Stimo Zeman perché è un allenatore bambino. Ha una visione del calcio incosciente e rischiosa, ma anche spensierata e fedele a sé stessa. Stimo Zeman perché le sue squadre non perdono mai tempo: non speculano, non si adattano, non cincischiano, non addormentano; giocano sempre e solo per attaccare.
E’ una manovra tambureggiante, divertentissima, piena di movimenti senza palla, sovrapposizioni e scambi veloci. La squadra è dannatamente esposta al contropiede, col portiere sempre costretto ad uscite disperate fuori dall’area. Ma lo schema Zeman è al contempo capace di mandare in gol chiunque; perfino un terzino, che quest’anno ho visto segnare finalizzando un cross dal fondo dell’altro terzino (follia calcistica allo stato puro, vuol dire che in difesa non era rimasto nessuno o quasi…). Stimo Zeman perché è un tecnico che ha allenato anche Roma, Lazio e Napoli, ma il meglio di sé lo ha dato e lo sta dando a Foggia e a Pescara; periferia estrema di calciopoli, dove le squadre si fanno coi giovani e i favori del pronostico girano alla larga. Stimo Zeman perché dice sempre quello che pensa, con la sua voce bassa e catramosa, non risparmiando critiche e denunce sportivamente scomode. Stimo Zeman perché mi sembra la traduzione calcistica perfetta dell’esperienza di don Milani e della scuola di Barbiana: stessa franchezza eretica, stessa coerenza, stessa allergia ai poteri forti, stessa utopia, stessa capacità di diventare un modello didattico universale pur insegnando in uno degli angoli più remoti del Paese.
Se il calcio è una metafora della vita, e se l’urgenza di urlare “un mondo diverso è possibile” ora più che mai si fa pressante, la clamorosa corsa alla serie A del Pescara di Zeman può rappresentare in qualche modo una fonte di ispirazione. Per questo lunedì scorso ho deciso di mettermi in viaggio. Da solo, in macchina, da Pontedera a Pescara, per fare sì il tifo alla mia malandata Sampdoria di scena contro i biancazzurri pescaresi, ma anche per rendere omaggio al mio allenatore preferito tornato dopo tanto tempo sulla cresta dell’onda. Ho portato con me uno stendardo preparato a casa con su scritto STIMO ZEMAN, e sono riuscito a issarlo nel settore dello stadio Adriatico dedicato allo sparuto gruppetto di tifosi sampdoriani. Non è frequente un complimento rivolto dagli avversari, così il messaggio non è passato inosservato: inquadrature delle tv, foto sui siti internet; all’indomani molti sostenitori del Pescara sono rimasti piacevolmente stupiti. Ma anche per me è stato bello vedere loro: il loro entusiasmo, lo stadio pieno nonostante la serata polare; l’orgoglio di una regione che a distanza di 20 anni torna a sognare la serie A attraverso il bel gioco, aggrappandosi allo sport per lenire seppure in minima parte i colpi mortali inferti dal terremoto.
A proposito, il giorno dopo sulla via del ritorno sono passato dall’Aquila: ho fatto capolino nel silenzio spettrale del centro storico, ridotto a una sorta di Pompei dei giorni nostri. Tutto o quasi è rimasto fermo al D-day del sisma: sembrano passati due mesi invece che due anni. I cinema hanno ancora le locandine dei film dell’aprile 2009. Il 95% dei negozi ha le serrande abbassate. Le porte delle abitazioni sono sprangate, gli appartamenti deserti. Pattuglie di militari presidiano la rocca per evitare improbabili atti di sciacallaggio. Ma cosa c’è ancora da saccheggiare? Ho visto chiese sventrate, fontane divelte, vicoli transennati e sempre ingombri di macerie. Le squadre di muratori al lavoro si contano sulle dita di una mano, mancano i soldi e forse anche la speranza di ricominciare. Nella centrale piazza Duomo il comune ha piantato un immenso abete natalizio, ma l’invito a fare festa qui suona come un cazzotto nello stomaco. La vita degli aquilani nel frattempo si è trasferita sul fondovalle, dove si poteva costruire da zero anziché tergiversare in delicatissimi, lunghi e costosi lavori di restauro. Sono fioriti come funghi anonimi quartieri residenziali, immensi edifici in prefabbricato adibiti a scuole, uffici, presidi medici e caserme. Nell’aria gelida di mezza montagna respiro un senso di malinconia che prende alla gola. Toglie il fiato, e anche le parole. Vista da qui, l’Italia sembra un paese senza governo.
Il gioco di Zeman contro questo sfacelo può fare poco. Ma almeno un piccolo sollievo di Natale alla gente d’Abruzzo lo regala, battendo per 1-0 la mia Samp sempre più brutta e senz’anima. La prodezza decisiva la confeziona un ragazzo pescarese di 20 anni a cui l’anziano tecnico boemo ha affidato le chiavi del centrocampo: il ragazzo si chiama Verratti, protagonista di una bella percussione centrale palla al piede, con passaggio filtrante rasoterra a leggere tempestivamente il perfetto movimento senza palla della vecchia volpe d’attacco Sansovini; stop di quest’ultimo, dribbling sul nostro portiere in uscita, e palla depositata in rete a metà secondo tempo. Azione da manuale, e Samp purgata con merito. Lo stadio è in tripudio, inneggia alla serie A, mentre i sampdoriani vicino a me hanno facce bruttissime. A me non resta che tornare a sventolare il mio striscione STIMO ZEMAN, stavolta come forma di contestazione implicita nei confronti della dirigenza imbelle della Sampdoria. A fine partita i 15mila tifosi pescaresi ci mettono pochissimo a sfollare, il freddo funziona meglio dei vigili urbani. Sul piazzale dello stadio ad aspettare i giocatori non resta quasi nessuno. Così mi rendo conto che ce la posso fare. Mi apposto, resto in attesa, e dopo un quarto d’ora vedo uscire dagli spogliatoi proprio lui. Gli alzo davanti agli occhi il mio stendardo e la mia sciarpa blucerchiata. Lui mi vede, si ferma incuriosito. Ci scappano una stretta di mano e una foto insieme memorabile, con io che abbraccio Zeman e lui che sorregge il mio striscione. Missione compiuta. Mi aspetta una notte spartana in macchina da raffreddore assicurato, ma la stanchezza e la soddisfazione sono troppo forti per non riuscire a prendere sonno. [tommaso giani]
3 commenti:
Complimenti, dai veri tifosi viene fuori sempre il meglio!
Se il calcio e il tifo fosse sempre cosi lungimirante non ci sarebbe più violenza egli stadi. se ci pensi è una stupidaggine skifare il tifoso avversario e come se andassi in un altra città dell'italia e non parlare con nessuno, non rivolgergli la parola. invece poi ti accorgo che i hai molte più cose in comune con la gente che non conosci che con quelli che conosci. :-)
BRAVO.
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