dal rapporto è la “malaccoglienza” italiana che diventa teatro dell’assurdo non solo nei Cie, ma mostra le sue crepe anche nelle strutture ordinarie d’accoglienza. Il sistema è costoso, il personale spesso non è preparato, in molti non sanno nemmeno l’inglese e non riescono a comunicare con i migranti, gli appalti non sono chiari, c’è tanta improvvisazione. Quello che ha fatto dire a Stefano Galieni, dell’associazione Diritti e frontiere, che “è la politica la grande assente di quanto sta accadendo in Italia e in Europa. Dietro ogni struttura che nasce o muore vi è opacità assoluta, non ci sono garanzie di standard reali di accoglienza”. Questa malaccoglienza, come ha sottolineato Yasmine Accardo, curatrice del volume e membro di LasciateCIEntrare, in una intervista a Piuculture “da troppo tempo in Italia non fa che produrre schiavitù e sfruttamento dei migranti, mentre continua a rappresentare in troppi casi una fonte facile di guadagno per chi si accaparra bandi o per chi riceve affidi diretti, motivati dall’emergenza”.
Malaccoglienza, ecco la parola per capire il mistero Anis Amri, un ragazzo difficile che di tappa in tappa diventa più violento, più opaco, dagli occhi insensibili. Ecco Anis Amri che accoltella il camionista polacco Łukasz Urban, che voleva comprare un regalo alla moglie a Berlino, ecco Anis Amri che mette il piede sull’acceleratore del tir rubato e falcia vite. L’Italia è la porta dell’Europa. Salva vite certo, la guardia costiera fa un lavoro da Nobel della pace, fa un lavoro che non fa nessuno. Di questo possiamo essere orgogliosi.
Ma è sul resto che non va. Noi come gli struzzi mettiamo la testa sotto la sabbia. Basta che muoiono un po’ più in là, basta che non si facciano vedere troppo e se ne vadano in Germania e in Svezia. L’Italia non vuole organizzarsi. E questo non da oggi, ma dagli anni novanta. Qualcosa che ormai è un fatto ordinario è ancora definito emergenza. Non abbiamo personale preparato, non abbiamo strutture adeguate, come ci ha mostrato LasciateCIEntrare, non abbiamo carceri all’altezza, non sappiamo nulla dei paesi che si affacciano sul nostro stesso mare. Quando si parla di immigrazione si usano frasi retoriche come l’ormai sempreverde “Se ne tornassero a casa loro”. Ma nessuno parla seriamente di gestione del fenomeno o di piani per il futuro. E men che mai di investimenti. Come si può risolvere il nodo immigrazione senza soldi?
Ripenso agli occhi che descrive Francesca Bellino nel suo romanzo. Gli occhi dei giovani al di là del mare, in Tunisia. Alcuni occhi sognano di diventare Mozart, Pelè o Steve Jobs. Altri non hanno idea di cosa sia il futuro, sono arrabbiati, frustrati umanamente e sessualmente. Arrivano sia i Mozart sia gli Anis Amri. Ma la malaccoglienza è uguale per tutti. C’è chi con forza d’animo, ed è la maggior parte, ce la fa nonostante tutto. Alcuni continuano il viaggio verso terre che facilitano l’inserimento, altri restano qui a vendere frutta ai mercati o come un mio amico si trasformano da pescatori in apicoltori. E sì, c’è anche chi non molla e diventa comunque Mozart. E poi ci sono gli Anis Amri. Sarebbe consolante fare come Ponzio Pilato, facile lavarcene le mani, e dire non è roba nostra, non ci interessa, era un violento psicopatico. Probabilmente era un violento psicopatico, forse non avremmo potuto fare nulla per cambiare la sua sorte e quella delle sue vittime. Ma non ci siamo presi il disturbo di fare qualcosa.
La nostra politica è stata a guardare. E anche noi non abbiamo fatto nulla, nessuna pressione affinché qualcosa cambiasse. Avevamo il dovere di provare a recuperarlo. Se non per solidarietà, per la nostra sicurezza, per impedirgli di finire tra le braccia del terrorismo. Allora forse una delle armi è proprio l’accoglienza (non la sola, ovviamente, serve anche un coordinamento tra polizie e intelligence). Combattere questa frustrazione che c’è in giro. D’altronde basta leggere la propaganda jihadista per capire che i terroristi hanno paura dell’accoglienza. Dicono, non a caso, che il loro obiettivo è distruggere la “zona grigia”, ovvero lo spazio di convivenza tra diverse fedi e tradizioni. Vogliono odio e frustrazione. Vogliono la nostra paura.
Ecco perché per sconfiggerli bisogna andare ostinatamente nella direzione contraria. “Love is the answer” direbbe John Lennon. Certamente. Ma ripristinando la legalità. Solo la legalità, ovvero regole condivise e diritti non violati, potrà salvare la nostra civiltà. I muri ci porteranno tra le braccia dei terroristi e daranno manovalanza ai fomentatori dell’odio. Non permettiamo che questo succeda. Questa volta dipende anche da noi. [igiaba scego, internazionale]
invito
Ieri sera abbiamo consumato un po' di pizze sospese, eravamo più di 100 tra Srilankesi, ghanesi, bielorussi, nigeriani, italiani e sanitanesi.
analogie di quartiere
Una mail
inviata all’amministrazione di un comune di Bologna, una cittadina che chiede
spiegazioni, come giusto che siano. Sono così tante le analogie con il nostro
quartiere che sembrano che il fruttivendolo, la suora, il barista e il
ragioniere della Sanità abbiano deciso all’unisono di scrivere per acclarare le
loro indiscusse e antiche argomentazioni. Pubblico il testo integrale.
“Cogliendo
l’invito dell’Assessore Lepore che auspica una cittadinanza “in
conflitto” con le istituzioni (sue testuali parole), t’invio una piccola
riflessione in merito all’incontro del primo dicembre. Volutamente
provocatoria, nella speranza di suscitare un’emozione, ma soprattutto una
reazione costruttiva. Immaginazione civica: parole evocative che dovrebbero
riaccendere speranza e fiducia. E allora perché continuo a rimanere sulla
difensiva? Non è un pensiero razionale, piuttosto è un impulso, una sensazione
di malessere sotto pelle, che non mi permette di fidarmi fino in fondo
(dopo Pilastro 2016).
Immaginazione
civica: suona davvero bene. Ai cittadini si chiede cooperazione, idee,
progetti, soluzioni ai problemi. Ma non sarà che si chiede di sopperire alla
carenza di servizi con il volontariato organizzato? Di trovare soluzioni ai
bisogni “isorisorse” (tradotto: a costo zero per voi)? Voi di idee ne avete?
Perché le risorse non le avete, lo specificate sempre. Però, forse,
aiuterete i cittadini attivi e propositivi a trovare degli sponsor.
Che fortuna! E lo dite molto soddisfatti, dall’alto del vostro pulpito. Non
trovate risposte, ma sponsor, forse sì. Perché voi siete sicuri, attaccati alla
certezza del vostro presente, mentre a noi, quelli che fanno fatica a sbracare
il lunario, tocca immaginare il futuro… ma dov’è il domani? Perché è davvero
troppo lontano per noi. Rischiamo di non avere la forza per
raggiungerlo. Il tempo assume un valore diverso a seconda della situazione
in cui ci si trova, non dimenticatelo mai.
E non ditemi
che mi lamento del fatto che finalmente si apre alla progettazione dal basso,
perché faccio fatica a credere che si dia la possibilità di includere chi è
realmente escluso. Agli incontri vedo sempre le stesse facce. Anch’io stessa
sono privilegiata, perché sono informata. Ma quando ti trovi realmente ai
margini, non è così semplice. Quando sei in una situazione di disagio, quando
parli la lingua malamente, quando non sai nemmeno che esista una piattaforma
virtuale che ti permette di connetterti con l’amministrazione, (e se anche lo
sapessi, a cosa ti potrebbe servire?) quando il lavoro non c’è, quando devi
associarti anche solo per far sentire la tua voce (e pure questo costa gli euro
di una tessera) … ai reietti, quando capita, si fa solo un’estemporanea
beneficenza, invece di “immaginare” di aiutarli a uscire fuori dal disagio per
sempre. Perché redistribuire vuol dire dare a qualcuno togliendo ad altri. E se
gli uni siamo noi, va tutto bene, ma se siamo gli altri… allora no!
Sui progetti delle cooperative sociali ho sempre
qualche perplessità. Perché mi sembra che troppo spesso i reali beneficiari
siano le cooperative stesse, piuttosto che i “portatori di
bisogni”.
Scrivete “Vogliamo investire nel capitale
sociale con fiducia e coraggio e per questo è importante fin da subito aprire
una fase di ascolto”. La fiducia credo che dobbiate metterla voi, perché noi
l’abbiamo esaurita molto tempo fa. Il coraggio, invece, è tutto nostro.
Perché, credimi, ci vuole tanto coraggio a non arrendersi e a continuare a
guardare avanti. Ascolto? Stiamo urlando da tanto tempo, non ve ne siete
ancora accorti?" [lorenza zullo]
ceta
UNA TESTA DELL’IDRA
"Le disuguaglianze e il riscaldamento sono le principali
sfide del nostro tempo", scrive il noto economista francese T. Piketty. Da qui
la necessità di stipulare trattati internazionali che consentano di rispondere
a queste sfide promuovendo un modello di sviluppo sostenibile. Da questo punto
di vista, l’Accordo commerciale tra Canada e Unione Europea (CETA) è un
trattato di altri tempi. E va quindi respinto". Piketty, autore del noto studio Il Capitale del XXI secolo, motiva
così questo suo giudizio sul CETA. “Il trattato è di natura strettamente
commerciale e non contempla alcuna misura vincolante sul piano monetario o
climatico".
Penso che Piketty abbia colto, in poche parole, il perché il
CETA vada respinto al mittente. E’questo il momento di farlo. Infatti il 30
ottobre si sono chiusi a Bruxelles i negoziati portati avanti, per sette anni,
in maniera quasi segreta, dalla Commissione Europea e dal governo canadese.
Questo nonostante le proteste popolari e mediatiche culminate nella coraggiosa
opposizione del Parlamento Vallone, purtroppo superata dal Sì del Belgio alla
condizione però che l’ok finale dovrà essere dato non solo dai parlamentari del
Canada e della UE, ma anche da quelli dei 27 paesi della UE. Ora tocca al
Parlamento europeo discuterlo ed approvarlo, facilmente a fine gennaio/inizio
febbraio. Per questo è necessario far montare, come abbiamo fatto per il
TTIP (Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti), una campagna
mediatica contro il CETA.
Ma dobbiamo fare uno sforzo grande per informare i cittadini
sul perché rifiutiamo questo Accordo. Questo trattato è prima di tutto un grande regalo alle multinazionali e
una lotta al ruolo e alle competenze dei governi ed enti locali. Il trattato
infatti prevede l’abbattimento delle cosiddette barriere non tariffarie’,
Questa è un’espressione precisa per definire l’attacco al diritto al lavoro,
alla difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici come acqua, scuola, sanità.
Il Trattato poi prevede il diritto delle multinazionali di chiedere
compensazioni agli Stati contro l’"espropriazione indiretta" dei profitti
previsti. Una clausola che consente alle multinazionali di citare gli Stati
davanti a tribunali arbitrali. Il CETA poi contiene clausole che impediscono la
ri-pubblicizzazione dei servizi idrici, ferroviari…
Inoltre l’Accordo prevede un "Forum sulla cooperazione regolatoria" che istituzionalizza l’influenza
delle lobby nel processo legislativo. In poche parole il CETA consentirebbe ad
almeno 40 mila multinazionali USA tra le quali Coca Cola, Wal Mart e tante
altre di ottenere grandi benefici nei 27 paesi della UE. Questo Accordo poi, se approvato dal Parlamento europeo,
aprirà le porte agli altri due Trattati ancora più pericolosi: il
TTIP (Partenariato Commerciale USA-UE ) e il TISA (Accordo sul Commercio dei
Servizi).
Il TTIP è ora su un binario morto, sia per la forte opposizione
popolare sia per l’arrivo di Trump. Ma in questo momento i prestigiatori
finanziari potrebbero tirar fuori dal cilindro il più pericoloso di tutti i
trattati: il TISA che impedirebbe i monopoli pubblici (educazione nazionale) e
fornitori esclusivi di servizi, anche a livello regionale e locale (per esempio
le municipalizzate per i servizi idrici). Come cittadini non possiamo accettare l’approvazione di
questi accordi il CETA, TTIP, TISA che consegnerebbero l’Europa e il mondo alle
sole logiche del mercato. E’ proprio quanto Papa Francesco bolla con tanta
forza: "l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria".
Se vogliamo bloccare questa deriva, dobbiamo fermare ora il
CETA che apre le porte a tutto il resto.
Il tempo è breve, febbraio è alle
porte. Per informazioni ulteriori basta entrare nella rete#stopttipItalia che porta avanti anche la campagna contro il
CETA. Mobilitiamoci! E’ quanto ci invita a fare Papa Francesco, che parlando al
terzo Congresso Mondiale dei Movimenti Popolari tenutosi a Roma il novembre
scorso ha detto: “Quando strillate, quando gridate, quando pretendete di
indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera più
tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle
‘grandi decisioni’ che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste”. Insieme ce la possiamo fare. [alex zanotelli]
pizza sospesissima
Forza che in via arena alla Sanità la pizzeria ha 1.120 pizze sospese, per un ammontare da regalare di circa 3.360 euro. Chiedo a suor Lucia che ospita, nella scuola d’italiano, più di 150 sri lankesi, o a Rosario Fiorenza nella sua comunità, o a Don Antonio Vitiello con i suoi cento e passa clochard; chiedo alle persone che dormono alla via Foria o sotto i porticati di galleria Umberto; chiedo allo storico Giuseppe della via Costantinopoli che da anni dorme sospeso sotto il portale della chiesa. Questo fine settimana io, mia moglie Sara, e i miei due bambini, Caterina ‘a Pummarola e il piccolo Vincenzone, andremo da Concettina ai tre Santi alla via Arena alla Sanità 7 Bis e mangeremo gratuitamente. La pizza sospesa non è un atto di carità ma la riscoperta del dono. Vi invito tutti, arrivate da ogni parte di Napoli: ‘o n’vitato po’ n’vità! [+blogger]
surplus culturale
Napoli è una città protetta, lo è
sempre stato fin dalle suo origini. I terremoti e le calamità naturali hanno
sempre risparmiato la città partenopea. San Gennaro in primis tra gli artefici
della gamma virtuosa di uomini straordinari, ma sarebbe troppo lunga la sfilza
di religiosi da citare. Una “profezia che si autoadempie”, la voglia di
sopravvivere, di scherzare con la morte, di farsela amica, un miscuglio di
idee, passioni, amore, paura, attese. Ma l’arte della teoria è qualcosa di
diverso dalla pratica illuminata nel suo divenire. Noi abbiamo la possibilità
di provare che tutto è vero se realmente crediamo a tale verità, anzi essa è
tangibile nella mente del singolo e molto spesso anche nella mente collettiva.
Naturalmente con le dovute differenze tra malattia e superstizione, quello che
nasce è una forma cultuale “alta”, qualcosa di altro dal di fuori, qualcosa che si forgia dentro naturalmente.
Spesso una forma poetica, ma anche un semplice morso di tarantola (come nella
“terra del rimorso” di E. De Martino), il sangue che si liquefa, le mani con le
stimmate, la visione celeste.
L’uomo si protegge, la mamma protegge
i suoi piccoli, anche con la preghiera e la vocazione; chi non crede s’aggrappa
alla materia che ha sempre una sua giustificazione. Vivere nell’oblio è n’u scuore. Così come la jella è una
forma di protezione, la causa che risolve le cose; il rito preclude tutta una
serie di inadempienze. Un’altra caratteristica è la mancanza, un “sentimento” che non può essere accettato se si è
pari. In passato c’erano i ceti, oggi c’è la finanza che nella sua più diretta
espressione mette in relazione la ricchezza con un Dio. Un esempio inversamente
proporzionale: il cimitero di Poggioreale di Napoli. Se con l’espressione
“Signore onnipotente” si alzano gli occhi al cielo, con la stessa onnipotenza,
invece, nel cimitero napoletano quanto più s’abbassano gli occhi tanto più si
acquistano prestigi e favori. Per il mondo dei trapassati il diavolo non conta
anche se appena sotto i piedi. L’ultimo loculo situato all’ultimo piano di una
palazzina e materialmente più vicino al cielo, è considerato dai vivi poco
redditizio, mentre ai piani inferiori il prezzo sale vertiginosamente. Insomma
una forma di protezione dal basso.
Eppure le credenze superano di gran lunga la razionalità, credere senza aver
mai visto e sentito, gli esseri umani proteggono se stessi e santificano giorno
per giorno le loro fatiche.
Qui c’è una componente, qualcosa
che plasma l’essere, il divenire e la sua cultura. Qui c’è un illuminismo che
rende magica la jella e lo jettatore. Napoli non è una città contraddittoria,
Napoli sconta migliaia di governanti che hanno parlato lingue differenti. Ed anche
da questi ultimi i napoletani si sono difesi. La difesa è una condizione umana
che pone sempre e comunque delle strategie per sopravvivere. Da questa
condizione nasce non una vita parallela ma una ricchezza, una condizione umana che s’interseca nella quotidiana
rassegnazione, nell’esistenza continua ed esasperata (conoscere questo surplus
culturale è importante). Proteggersi e
proteggere diventa una condizione fondamentale, la costruzione della realtà che
parte dalla presenza di una entità che con forza afferma la sua storia. Il male
fatto a me, e che mi attanaglia, non
mi appartiene, il sangue mi preserva, il rito lenisce il mio dolore, lo
jettatore è la mia speranza.
Forme di protezione, forme di mancanza, una forza incontenibile, un plasmarsi di esperienze, di interazioni continue, un continuo nel divenire; così oggi nell’attesa come nella vita, nel sogno come nei numeri a lotto. Questa energia è nuova, nasce e sbilancia, un moto spontaneo che non potrà essere arrestato. Il Vesuvio ci protegge, san Gennaro ci protegge, la lava dei Vergini ci protegge, rito pagano o religioso che sia è una forza collettiva che non conosce fine. [+blogger]
movimento di resistenza popolare
ZTL DIMEZZATA
La commissione della Municipalità
3 ha approvato la realizzazione della Ztl alle via Vergini, sono stanziati circa 170 mila euro. Aldilà delle buone intenzioni,
alcune domande sono lecite. Nell’unica assemblea fatta ad Ottobre sono emerse
alcune perplessità a riguardo; un consigliere ha dichiarato che la stragrande
maggioranza dei commercianti non era
d’accordo, perché in questo momento una zona a traffico limitato sarebbe
inutile. Anche dalle nostre indagini sembra che gli stessi abitanti non siano d’accordo senza una giusta regolamentazione.
E’ stato previsto il riassesto
della zona mercato? E il controllo delle licenze con la regolarizzazione degli
ambulanti? In più, è stata inoltre prevista una zona di stallo per lo scarico
merci? L’area è a forte densità abitativa, questo vuol dire che per i residenti
è previsto il permesso, cioè per tutti gli abitanti del rione Sanità? Nella via
Mario Pagano il mercatino da anni ostruisce la zona di fuga della Scuola
Angiulli, creando problemi di circolazione sia pedonale che automobilistico,
cosa è stato fatto a riguardo?
In passato è stata fatta una
petizione popolare firmata da 1000 cittadini dove si richiedeva la risistemazione
della fontana davanti alla chiesa di santa Maria dei Vergini, che non è mai
funzionata; oggi è uno ricettacolo di munnezza e degrado. Dalla stessa emerge
la richiesta di una zona aiuole con diverse panchine data in affidamento alla
parrocchia adiacente. Previsti anche i dissuasori nei vicoli e vie adiacenti
per evitare la sosta selvaggia e il transito dei motorini. Nella ztl cittadina
c’è sempre un’auto delle guardie municipali...dall'ambita democrazia partecipata così tanto di moda oggi, è stato preso in considerazione tutto ciò? [m.r.p.]
mors tua vita mea
L'arretratezza dei napoletani? Sono forse un cittadino represso, ma la
storia che gli italiani al nord si sono liberati da soli e quelli al sud,
invece, hanno aspettato gli alleati dimostra ancora forti lacune. Paradigma o
no, gli effetti di quello che sta succedendo nel rione, parere personale, sono
dovuti ad una scellerata commistione, d'altronde abbastanza antica, di sviluppo
verticistico unilaterale. (mamma mia che parolone). E' la vecchia storia: mors
tua vita mea. Quello che forse non ho inteso è il fatto che chi, per esempio,
organizza una rappresentazione teatrale nell'ossario delle Fontanelle lo fa
anche perché... sono i morti a chiederglielo: perché dovrebbero privarsi di
tutto ciò? Ricordate lo striscione che comparve sull'entrata del cimitero di
Poggioreale nell'anno del primo scudetto del Napoli?!: "Che ve site perz"!!", e il
giorno dopo un altro striscione diceva: "Ma chi ve l'a ditto?!"
Se una concezione particolare ci unisce alla morte, questo non sfugge
all’economia che fa proseliti in nome di una giustificata concezione messianica:
con i soldi puoi fare tutto. Ma anche se in ritardo qui le differenze iniziano
a farsi sentire, e se prima la popolana gravida urlava a squarciagola, oggi spizzicca un po’ l’italiano antico. La questione
salvifica, immaginazione creata da una commistione di giudici e giudizi, attualmente
fa leva su delle incongruenze . Qualche associazione
mette su un comizio politico di vecchi democristiani nostalgici, e subito parte
una kermesse di azioni intellettuali. Il proselitismo sfoggia la sua ultima
pizza, il suo babà ricco di arte e di cultura e così se su google cerchiamo
rione Sanità in primis esce la camorra, poi una pizzeria e subito dopo una
pasticceria. Il che è abbastanza confortante visto le premesse passate di un
rione ombra.
Il rivoluzionario oggi non si vanta di avere gli ipogei dei Cristallini o i palazzi del Sanfelice, meglio una accomandazione per il paradiso. “Sono il solito criticone che sa solo lamentarsi”. La pezza a colori la conosciamo un po’ tutti e intanto il gioco non sono io a condurlo. I cani sciolti fanno affari. Il politico si vanta, l’eroe di turno anche, si vanta il religioso e le suore, il cittadino medio e l’intellettuale, mi vanto anche io di aver scritto quest’articolo pur avendo la febbre a trentanovemezzo. Ma non è tanto per giustificare le inesattezze di cui sopra direte, forse se stavo zitto avrei almeno colto il murale di piazza Sanità, vera trasformazione e rivoluzione formativa. [+blogger]
Il rivoluzionario oggi non si vanta di avere gli ipogei dei Cristallini o i palazzi del Sanfelice, meglio una accomandazione per il paradiso. “Sono il solito criticone che sa solo lamentarsi”. La pezza a colori la conosciamo un po’ tutti e intanto il gioco non sono io a condurlo. I cani sciolti fanno affari. Il politico si vanta, l’eroe di turno anche, si vanta il religioso e le suore, il cittadino medio e l’intellettuale, mi vanto anche io di aver scritto quest’articolo pur avendo la febbre a trentanovemezzo. Ma non è tanto per giustificare le inesattezze di cui sopra direte, forse se stavo zitto avrei almeno colto il murale di piazza Sanità, vera trasformazione e rivoluzione formativa. [+blogger]
blocco dei ricoveri
COMUNICATO STAMPA
BLOCCO DEI RICOVERI, DAY
HOSPITAL E
DAY SURGERY ALL’OSPEDALE SAN
GENNARO
Il blocco dei ricoveri, day hospital e day surgery, disposto
dal direttore del dipartimento assistenza ospedaliera, dr. Rosario Lanzetta,
sancisce la completa dismissione dell’ospedale san Gennaro, in definitiva la morte
del presidio ospedaliero.Disposizione contraria a quanto concordato e cioè la
riconversione dell’ospedale anche in attività ambulatoriale 12 H , per
prestazioni in Day Surgery.
Riteniamo grave la chiusura dell’ospedale in poche ore
perché questo obbliga i pazienti ad andare in altri presidi, tradendo il
rapporto di fiducia che gli stessi hanno stabilito con i medici dell’osp. San
Gennaro.
Tradendo altresì ogni principio
di etica tra medico e paziente. Inoltre è grave che sul dispositivo, a firma del dr.
Lanzetta, manchi quella del direttore generale dell’ASL NA , dr. E. Abbondante.
Tutto questo avviene disattendendo quanto promesso dal
presidente della Regione V. De Luca nell'incontro con i rappresentanti del
comitato ospedale San Gennaro tenutosi in Regione il 2 novembre scorso. Come comitato riteniamo tutto questo molto grave , perché lesivo
dei diritti alla salute dei pazienti del Rione Sanità. [comitato ospedale san gennaro]
dal rione pilastro di bologna
Cos'è il
Pilastro di Bologna?
Wikipedia scrive: Pilastro è un rione periferico della città
di Bologna, che si estende nella estremità ad est della zona
abitata. A livello amministrativo appartiene dagli ultimi anni al quartiere San Donato San Vitale.Il quartiere è stato
concepito all'inizio degli anni sessanta del XX secolo per accogliere
l'immigrazione verso la città di Bologna, particolarmente numerosa in quegli
anni. Ulteriori interventi di edilizia abitativa e commerciale si sono
susseguiti fino alla metà degli anni ottanta del secolo scorso, e poi di nuovo
attorno al 2000.Il quartiere, nel tempo, ha rappresentato una delle aree più
degradate della città di Bologna, nonostante numerosi tentativi di recupero da
parte delle amministrazioni comunali. È in questo quartiere che la banda della Uno Bianca compì uno dei
suoi più sanguinosi atti, uccidendo tre carabinieri nel 1991.
Non che quel che scrive Wikipedia corrisponda sempre alla verità, però
credo che se domandassi ai Bolognesi cos’è il Pilastro, risponderebbero
esattamente così. Un posto dal quale stare alla larga. Un agglomerato di pregiudizi (sta scritto in una guida di Bologna). Per me? Circa un anno
fa scrissi queste parole. “ Il Pilastro? Una scelta. Pima
del 1996 la scelta di ignorare questa parte di Bologna. Non mi aveva mai
attratto. Non mi piace il grigio. E il Pilastro, se osservato da lontano,
appare solo grigio. Perfino i muri colorati, sbiaditi e scrostati, sembrano
arrendersi al lento contagio del grigio. Ma il lavoro mi costrinse ad
avvicinarmi. E scoprii il suo primo segreto: il verde dei parchi celati e
protetti tra gli edifici. Poi entrai in molte case e conobbi le persone.
E il suo secondo segreto: un magico e precario equilibrio di tradizioni,
fedi, abiti, idiomi che s’intrecciavano in ogni angolo di strada. Teppismo,
maleducazione e sporcizia? Certo che c’erano. E ci sono ancora, ma come
in qualsiasi altra parte della città. E dal 2003 la scelta di vivere qui.
Perché
impegnarti come scrittrice o blogger?
Il blog? Mi ritrovai per caso a una riunione. E continuai a partecipare. Per
dar voce al Pilastro. Per svelare i suoi segreti a chi continua a guardarlo da
troppo lontano.”
Sei una
cittadina di questo rione?
Si sono un’abitante del rione. Qui non ci definiamo cittadini, ma abitanti,
perché molti si sentivano esclusi perché non hanno la cittadinanza
italiana. Quando mi si domanda dove abito, rispondo tranquillamente il
Pilastro. Il più delle volte le persone si sentono in obbligo di dire “ah,
ma non è più quello di una volta” oppure “non l’avrei mai detto". E
questo la dice lunga su quel che si pensa realmente del rione. Da quando
vivo qui mi sento Pilastrina, nel senso che vivo questo quartiere e non lo
uso solo come dormitorio, vivendo il il resto della città. Scrivere mi piace,
anche se l’ho scoperto da grande. Prima mi affascinavano di più i
numeri. Sono finita per caso ad un incontro dei “cantieri” istituiti
per il Progetto di riqualificazione Pilastro 2016 (per festeggiare i 50 anni,
è stato detto, ma in realtà è per il progetto FICO). Credevo
di trovarmi in quello dedicato alla storia del Pilastro, e invece mi sono
trovata in quello della comunicazione. La casualità… sono curiosa e ho
continuato. Mi ha intrigato l’idea di poter diventare portavoce degli
abitanti. Ammetto che il desiderio di riscatto del Pilastro è stato
forte. Riqualificazione… maledetta parola. Ti si appiccica addosso e
non te la scrolli più. Di gran moda adesso come tante altre
: cittadinanza attiva o partecipata, empowerment, rigenerazione, ecc
Conosci
il rione Sanità?
Solo parzialmente. Ricordi da piccola, quando venivo spesso a Napoli a
trovare alcuni parenti. Chissà com’è cambiato.
Secondo
te la criminalità è solo dovuta alla mancanza di lavoro?
La criminalità? No, non è dovuta solo alla mancanza di lavoro, ma sicuramente è incrementata da ciò. Qui c’è molto spaccio. Per i ragazzi è un modo “facile” di guadagnare. E poi… sei sempre considerato un reietto, uno da tenere alla distanza, fino a quando devi organizzare una seratina con i tuoi amici "per bene"… allora si che ti vengo a cercare! Anche qui il lavoro lo si trova solo se conosci le persone giuste, solo se sei “imbazzato”. Non sembra si possa avere una possibilità. Solo porte chiuse. E quindi ci si arrende. Si diventa aggressivi. Violenti. Si ruba. L’assenza di lavoro rende facile arruolare “gli operai” della criminalità, unica organizzazione che assume oggi. Ad un incontro alcuni educatori hanno affermato che i bambini/ragazzi che vivono in famiglie disagiate, spesso sono “geneticamente” programmati. E che quindi sono predestinati. Non riesco ad arrendermi a questa idea. Non riesco a credere all’ineluttabilità di un destino. Sicuramente non possono tutti cambiare, ma lavorare ritenendo che tanto nessuno lo farò. Non so, mi lascia perplessa. Sempre questa idea di distanza. Loro non sono come noi. Loro sono dannati.
La criminalità? No, non è dovuta solo alla mancanza di lavoro, ma sicuramente è incrementata da ciò. Qui c’è molto spaccio. Per i ragazzi è un modo “facile” di guadagnare. E poi… sei sempre considerato un reietto, uno da tenere alla distanza, fino a quando devi organizzare una seratina con i tuoi amici "per bene"… allora si che ti vengo a cercare! Anche qui il lavoro lo si trova solo se conosci le persone giuste, solo se sei “imbazzato”. Non sembra si possa avere una possibilità. Solo porte chiuse. E quindi ci si arrende. Si diventa aggressivi. Violenti. Si ruba. L’assenza di lavoro rende facile arruolare “gli operai” della criminalità, unica organizzazione che assume oggi. Ad un incontro alcuni educatori hanno affermato che i bambini/ragazzi che vivono in famiglie disagiate, spesso sono “geneticamente” programmati. E che quindi sono predestinati. Non riesco ad arrendermi a questa idea. Non riesco a credere all’ineluttabilità di un destino. Sicuramente non possono tutti cambiare, ma lavorare ritenendo che tanto nessuno lo farò. Non so, mi lascia perplessa. Sempre questa idea di distanza. Loro non sono come noi. Loro sono dannati.
In che
modo il quartiere Sanità può avvicinarsi al rione Pilastro?
Il quartiere Sanità può avvicinarsi al rione Pilastro perché simili nella
percezione da parte del resto della città: degrado, povertà, disagio,
criminalità. Vivono la stessa definizione “territorio di frontiera”.
Entrambi separati dal resto della città da un ponte. Stanno affrontando un
progetto di “rigenerazione”. Stanno provando a uscire fuori dalla
ghettizzazione, stanno provando a far capire che Sanità e Pilastro sono anche
tanto altro, senza voler nascondere gli innumerevoli problemi o senza tentare
d’imbellettarli, ma volendo mostrare la realtà, fatta di tante persone che
vivono la quotidianità. Chi sapeva della chiusura dell’Ospedale San Gennaro? Fino a qualche
settimana fa, qui nessuno.
Secondo
te è una buona idea mettere in rete i quartieri poveri? Se sì, quali
vantaggi possono trarre quest'ultimi?
Riceviamo ogni giorno un mare d’informazione, e quel che è peggio è
che non sappiamo più distinguere la verità dalla menzogna. Mettere in rete
i quartieri poveri può essere un’occasione per unire le voci, gli sforzi,
le opportunità, le difficoltà, le strategie Senza filtri.
Raccontando la verità, qualsiasi essa sia. Anche sul lavoro mi sono sempre
domandata perché, pur avendo tutti lo stesso obiettivo, ognuno lo sviluppi
nel suo piccolo “mondo” senza condividerlo con gli altri. In questo modo
si ripetono gli errori, si disperdono le energie, si ha una visione
condizionata dal punto da cui si guarda. la progressione è rallentata. Insieme
si può creare sinergia, collaborazione. Può aiutarci a organizzarci. Quindi rete sta per: verità, sinergia, infiltrazione di idee e azioni,
velocità di propagazione, amplificazione.
Come ti dicevo, il mandato della redazione era quello di scrivere
sul blog le esperienze di rigenerazione urbana simile alla nostra. Così non mi
piaceva. Nel senso che non volevo “fotografare" solo la facciata.
Volevo aprire la porta e entrare. Volevo conoscere la vostra realtà, da pari a
pari. Raccontare la vita.
Perché ho scelto Napoli. Non so, è stato istintivo. Tra Torino, Roma,
Catania, Napoli ho detto subito Napoli. Forse perché mia madre sosteneva
che sono due città che si somigliano. Ho pensato che confrontarci potesse aiutarci.
Credi che
il turismo posso risollevare le sorti di un quartiere Ghetto?
Il turismo può aiutare. Intanto perché si supera
la “barriera” del ghetto. Poi perché si portano risorse
economiche. E si creano posti di lavoro. Il lavoro è lo snodo fondamentale. Non
ti nascondo che quando ho letto delle Catacombe, del cimitero delle
Fontanelle mi sono detta “E si, loro sono fortunati, hanno delle bellezze
culturali, noi qui che abbiamo da mostrare? Nulla ”Poi mi sono domandata quale
altra modalità possiamo avere per far arrivare la gente al nostro
rione. Ad esempio abbiamo una nuova Arena da poter sfruttare per spettacoli
estivi. Poi possiamo pensare come attirare i turisti che giungeranno per
FICO. Dobbiamo riflettere, creare, non arrenderci. Essere ingegnosi, come
hai detto tu. Non dobbiamo essere salvati perché a salvarci ci
pensiamo noi. [Lorenza Zullo]
quello che c'è!
L'incontro c'è stato, un bicchiere mezzo pieno, sempre meglio che vuoto. Si può discutere. Un rianimatore, un chirurgo e una autoambulanza attrezzata.... bastano a salvare la vita di qualcuno?! Quello che non basta sbilancia le istituzioni. Una mandria impazzita protesta e continua il suo presidio. Gente che fa scena, teatranti dell'ultima ora, artistucci morti di fame, gentaglia! Queste persone della Sanità hanno forse imparato un copione poco usuale,: recitano a soggetto, s'immergono nel pubblico creando una gran confusione. Come Pirandello che aderì al fascismo quando il Duce rischiò di cadere, per poi rinnegarlo proprio nel suo "massimo splendore".
Parabola o non, le proteste vanno avanti da molti anni. Solo la riappropriazione degli spazi pubblici (riapertura del parco intitolato in un secondo momento alla signora Parisi), e l'occupazione dell'ossario delle Fontanelle, avrebbe dovuto far pensare a qualcosa di più di una semplice "commedia". Ma i mass media e le Istituzioni sono abituati alla spettacolarizzazione. La linfa vitale per fortuna è nascosta.
Concludo con una dichiarazione del governatore della Campania, che dopo aver garantito che nell'ospedale San Gennaro un primo fondamentale soccorso è importante, subito dopo ha detto: "se non passa il referendum rischia la nostra democrazia". [+blogger]
in una macelleria della sanità
Avevo circa 11 anni quando ho
incominciato a lavorare come ragazzo in una macelleria alla via Vergini. E'
incredibile come adesso percepisco il cambiamento. Causa la povertà della mia
famiglia ho interrotto gli studi quasi bambino, così come tutti i mie fratelli
e parenti vicini. E' incedibile il tempo passato fuori di casa a lavorare, nel
periodo di Natala dalle sei del mattino fino alle undici di sera; una giornata
intera per la strada; la macelleria affollata di gente, la pioggia, il freddo
della cella figo. Poi ho imparato a "sfasciare" la carne, prima con
un pezzo facile, il gambetto, poi con quella che noi chiamiamo "lociena",
il davanti dell'arrosto. Difficile togliere senza staccare la polpa dall’osso,
difficile soprattutto in inverno quando nel laboratorio del negozio il gelo
raggiungeva le mie mani. Mi diceva il capo: "mettile sotto l'acqua fredda,
vedrai che si riscaldano". E così per circa 30 anni della mia vita ho
lavorato senza sosta, alla fine ho comprato una panda e mi sono sposato.
Una sera, era circa mezzanotte,
visto che le macellerie dove lavoravo erano due, dello stesso proprietario,
distanti 100metri l'una dall'altra, mentre mi recavo all'altro negozio mi vide
il parroco del quartiere: "Guaglio' ma tu stajo ancora faticanno?".
Voleva a tutti i costi dire al "masto" che la sua non era umanità,
che un ragazzo appena adolescente non poteva fare quella vita. Gli scongiurai
di andarsene che non potevo perdere quel posto di lavoro. Ho lavorato senza
sosta e quando guadagnavo 500mila lire alla settimana (ero già grande ed
esperto tagliatore), ero felice. Mi ricordo che odoravo (puzzavo) sempre di carne
fresca macellata, un odore che non si toglieva mai da dosso anche quando mi
lavavo e mi profumavo. Quella esalazione mi perseguitava, avevo paura che
qualche ragazza mi chiedesse cos’era.
Un episodio che non dimenticherò
mai. All’inizio, quando ero ancora un pivello lavoratore, la cosa che più mi
urtava erano le “cazziate” che beccavo dal capo. Quella concezione
paternalistica l’ho sempre schifata, l’odiavo quel rompi coglioni ignorante. Mentre
pulivo a terra, si era fatto quasi l’ora di tornare a casa, sfinito e senza
forze, il capo cazzone usci dal cesso e mentre si allacciava la cinta del
pantalone mi disse se potevo andare a “spilare ‘o cesso”, insomma quel vecchio
logorroico aveva un servo per lavoratore e nella sua pervertita coscienze
tirare la catena equivaleva ad un gesto umiliante. Volevo sputargli in faccia
ma “senza soldi nun s'e cantano messe”.
Adesso dopo trent’anni sono
felice. Da qualche mese ho cambiato lavoro, ho ritrovato il sapore della
libertà. Guadagno molto di meno e con due figli è un problema, ma non mi
interessa. Mi sono iscritto ad una scuola serale, voglio prendere un diploma. Questa
scelta non la saprei spigare bene, ma accompagnare i miei figli a scuola è una
bellissima sensazione, prima non potevo, era impossibile; adesso quando torno da
lavoro posso giocare con loro, scrutarli meglio negli occhi, assaporare la loro
felicità, e vederli saltellare con gioia quando a casa porto un piccolo “regaletto”.
[+blogger]
chiudere subito il parco
Chiudere immediatamente il parco di piazza Cavour, la situazione è gravissima (vedi foto di cui sotto). Il bambino sta rischiando la vita ad una altezza di oltre due metri. Spalliere d'appoggio staccate, gomme protettive rialzate, ferri e plastica contundenti che sbucano da sotto terra, giochi semi distrutti e l'altalena per i disabili sparita. Pericolosissimo per i bambini che continuano a giocare indisturbati. Bene impegnasi per non far chiudere l'ospedale san Gennaro o per le notti bianche... ma questa situazione è assurda! Intervenire subito.[+blogger]
"I giochi per bambini nel parco del Poggio ai Colli Aminei sono stati chiusi per molto di meno."
chi non conosce la verità...
I media nazionali
stanno pubblicando l'occupazione dell'ospedale san Gennaro, ATTENZIONE agli
speculatori che tra poco s'innalzeranno a paladini delle salute pubblica.
IMPORTANTE ricordare che da circa sette anni (eravamo soli a manifstare), la
RETE DEL RIONE SANITA' ha iniziato questa battaglia di civiltà.
Con l’aiuto della
gente e soprattutto con le donne del
quartiere abbiamo continuato a protestare e a dimostrare che la chiusura dell’ospedale
è una assurda tragedia che può lasciare senza un primo soccorso migliaia di
cittadini. Provando che le strade sono quasi sempre tutte bloccate, che in un
quartiere a rischio il pronto intervento è un doppio diritto, che le circa 3000
famiglie del rione san Gennaro sono spacciate perché l’unica via d’uscita è via
san Vincenzo, strettissima, a doppio senso di marcia e sempre bloccata in ambe
due i sensi; che l’altra via, subito dopo quest’ultima anch’essa è zeppa di
auto, intasata dal traffico soprattutto nei giorni di pioggia; proprio in virtù
di tutto ciò le risposte in merito non sono mai state esaustive e convincenti.
In verità le risposte non sono mai state date.
Come afferma Bertolt
Brecht: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la
chiama bugia, è un delinquente”. [+blogger]
tortura san gennaro
Oggi l'ennesima manifestazione per dire no alla chiusura indiscriminata dell'ospedale san Gennaro dei Poveri. #senzapolitica #senzacompromessi #riprendiamociladignità
senza partito politico
Unico nello scenario della riforma assistenziale, che nel tentativo di risanare i conti pubblici, ha chiuso definitivamente l'ospedale san GENNARO DEI POVERI.
sgretola la pavimentazione
Si sgretola la nuova pavimentazione in via Arena della Sanità La denuncia è del consulente speciale alla Memoria : “durante e dopo i lavori di una parte di piazza Mario Pagano, di via Arena, di vico Lammatari, di una parte di via Sanità avevo più volte – inascoltato – denunciato l’approssimazione con cui venivano effettuati i lavori di manutenzione straordinaria”, afferma Francesco Ruotolo “Cubetti di porfido mal fissati e poco cementificati tra loro, tratte ben eseguite ma altre tratte approssimative, leganti idraulici di scadente qualità: così, fin dalle prime settimane si presentavano varie tratte delle strade appena ripavimentate”.
E’ quanto afferma Francesco Ruotolo, consulente speciale alla Memoria alla Municipalità 3 Stella san Carlo all’Arena, che negli scorsi mesi – quando era consigliere di Municipalità - aveva denunciato (inascoltato) l’approssimazione di tali lavori, che si aspettavano da decenni in queste antiche strade – molto degradate – del rione Sanità, che fa parte del Centro Storico di Napoli, dichiarato (come è noto) dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”.
Secondo Ruotolo, “occorre obbligare la/le ditta/e esecutrice/i dei lavori a effettuare una ricognizione puntuale sulle tratte ultimate nel febbraio 2016, ma da rifare, non senza consultare quale tipo di relazione fu effettuata dagli organi tecnici della Municipalità che presero in consegna lavori così scadenti”. Piazza Mario Pagano. All’incrocio con via Arena della Sanità, un’ampia buca (oltre 150 cubetti divelti) a centro strada, lungo una tratta interamente rifatta meno di dieci mesi fa. Non è l’unico tratto approssimativamente realizzato; lungo le poche arterie rifatte sono numerosi gli episodi di cubetti diveltisi o in procinto di sfaldarsi.
l'ospedale è morto
COMUNICATO RETE RIONE SANITA'
L’ospedale San Gennaro dei Poveri (rione Sanità) è morto il 30 settembre scorso , in obbedienza al decreto
regionale 33 che ne rispetta un altro, quello governativo. Il tutto in una
logica nazionale e mondiale che sta smantellando pian piano tutti i servizi
pubblici a favore del privato. Di fatto, il S. Gennaro sarà un polo
territoriale riabilitativo e polispecialistico, con accesso tramite ticket,
disattendendo le proposte dei lavoratori del S. Gennaro. Questo colpirà le
fasce più deboli , in un quartiere con gravi difficoltà economiche. Purtroppo
sono sempre gli impoveriti a pagarne le conseguenze. In più, viene così
chiuso l’unico polo di legalità in un Quartiere ad alto tasso di violenza, dove
manca un presidio fisso di polizia e di vigili urbani. La Rete del Rione Sanità, a nome di tutto il
popolo del Rione, denuncia questo atto così profondamente ingiusto e invita
tutto il popolo del Quartiere e non solo, a ritrovarsi il
14 ottobre 2016 alle ore 16,30 in Piazza Sanità
benedetto rione sanità
Lo strabiliante successo che da
diversi anni sta vivendo il rione: il quadruplicarsi del flusso turistico, le
numerose associazioni che spuntano come funghi, le guide inventate, i negozi
tinti e pinti (il migliore, il più buono, il più bello), pone una riflessione
se non sul metodo almeno sulle cause principali del fenomeno “virtuoso”.
Ideologia a parte, non è sbagliato che migliaia di turisti visitano ogni anno
il cimitero delle fontanelle, le catacombe, le chiese, gli ipogei, i palazzi.
Così come non è sbagliato che una attività commerciale sfondi per una invenzione o una prelibatezza. Ma le cause di un
luogo storico ed artistico come il quartiere sanità non possono essere messe in
relazione con il commercio, non c’è nessuna affinità tra arte ed economia, o
no?
Questa una domanda cruciale quando
visito luoghi turistici. Mi viene in mente il film “Mortecci” diretto da Sergio
Citti, dove il povero Lucillo Cardellini (Sergio Rubini), è costretto a
suicidarsi perché reduce dalla guerra. Credendolo deceduto in battaglia, nel
suo paese d’origine edificano un museo in suo onore. Unica attività lucrativa,
dove un po’ tutti ci campano, quando i parenti, i sindaco e il prete si
accorgono che il soldato non è trapassato ma vivo lo processano e lo
costringono a morire.
Ciò che mi fa sospettare è il
fatto che oggi i media parlano del rione considerando in primis la camorra, poi
una pizzerie ed infine una pasticceria. Non che ci sia una relazione tra queste
tre entità, ma se le cause del successo, escludendo la prima, sono da attribuire al commercio, alla invenzione di
un luogo storicamente di frontiera, al tarallo partenopeo, al caos dei motorini
bhè allora il sospetto che l’artificio superi il buon senso non è poi così
sconsiderato.
Un luogo ha le sue origini. Le
pietre, le vie, i vicoli, le piazze hanno tutte una “identità” che si plasma
con la gente. Il fruttivendolo sa cosa prendere al mercato, più arance e meno
kiwi, anche il salumiere vende più mozzarella e meno prosciutto, e finanche il
tabaccaio sceglie le sigarette secondo i gusti. Ma forse sto esagerando, solo
che le differenze e le somiglianze di un territorio si imparano guardando i
cittadini di quel posto, se puoi si giudica con attenzione è ancora meglio. La
genesi di un rione che ha visto così tanti capò senza distinzione tra le
diverse appartenenze, ha posto una diversa interazione che in un modo o
nell’altro è sopravvissuta. Ma come spesso si scrive, quartiere senza una
organizzazione, al contrario, questa mancanza ha creato una nuova forza
comunicativa, qualcosa che nasce per identificazione, per riconoscenza, per
amore.
Se un adolescente è morto per
sbaglio, io non posso pensare che anche mio figlio muoia. Ho paura, sono
preoccupato, cerco soluzioni, ma non posso andare via da casa, non ho né la
possibilità né la voglia. Perché devo andare via io?!, andassero a fare in culo
loro. Ma cosa faccio per ovviare alle mie preoccupazioni? Cerco delle
strategie, le cerco per combattere e perché ho paura. Tremo perché mia figlia è
andata a scuola, ma che faccio?, non la mando? Ho fiducia nelle istituzioni? Mi
sento abbandonato, che per molti al massimo è solo una bella scusa, venite qui a vivere poi ne parliamo; io il
coraggio di rimanere ce l’ho, voi fate solo i turisti per caso.
Anche se sono uscito fuori tema,
quello che mi va dire è che quando vediamo, camminiamo, fotografiamo questo
benedetto rione Sanità, ci prendiamo l’anima del posto, la espropriamo delle
sue caratteristiche, la esaltiamo come quando ci regalano un nuovo telefonino. E’ buono il fiocco di neve, è buona la
pizza, la gente sembra indifferente, ma infondo sono abituati… poi finisce
che il ricordo è solo un oblio, che sono stanco attraversando tutti questi i vicoli, e che il
nuovo smartphone è già vecchio. [+blogger]