pranzo a badolato
Questo weekend siamo andati in
Calabria, a Badolato, un paese arroccato sul cucuzzolo di una montagna. Le
bellezze dell’Italia non le racconto io per la prima volta: scenario incantato,
clima perfetto anche in inverno, insediamenti medievali, panorami e colori
bellissimi. Io, Sara e Caterina siamo partiti con Tiziana e Roberto. A casa di
quest’ultimo ci ha accolto una famiglia allegra, cordiale, che per tutto il
tempo non ha fatto altro che giocare con la piccola Caterina. Non è di questo
però che intendo parlare, ma della straordinaria scorpacciata fatta, in stile “Grande
Abbuffata” con tocco calabrese.
Arrivati alle ore 23, una decina
di persone ci hanno accolto con una tavola imbandita di ogni ben di dio. Faccio
fatica a mangiare la carne, ma era praticamente impossibile rifiutare
l’accoglienza. Il rito era preparato per la convivialità, commensali pronti per
la conoscenza, per lo scambio, per la comprensione. Tutti a parlare in
calabrese stretto, noi spesso in napoletano verace, l’allegria di vivere attraverso relazioni reciproche, attraverso la famiglia che
si completa senza distinzione di “ceto”.
Il giorno dopo si festeggia l’ottantaseiesimo
compleanno del nonno ed i quattro anni di una delle nipoti. Doppia festa,
doppia generazione, triplici ruoli che si integrano, che si forgiano nel
passato e nel presente, tradizione che si rispetta attraverso il nuovo che
prende corpo, che diventa altro senza distruggere le tradizioni. Qui la
straordinarietà del cibo mi ha letteralmente “affatturato”. Una quarantina di
persone di ogni età intorno ad una tavola semplice e in parte traballante, non tutti
hanno avuto la fortuna di sedersi. Dopo gli auguri di rito le donne hanno
portato a tavola: mulingiani sutt’ogliu, carciofini selvaggi, allivi niri e
allivi giarra, cuccuzzi spinusi sutt’ogliu, vrascioluni e carna. Dopo
mangiato la prima volta hanno riportato tutto daccapo con in più mulingiani
chini, baccalà, posirha e cicori, vrascioli e risu, sarsizzi e capicorhu.
La sera stessa siamo andati dal
fratello di Roberto che festeggiava, con in più un’altra famiglia, il
compleanno della figlia. A tavola
c’erano dolci fatti in casa di ogni genere e per ogni gusto. Attaccati a
quest’ultimi la pancetta, la soppressata, gli allivi ecc, ecc. La cosa che mi ha strabiliato maggiormente è
la rapidità nel trangugiare tutto ciò che di commestibile era previsto. Dieci ore
circa per preparare il tutto e un quarto d’ora per finire e fare piazza pulita
senza lasciare nemmeno una briciola di pane. Mi sono entusiasmato così tanto
della convivialità che mi risultava difficile mangiare come di solito faccio.
Ho assaggiato il primo piatto misto di tutto il possibile servitomi da Roberto.
In tre minuti ho fatto fuori tutto. Mi ha consegnato un altro piatto che dovevo
portare a Sara, ma non è stato possibile, la frenesia degli astanti mi ha fatto
dimenticare che mia moglie stava allattando digiuna: ho fatto fuori anche
l’altro piatto senza accorgermene. Tutti erano felici e dopo poco anche spariti
per poi ritornare dopo 20 o 30 minuti per la torta di compleanno.
Dialetto, cibo, famiglia, relazioni e naturalità. Per un giorno e mezzo circa sono stato proiettato in un libro di Carmine Abate. Un “mosaico del tempo grande” che definisce la sua volontà attraverso la genuinità dell’alimento; come i rapporti di vita e di storia che riconfermano la volontà di rimanere dentro, attaccati ad un pezzo di passato, così anche il passato che ritorna, che vive, così come vivono le sue consuetudini, pezzi di armonia che bramano la riconquista della purezza fatta come si fa u’ cunfettu cu a giugiulena. [+blogger]
l'essenziale è invisibile agli occhi
Ancora una volta e per l’ennesima volta mi
sono ritrovata in una discussione,
questa volta con un signore di Varese, a proposito di Napoli. Dopo la solita frase
“ Napoli e’ una bella città peccato che…” ho dovuto “subire” la lista
conosciuta dei luoghi comuni: la città bella ma la gente incivile, il
Napoletano furbo , talmente furbo che si inventa la maglietta con la finta
cintura di sicurezza, “Le Iene” hanno fatto uno speciale , (come non credere
alle iene !) che mostra come a Pompei le guide abbiano tutte il tesserino falso, il problema dei
rifiuti e questo gravissimo problema del
Napoletano che è fondamentalmente
incapace di capire cosa sia la raccolta differenziata. Dimentico qualcosa? Si, sicuramente ma meglio
cosi’ (il mio cervello resetta sempre il peggio, meccanismo di difesa )
Mentre cercavo invano di smantellare questi
luoghi comuni, (guarda veramente, non ho mai visto nessuno con questa maglietta
con la finta cintura, ma forse Napoli e’ sporca , ma sara’ anche per la cattiva
manutenzione o dei pochi mezzi a disposizione per pulire le strade no?, la mia
famiglia continua a fare raccolta differenziata nonostante non ci sia un ciclo
di smaltimento che rende possible un vero riciclo dei rifiuti… eppure perseveriamo
ecc ecc) mi arriva come una pioggia fredda la frase finale e totalizzante: “
Si, lo so ma questo e’ un problema vostro , non volete ammettere che queste
critiche sono la pura Verità”. La Verità, con la V maiuscola e il detentore della Verità , il signore di
Varese.
Ero ad una cena di lavoro, stanca e con la
mente non lucida e ho smesso subito di
combattere. Tanto mi sono detta, queste convinzioni si avvicinano piu’ a delle
credenze che alle conoscenza. E’ come
spiegare ad un superstizioso che il gatto nero, il povero ignaro gatto nero,
non ha mai portato sfortuna a nessuno, puoi portare tutte le prove scientifiche
del caso ma non servirebbe a nulla! Pero’ poi qualche tempo dopo questa
discussione mi ha fatto riflettere. Anche a me è capitato di fare feroci critiche
alla mia città: “ma che mass r’incivile, ‘o Vesuvie l’avessa rasà sta città, Ma che gente assurda! ma che gente arretrata!“, e a quanti amici napoletani ho sentito formulare
le stesse critiche, ed io lì ad annuire, “sì, veramente, che città di me…” Allora
mi sono sono chiesta il perché non sia
innervosita da queste considerazioni
quando è un napoletano che le esprime. Forse perché: “solo un napoletano può
criticare Napoli?" Non e’ solo questo.
Adesso
lo so , se fossi stata più lucida quel giorno avrei detto al signore di Varese:
“Sa, anche i napoletani criticano ferocemente la citta’ dove vivono, e “sopravvivono”
, ma la differenza è che… bhé, faccio un esempio: immagini che stasera le capiti di incrociare
una donna per caso, è brutta, volgare,
fuori luogo, fra sè e sè lei pensa : “che cattivo gusto, quant’e’ brutta,
ma come si veste, ma quanto e’ stupida ecc, ecc…” Ecco, adesso immagini una situazione
completamente diversa : un litigio con sua
moglie, oppure, una persona che ama, un litigio scaturito per un motivo o per un altro, perché qualcosa è capitato che l’ha innervosita - allora succede che si
arrabbia con questa persona, le
viene «il sangue amaro», le dice: “ma
quanto sei stupida” (ma bisogna sempre evitare di dirlo, non e’ chic), o “mi
hai fatto fare una brutta figura“, con “questo vestito sei troppo volgare”,
“sparisci, non ti sopporto stasera“… Le
due critiche sono simili eppure è indubbio che
nascono da e con spirito diverso.
La prima e’ una critica fatta senza
conoscenza, una critica basata sull’apparenza e quindi formulata nell’ignoranza. E soprattutto non
le cambierà la vita, il giorno dopo la donna degna di critiche l'ha già dimenticata. La seconda critica invece,
è una critica di rabbia, di insoddisfazione, deriva dalla conoscenza e dalla
consapevolezza che la persona che ama non si valorizza, potrebbe essere
migliore, ma non ci riesce (ai suoi
occhi). Questo tipo di critica seppur formulata con rabbia ha comunque il
pregio di portare in sé qualcosa di importante: il desiderio di un cambiamento.
E' una critica sì, ma è anche una rivolta, è allo stesso tempo un desiderio, un rimpianto
e un rimorso. Le due critiche possono essere simili nella formulazione, ma è l’amore che si porta nella critica che le
differenzia. Ecco, caro signore,
l'essenziale. Non si vede, ma si
sente.- "L'essenziale è invisibile
agli occhi" dice il piccolo principe nel racconto di Saint Exupery. [l. f.]