Ciao
Antonio, Volevo scambiare con te due parole sui fatti di
Colonia. Ho letto vari articoli dai giornali, molti dei quali io giudico
incompleti, altri che mi sembra si avvicinino di più ad una visione ed ad un’analisi
sociologica più seria, molti purtroppo talmente
patetici che non viene voglia neanche
di commentarli.
Personalmente, quando
sono venuta a conoscenza di questi episodi di violenza sulle donne a Colonia, mi
sono ricordata di un film visto qualche
anno fa (per caso in televisione) sulle donne di Ciudad Juaréz, in Messico. Conosci
questi terribili fatti di cronaca? Ecco, per certi versi i femminicidi di
Ciudad Juaréz hanno molti punti in comune con le violenze di Colonia, sebbene i fatti di cronaca che
riguardano queste due città siano avvenuti in contesti socio-culturali completamente
diversi e i femminicidi messicani siano caratterizzati
da una ferocia e una persistenza nel tempo che fa rabbrividire.
A Colonia (sebbene non si
sappia ancora come si sono svolti esattamente i fatti, né siano stati
identificati gli aggressori) un gruppo più o meno esteso di uomini ha fatto
subire alle donne non solo il furto di oggetti personali e soldi ma anche una
vile violenza sessuale che può essere definita di tipo predatorio (azione di
gruppo, accerchiamento delle vittime, umiliazioni, insulti). Atti che potrebbero essere interpretati,
considerando la descrizione degli aggressori, come una reazione alla
frustrazione data dall’impossibilità, non solo di possedere oggetti di valore e
soldi, ritenuti simbolo di status sociale, ma anche dall’impossibilità di
accedere al controllo del corpo e della libertà delle donne attraverso forme di
potere che ancora in molti paesi sono considerate come leggittime. Sembra che alla
frustrazione di essere demuniti economicamente
e socialmente, si aggiunga quella di essere spossessati della sola forma di
potere che si acquisisce culturalmente
in quanto “uomo”: quella di
disporre delle “proprie” donne. Non a
caso infatti le due forme di violenza sono state perpetrate allo stesso tempo:
furto e violenza sessuale. Il corpo delle donne si vuole possedere come un qualsiasi
altro oggetto prestigioso, quest’ultimo non accessibile per motivi economici, il
primo inaccessibile anche per motivi
culturali e di status. Dietro questa visione maschilista e consumistica vi é
l’attacco alla figura della donna emancipata, che ha spezzato le catene (almeno quelle più
grosse) della sottomissione al “maschio” (e ricordiamo, lo ha fatto nei paesi
occidentali combattendo coraggiosamente e senza tregua).
A Ciudad Juaréz invece la
situazione é diversa, quasi speculare: si tratta di donne demunite che fuggono
da privazioni economiche e spesso da violenze domestiche cercando un’emancipazione
nel lavoro salariato. Entrano però in una spirale di ulteriore violenza sui luoghi di lavoro, le aziende manifatturiere
(le maquilladoras) delle zone franche create grazie al NAFTA, l’accordo nordamericano per il libero scambio, che ha
favorito la nascita di numerose fabbriche al confine con gli USA. Queste
aziende recrutano manodopera a bassissimo prezzo, costituita soprattutto da
donne sole, povere, spesso minorenni.
Una manodopera docile costretta ad un lavoro alienante che si effettua in cambio di un salario
miserabile. A questa violenza sul luogo di lavoro si aggiunge quella dei crimini sessuali dei
quali queste operaie sono vittime... I dati sono agghiacciati: centinaia di donne
sequestrate, seviziate, mutilate, violentate e poi uccise, molte svanite nel
nulla. La quasi-totalità delle vittime é
povera, immigrata, giovane. Fatti
di cronaca che si accumulano da più di un decennio, nella quasi completà
impunità delle autorità. Si parla di più di 500 donne trovate morte o sparite
in meno di 10 anni nella sola Ciudad Juaréz (ma svariate migliaia in tutto il
Messico) ...raccapricciante.
In entrambi i casi la
donna é vista come una merce da sfruttare, di cui appropriarsi. Nel primo caso
in quanto merce altrimenti inaccessibile, che si può possedere solo tramite la
violenza. Nell’altro caso come merce svalutata, quasi un’appendice della catena
di montaggio, un oggetto che può essere
rimpiazzato a volontà, della cui disparizione nessuna persona che “conta” si
preoccupa- una valvola di sfogo della violenza delle gang. Entrambe vittime di
una cultura basata sul machismo, dell’indifferenza delle autorità (almeno fino al momento dello scandalo). Vittime
della frustrazione del mancato esercizio del potere patriarcale
e della degradazione economica legata all’esclusione dal mondo del lavoro (a
Ciudad Juaréz e nella zona NAFTA gli uomini sono esclusi dalle fabbriche a
favore di un pubblico quasi interamente femminile e sono attratti nei circuiti criminali), oggetto attraverso il
quale si accresce il proprio status in seno al gruppo (in Messico la violenza
sulle donne é spesso vista come “atto di
iniziazione” di ingresso nelle gang) .
Quello di Ciudad Juaréz é
solo un esempio, di cui mi sono ricordata per caso grazie ad un film visto anni
fa. Ma gli atti di violenza sistematica
sulle donne sembrano essere una
costante, nonostante i molteplici contesti
culturali, economici, sociali nei quali sono consumati (dagli stalker, agli
stupri di gruppo fra gli adolescenti, dalle molestie sessuali nei luoghi di
lavoro e pubblici, agli stupri pianificati sulla popolazione femminile durante
le guerre...).
Questa molteplicità di contesti evoca una possibilità triste ed inquietante: che la violenza sulle donne riguardi tutto l’universo maschile e che in situazioni di crisi per l’uomo riaffiori la tendenza alla messa in atto di una forma arcaica di potere, intemporale e transculturale, che si esercita sulle corpo delle donne. Una forma di potere che, come qualsiasi altra, potrà essere contrastata solo sul terreno della lotta, sul terreno dell’unione degli interessi di un gruppo - quello delle donne in questo caso - che non dovrà mai abbassare la guardia, in qualsiasi posto del mondo si trovi, pena di vedere le proprie fragili conquiste sgretolarsi nell’indifferenza generale. [Leandra F.]
2 commenti:
E' la questione più antica del mondo: il potere. Ecco perché si sono inventati le donne egoiste, più brutte degli uomini, più bastarde, più vigliacche. L'interesse deve avere una sua giustificazione altrimenti la mente umana non sopporta più le discrepanze dell"Anima". La cattiveria è cosa differente che accomuna chi percepisce il mondo in un altro modo. Non conosco la normalità, vedo però la devianza che è pur sempre definita da me. La violenza legittima, oltre che essere affascinante, e una tesi che emerge in quest'ultimi anni è che una guerra totale azzererebbe il debito dei paesi, cosa allettante e per niente da scartare se si tratta di fare il "bene comune". Ti ringrazio Leandra per questa tua splendida riflessione e ti invito a pubblicare ancora altri articoli.
non si può dire che gli uomini sono tutti bastardi? che non esiste romanticismo?, che non esiste bene e che il mondo è stato creato per conflitto si sopravvivenza? e che nella sopravvivenza l'egoismo è la normalità?
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