pranzo a badolato
Questo weekend siamo andati in
Calabria, a Badolato, un paese arroccato sul cucuzzolo di una montagna. Le
bellezze dell’Italia non le racconto io per la prima volta: scenario incantato,
clima perfetto anche in inverno, insediamenti medievali, panorami e colori
bellissimi. Io, Sara e Caterina siamo partiti con Tiziana e Roberto. A casa di
quest’ultimo ci ha accolto una famiglia allegra, cordiale, che per tutto il
tempo non ha fatto altro che giocare con la piccola Caterina. Non è di questo
però che intendo parlare, ma della straordinaria scorpacciata fatta, in stile “Grande
Abbuffata” con tocco calabrese.
Arrivati alle ore 23, una decina
di persone ci hanno accolto con una tavola imbandita di ogni ben di dio. Faccio
fatica a mangiare la carne, ma era praticamente impossibile rifiutare
l’accoglienza. Il rito era preparato per la convivialità, commensali pronti per
la conoscenza, per lo scambio, per la comprensione. Tutti a parlare in
calabrese stretto, noi spesso in napoletano verace, l’allegria di vivere attraverso relazioni reciproche, attraverso la famiglia che
si completa senza distinzione di “ceto”.
Il giorno dopo si festeggia l’ottantaseiesimo
compleanno del nonno ed i quattro anni di una delle nipoti. Doppia festa,
doppia generazione, triplici ruoli che si integrano, che si forgiano nel
passato e nel presente, tradizione che si rispetta attraverso il nuovo che
prende corpo, che diventa altro senza distruggere le tradizioni. Qui la
straordinarietà del cibo mi ha letteralmente “affatturato”. Una quarantina di
persone di ogni età intorno ad una tavola semplice e in parte traballante, non tutti
hanno avuto la fortuna di sedersi. Dopo gli auguri di rito le donne hanno
portato a tavola: mulingiani sutt’ogliu, carciofini selvaggi, allivi niri e
allivi giarra, cuccuzzi spinusi sutt’ogliu, vrascioluni e carna. Dopo
mangiato la prima volta hanno riportato tutto daccapo con in più mulingiani
chini, baccalà, posirha e cicori, vrascioli e risu, sarsizzi e capicorhu.
La sera stessa siamo andati dal
fratello di Roberto che festeggiava, con in più un’altra famiglia, il
compleanno della figlia. A tavola
c’erano dolci fatti in casa di ogni genere e per ogni gusto. Attaccati a
quest’ultimi la pancetta, la soppressata, gli allivi ecc, ecc. La cosa che mi ha strabiliato maggiormente è
la rapidità nel trangugiare tutto ciò che di commestibile era previsto. Dieci ore
circa per preparare il tutto e un quarto d’ora per finire e fare piazza pulita
senza lasciare nemmeno una briciola di pane. Mi sono entusiasmato così tanto
della convivialità che mi risultava difficile mangiare come di solito faccio.
Ho assaggiato il primo piatto misto di tutto il possibile servitomi da Roberto.
In tre minuti ho fatto fuori tutto. Mi ha consegnato un altro piatto che dovevo
portare a Sara, ma non è stato possibile, la frenesia degli astanti mi ha fatto
dimenticare che mia moglie stava allattando digiuna: ho fatto fuori anche
l’altro piatto senza accorgermene. Tutti erano felici e dopo poco anche spariti
per poi ritornare dopo 20 o 30 minuti per la torta di compleanno.
Dialetto, cibo, famiglia, relazioni e naturalità. Per un giorno e mezzo circa sono stato proiettato in un libro di Carmine Abate. Un “mosaico del tempo grande” che definisce la sua volontà attraverso la genuinità dell’alimento; come i rapporti di vita e di storia che riconfermano la volontà di rimanere dentro, attaccati ad un pezzo di passato, così anche il passato che ritorna, che vive, così come vivono le sue consuetudini, pezzi di armonia che bramano la riconquista della purezza fatta come si fa u’ cunfettu cu a giugiulena. [+blogger]
l'essenziale è invisibile agli occhi
Ancora una volta e per l’ennesima volta mi
sono ritrovata in una discussione,
questa volta con un signore di Varese, a proposito di Napoli. Dopo la solita frase
“ Napoli e’ una bella città peccato che…” ho dovuto “subire” la lista
conosciuta dei luoghi comuni: la città bella ma la gente incivile, il
Napoletano furbo , talmente furbo che si inventa la maglietta con la finta
cintura di sicurezza, “Le Iene” hanno fatto uno speciale , (come non credere
alle iene !) che mostra come a Pompei le guide abbiano tutte il tesserino falso, il problema dei
rifiuti e questo gravissimo problema del
Napoletano che è fondamentalmente
incapace di capire cosa sia la raccolta differenziata. Dimentico qualcosa? Si, sicuramente ma meglio
cosi’ (il mio cervello resetta sempre il peggio, meccanismo di difesa )
Mentre cercavo invano di smantellare questi
luoghi comuni, (guarda veramente, non ho mai visto nessuno con questa maglietta
con la finta cintura, ma forse Napoli e’ sporca , ma sara’ anche per la cattiva
manutenzione o dei pochi mezzi a disposizione per pulire le strade no?, la mia
famiglia continua a fare raccolta differenziata nonostante non ci sia un ciclo
di smaltimento che rende possible un vero riciclo dei rifiuti… eppure perseveriamo
ecc ecc) mi arriva come una pioggia fredda la frase finale e totalizzante: “
Si, lo so ma questo e’ un problema vostro , non volete ammettere che queste
critiche sono la pura Verità”. La Verità, con la V maiuscola e il detentore della Verità , il signore di
Varese.
Ero ad una cena di lavoro, stanca e con la
mente non lucida e ho smesso subito di
combattere. Tanto mi sono detta, queste convinzioni si avvicinano piu’ a delle
credenze che alle conoscenza. E’ come
spiegare ad un superstizioso che il gatto nero, il povero ignaro gatto nero,
non ha mai portato sfortuna a nessuno, puoi portare tutte le prove scientifiche
del caso ma non servirebbe a nulla! Pero’ poi qualche tempo dopo questa
discussione mi ha fatto riflettere. Anche a me è capitato di fare feroci critiche
alla mia città: “ma che mass r’incivile, ‘o Vesuvie l’avessa rasà sta città, Ma che gente assurda! ma che gente arretrata!“, e a quanti amici napoletani ho sentito formulare
le stesse critiche, ed io lì ad annuire, “sì, veramente, che città di me…” Allora
mi sono sono chiesta il perché non sia
innervosita da queste considerazioni
quando è un napoletano che le esprime. Forse perché: “solo un napoletano può
criticare Napoli?" Non e’ solo questo.
Adesso
lo so , se fossi stata più lucida quel giorno avrei detto al signore di Varese:
“Sa, anche i napoletani criticano ferocemente la citta’ dove vivono, e “sopravvivono”
, ma la differenza è che… bhé, faccio un esempio: immagini che stasera le capiti di incrociare
una donna per caso, è brutta, volgare,
fuori luogo, fra sè e sè lei pensa : “che cattivo gusto, quant’e’ brutta,
ma come si veste, ma quanto e’ stupida ecc, ecc…” Ecco, adesso immagini una situazione
completamente diversa : un litigio con sua
moglie, oppure, una persona che ama, un litigio scaturito per un motivo o per un altro, perché qualcosa è capitato che l’ha innervosita - allora succede che si
arrabbia con questa persona, le
viene «il sangue amaro», le dice: “ma
quanto sei stupida” (ma bisogna sempre evitare di dirlo, non e’ chic), o “mi
hai fatto fare una brutta figura“, con “questo vestito sei troppo volgare”,
“sparisci, non ti sopporto stasera“… Le
due critiche sono simili eppure è indubbio che
nascono da e con spirito diverso.
La prima e’ una critica fatta senza
conoscenza, una critica basata sull’apparenza e quindi formulata nell’ignoranza. E soprattutto non
le cambierà la vita, il giorno dopo la donna degna di critiche l'ha già dimenticata. La seconda critica invece,
è una critica di rabbia, di insoddisfazione, deriva dalla conoscenza e dalla
consapevolezza che la persona che ama non si valorizza, potrebbe essere
migliore, ma non ci riesce (ai suoi
occhi). Questo tipo di critica seppur formulata con rabbia ha comunque il
pregio di portare in sé qualcosa di importante: il desiderio di un cambiamento.
E' una critica sì, ma è anche una rivolta, è allo stesso tempo un desiderio, un rimpianto
e un rimorso. Le due critiche possono essere simili nella formulazione, ma è l’amore che si porta nella critica che le
differenzia. Ecco, caro signore,
l'essenziale. Non si vede, ma si
sente.- "L'essenziale è invisibile
agli occhi" dice il piccolo principe nel racconto di Saint Exupery. [l. f.]
paghe a somma zero
Se trent’anni fa mio padre
guadagnava un salario di 1milione e 300milalire, l’equivalente dei circa 800 euro dei contratti che attualmente
ti offrono, sempre nelle migliori ipotesi, questo vuol dire che non solo il
nostro paese in tutto questo tempo non è avanzato, ma che è tornato indietro sottraendo
lavoro e ricchezza, un gap degenerativo a somma zero. Per i salariati e tutti i
nuovi contratti, la busta paga si calcola così: 1+1 = 1 oppure 1+1+1 = 1. Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha detto che per mantenere il posto
di lavoro il calcolo dello suo stipendio è stato fatto in questo modo: 1+1 = 0. Mi spiego
meglio.
Nella ditta dove lavora è arrivata una comunicazione informale: “i dipendenti devono rinunciare volontariamente
al contratto stipulato precedentemente per firmarne un altro”. Quest’ultimo impone ai
lavoratori 30 ore settimanali rispetto alle 40 previste dall’altro. Tutti hanno
dovuto accettare per forza questa nuova imposizione previo licenziamento. La cosa
più “interessante” è che non solo alla fine del mese hanno visto diminuire del
25% la loro paga (senza discriminazione, da chi prendeva un stipendio di 1500
euro all’apprendista che ne prendeva solo 600), ma in realtà hanno
continuato a lavorare per 8 ore al giorno e per 5 giorni settimanali.
Questa nuova forma di lavoro “partecipato”
ha una sola univoca caratteristica: è legittimo. Oggi giovani laureati se non
hanno una sacrosanta “raccomandazione” (anche se questa sta perdendo i suoi presupposti
originari), sono costretti ad accettare paghe di 400 o 500 euro al mese. Diciamo
che ci si può anche accontentare se non fosse per le parole di un saggio senatore
della repubblica che qualche anno fa ha dichiarato su radio24 che “…15mila euro
al mese non bastano per vivere e fare la vita da politico”.
Se la nuova o vecchia classe
imprenditoriale, se i ministri e i sottosegretari e se le leggi che regolano il
mercato hanno in se i germi della disuguaglianza (anche questa parola sta
cambiando i suoi “connotati”), quello che ci deve mettere in guardia
maggiormente è la norma che definisce e che può rendere ovvio anche le
assurdità. Offrire uno stipendio da fame
attualmente è legittimo specialmente se negli affari si coinvolgono i poveri. Se
dietro un lavoratore ce n’è un altro che accetta questo stato di cose è assurdo
prendersela con quest’ultimo anche se è normale accusarlo. Questa normalità
è diventata regolare, tantoché gli stipendi non si elargiscono secondo i
propri bisogni ma secondo le proprie aspettative (figuriamoci se parliamo di lavoro
fatto con la forza fisica… anatema). Se dopo 30 anni torniamo indietro di 30
anni vuol dire che L’Italia è rimasta ferma nel 1950. [+blogger]
per lo ius soli
INSIEME PER LO IUS SOLI: NASCERE IN ITALIA E NON ESSERE ITALIANO
INIZIATIVA DEL FORUM ANTIRAZZISTA DELLA CAMPANIA
SABATO 7 DICEMBRE 2013 DALLE ORE 16,00 AL TEATRO SAN FERDINANDO PIAZZA EDUARDO DE FILIPPO NAPOLI
Il Forum antirazzista della Campania organizza un evento il 7 dicembre 2013, alle ore 16,00, al Teatro S. Ferdinando, in piazza Eduardo de Filippo, per rilanciare la campagna per lo IUS SOLI. Vi parteciperanno la ministra per l'integrazione Cécile Kyenge, lo scrittore Erri De Luca e il missionario padre Alex Zanotelli, insieme ad artisti.
L'obiettivo della serata è un dibattito pubblico sul tema dello Ius Soli : il diritto di cittadinanza italiana per i figli di genitori stranieri nati sul suolo italiano, per forzare il nostro Parlamento all'approvazione di una legge in merito. I ragazzi/e nati/e in Italia da genitori stranieri sono circa 600.000 , vivono nel limbo dei diritti in questo paese.
Per questo il Forum antirazzista della Campania invita tutta la cittadinanza a mobilitarsi, per difendere il diritto di cittadinanza di questi nostri ragazzi/e nati/e in Italia da genitori stranieri.
Chiediamo a tutti i gruppi, comitati, reti, associazioni di Napoli e Campania impegnati contro il razzismo a mobilitarsi, perché finalmente il principio dello Ius Soli diventi legge in questo nostro paese. Per maggiori informazioni contattare Louis: elbi77@hotmail.com
azzardo
Il gioco d’azzardo è una piaga sociale che coinvolge persone
di qualsiasi età, rango e posizione. Questo fenomeno dilagante porta alla
distruzione di singoli individui e di intere famiglie.“Giocatori anonimi” offre
aiuto a tutti coloro che sono determinati a smettere con il gioco,
l’associazione Gamanon, invece riguarda le famiglie e gli amici dei giocatori,
inoltre, svolge un ruolo fondamentale nel riconoscimento del gioco come
malattia e a relazionarsi con questo problema. Ci sono mamme, mogli e sorelle,
figlie, amici che entrano in Gamanon con enormi difficoltà, sia
psicologicamente che economicamente. I familiari dei giocatori, nel gruppo,
riescono a trovare accoglienza, ascolto, conforto e comprensione riguardo la
malattia che è entrata a far parte della loro vita.
Mi chiamo Antonella e sono moglie di un giocatore d’azzardo,
mio marito giocava da molti anni ed in casa le discussioni erano all’ordine
del giorno. Io lavoravo tutta la
giornata per far fronte alle spese e ai bisogni dei miei
due bambini, ma chiaramente non riuscivo ad arrivare alla fine del mese a causa
dei numerosi debiti di mio marito. La mia vita era diventata un inferno fino al
punto di pensare di andar via nonostante non avessi mai avuto il coraggio. Non
riuscivo a parlarne con nessuno perché mi sentivo giudicata e oltretutto
provavo un forte senso di vergogna. L’unico mio scopo era quello di far
smettere di giocare mio marito, pregavo, piangevo, mi arrabbiavo e lo
minacciavo affinché ciò accadesse ma senza risultati; sentivo solo di aver
fallito sia come moglie che come madre perché di tutto questo ne risentivano
anche i miei figli. Un giorno trovai il coraggio di parlare con un sacerdote il
quale mi indirizzò in Gamanon. Sono ormai tre anni che partecipo alle riunioni
e la mia vita è completamente cambiata e finalmente in casa è tornata quella
serenità tanto sperata e fino a quel momento impensabile.
[Associazione Gamanon Campania con sedi Scafati, Portici,
Napoli Via dei Cimbri, Napoli Via Supportico Lopez. Per contatti: 3886226880].
napoli non parla
Napoli non “parla”, Napoli non si
ribella, Napoli è schiacciata dall’indifferenza e dalla delusione. Napoli,
peggiore città: “Se l’Italia ha il raffreddore, Napoli ha la bronchite”.
Sul “Venerdì” di Repubblica l’autore ci ha spiegato che adesso il capoluogo
campano ha la polmonite, metafora che assicura un pò di gloria all’ex sindaco
Jervolino sotterrando definitivamente De Magistris e la sua giunta. Nepotismo,
malaffare, criminalità e mancanza di senso civico sono le definizioni che
ricorrono nell’articolo, settimanale 1331 del 20 settembre 2013.
Su Economia e Finanza
dell’8 gennaio 2012 si legge che le regioni più interessate dall’evasione
fiscale con un netto incremento sulle altre sono la Lombardia e il Veneto. Tra le
città, inoltre, dove si commettono più reati, in cima alla classifica ci sono:
Milano (fonte: ilgiornale.it), subito dopo Roma, poi Torino, Napoli, Genova, Bologna,
Bari, Firenze e Brescia (fonte: ilsole24ore.com). Il Nord Italia batte il Sud
avendo più del doppio delle città incriminate. Anche se l’articolo su Venerdì
di Repubblica parla della ribellione dei napoletani nei confronti dei nazisti,
per contro di quella ribellione che invece adesso non c’è, l’infiammazione
polmonare attribuita alla città partenopea fa male e, ancora una volta, non
inquadra l’esatto problema né mette in luce le dinamiche che Napoli subisce da
trent’anni a questa parte.
Mentre tutti urlano alla vittoria
contro il 41bis la congestione tra politica e mafia/camorra si scioglie a suon
di voti e raccomandazioni. A partire dal 1980 in poi il carcere duro infittisce
la rete e sposa l’elettorato attraverso un’influenza criminale, sfruttando la
povertà dei quartieri e delle periferie. Nel frattempo si organizzano anche le
grandi città, cosicché le irregolarità diventano legittime. Questa legittimità
è ormai evidente è ciò che sfrutta di più questo stato di cose sono i luoghi
comuni.
Non dobbiamo cadere in questa
trappola, è molto facile accusare e riservare nella storia un primato negativo,
un primato che ci vede come l’ombelico del culo. Se Napoli ha una particolarità
è anche perché tutti quelli che la leggono (eccezioni escluse), non hanno
capito un cazzo. Fior di etichette pullulano nel marasma di una definizione,
tanto che nemmeno i dati grezzi possono far cambiare idea. Se questa città è
particolare è perché essa fa parte di una nazione particolare, di uno stato
giovane che continua ad andare a votare solo perché da poco ha raggiunto la sua
indipendenza. Perché il prossimo sindaco sarà di destra? Perché la gente in
parte non ha capito cosa sia realmente la democrazia, se una forma di potere
invisibile alle masse oppure un escamotage per sottintendere una stato
dispotico che, per grattarsi i coglioni, ha bisogno delle mani dei lavoratori e
dei più poveri. [+blogger]
spazi froebeliano
Con la
presente, la Commissione III Ambiente e Sviluppo del territorio, riunitasi in
più sedute per discutere degli spazi interni all'Istituto Froebeliano, propone al Consiglio Municipalità 3,
di destinare la struttura in oggetto, non solo ad attività di tipo
artistico-culturale (che ne limiterebbe l'utilizzo a specifici eventi una
tantuum), ma di aprire i locali alle associazioni e ai comitati di cittadini,
al fine di garantire un profitto sociale ed un uso 365 giorni l'anno della
struttura. Si allegano di seguito,
approfondimenti e valutazioni che ci hanno portato a strutturare la presente
proposta.
Premessa
Dinanzi ad una crisi
economica devastante e a nuove trasformazioni sociali e culturali, in un
territorio come quello storico di Capodimonte e rione Sanità, dimenticato e
sottovalorizzato più che mai, bisogna ripensare ai non luoghi affinché
tramutino in luoghi, capaci di affrontare e superare i problemi della caduta
del senso di appartenenza dei segmenti della società più fragili, per una
rinnovata capacità di essere strumento di promozione sociale e culturale.
In questo processo e trasformazione le istituzioni devono essere osservatori
attenti e sostenitori. Tale convinzione nasce da un’analisi della realtà che
viviamo che possiamo racchiudere nei seguenti punti: la generale impossibilità di dare risposte ai
bisogni che stanno alla base dell'esistenza individuale: la conoscenza, la
critica culturale, la comunicazione, la sicurezza della collocazione sociale,
l'emancipazione dalle forme di sfruttamento materiale e culturale; la
parzialità ed il limite delle scelte di pura resistenza attuate attraverso la
ricerca di aggregazioni di soggettività apparentemente omogenee: i giovani, gli
emarginati, gli anziani e tutti coloro che vivono una condizione di estrema
instabilità socio economica; la totale carenza di spazi e strutture a
disposizione.
PROPOSTA PROGETTUALE
FROEBELLIANO “CENTRO POLIFUNZIONALE INTERGENERAZIONALE”
Pensare ad un progetto per
Napoli vuol dire ragionare in termini di processi (culturali, sociali,
aggregativi) da attivare e di strutture da potenziare e/o da realizzare,
utilizzando in maniera condivisa e innovativa la progettualità di chi
determinate problematiche le conosce e le affronta quotidianamente. Il progetto elaborato è un percorso da
intraprendere infatti con i comitati di quartiere, le associazioni, i cittadini e quanti vogliano partecipare,
tenendo conto del carattere multidisciplinare del loro agire e prevedendo la
collaborazione tra più settori al fine di integrare differenti discipline ed
elaborare soluzioni organiche di interventi. Lo spirito che sta alla base di
questo progetto è infatti la messa in rete di conoscenze e know how maturate
dalle organizzazioni che aderiranno,
impegnate sul territorio con diverse progettualità e diverse competenze, le
quali se integrate in una cornice progettuale unica, possono trovare una
sintesi e diventare uno strumento di empowerment reale per la cittadinanza.
OBIETTIVI GENERALI
Incentivare il processo di
formazione di una cittadinanza attiva e consapevole, in grado persino di
ripensare la città, promuovendone un'etica sociale ampiamente condivisa con
politiche di sviluppo bottom-up. Attraverso l’implementazione delle specifiche
azioni e con "la presentazione di buoni esempi", si inviteranno i
cittadini tutti, ad acquisire la consapevolezza della necessità di
essere/diventare cittadini protagonisti.
OBIETTIVI SPECIFICI
Promuovere e favorire il dialogo
intergenerazionale attraverso il meltingpot generazionale nelle attività
previste; Coinvolgere i cittadini in una
rivisitazione critica dell'utilizzo degli spazi urbani in degrado o in disuso a
tutela dei bisogni sociali, ambientali ed economici della comunità stessa e del
patrimonio storico, artistico e culturale della città; Sperimentare
l’attivazione di laboratori tematici, servizi per la cittadinanza, giovani,
anziani, bambini, studenti fuori sede, turisti ed immigrati.
AZIONI
Di seguito le azioni
programmabili che vedrebbero la partecipazione e il contributo delle numerose
organizzazioni che fanno parte del territorio: Biblioteca pubblica, provando a
trasferire all’interno della struttura le biblioteche Angiulli e Flora.
Integrare lo studio adibendo il locale libreria ad aula studio capace di
accogliere la sempre crescente richiesta di spazi per i numerosi studenti del
territorio. Creazione della banca dei libri di testo; Sala riunioni e convegni
dove ospitare tutte le organizzazioni che hanno necessità di un luogo dove
potersi confrontare, organizzare eventi pubblici (prestazione di libri,
docufilm, mostre d'arte, fotografiche, eventi musicali, spettacoli teatrali, etc)
dibattiti, proiezioni; Attività ginniche, per tutte le età. Tra le possibili
attività : corsi di difesa personale, risveglio muscolare e ginnastica dolce
per terza età, balli di gruppo, yoga, danza contemporanea, etc.. In più
attività associazionistiche specifiche come tornei carte, dama, scacchi, etc; Laboratori di creatività urbana,
laboratori di artigianato e antichi mestieri per avviare percorsi di dialogo
intergenerazionale alla ricerca di nuove opportunità di lavoro, laboratorio di
riciclaggio creativo, attraverso il riutilizzo dei materiali; Dialogo
interculturale, favorendo l’integrazione dei migranti e valorizzare la propria
esperienza di cittadini attivi. Corsi di lingua straniera e italiana per
migranti. Si propone inoltre di destinare, chiaramente
previo bando, un locale ad uso di un'associazione di protezione civile, al fine
di ricevere in cambio la custodia e la tutela del bene stesso. [la commissione III ambiente e sviluppo del territorio]
dentro eduardo
Ieri (31/10/2013) nessuno si è ricordato che sono passati ventinove anni dalla morte di Eduardo de Filippo. Il più grande drammaturgo di tutti i tempi ignorato, dimenticato dai grandi network nazionali. Eduardo ha smontato le tesi dei grandi scrittori, con il suo teatro e la sua filosofia ha buttato i grandi pensatori di "Napoli" nella più viva depressione culturale. Osteggiato perché aveva visto più lontano degli altri oggi invece... il silenzio c'assale. Noi lo ricordiamo così.
chiude il poliambulatorio
No alla
Chiusura DEL POLIAMBULATORIO di VIA
CARLO DE MARCO
RIPRISTINARE
LE PRENOTAZIONI: NON TAGLIARE UN SERVIZIO SANITARIO
ESSENZIALE AL TERRITORIO; PROROGARE IL PIENO
FUNZIONAMENTO DELL’AMBULATORIO
FINO AL REPERIMENTO DI NUOVI LOCALI (DELLA REGIONE
O DEL COMUNE) OVE TRASFERIRLO E RIQUALIFICARLO
ESSENZIALE AL TERRITORIO; PROROGARE IL PIENO
FUNZIONAMENTO DELL’AMBULATORIO
FINO AL REPERIMENTO DI NUOVI LOCALI (DELLA REGIONE
O DEL COMUNE) OVE TRASFERIRLO E RIQUALIFICARLO
Mentre proseguono le mobilitazioni degli
utenti affinché il Poliambulatorio di via Carlo De Marco resti aperto e
pienamente funzionante,
VISTO
CHENESSUNO
DEGLI ATTI
ISTITUIZONALI DELLA MUNICIPALITA’, NESSUNA
INIZIATIVA DI MOVIMENTO E NESSUN INCONTRO
CON/TRA LE ISTITUZIONI
ISTITUIZONALI DELLA MUNICIPALITA’, NESSUNA
INIZIATIVA DI MOVIMENTO E NESSUN INCONTRO
CON/TRA LE ISTITUZIONI
HA OTTENUTO ANCORA ALCUN RISULTATO
UTILE ALLA CITTADINANZA; NONOSTANTE
UTILE ALLA CITTADINANZA; NONOSTANTE
il cosiddetto fitto passivo di 120.000 euro
l’anno sia molto ben compensato dai ticket
l’anno sia molto ben compensato dai ticket
e altri tributi per oltre 200.000 euro annui,
che entrano nelle casse del Poliambulatorio
ASL di via Carlo De Marco;
NONOSTANTE la
Regione disponga di un patrimonio immobiliare (es. le 54
palazzine vuote dell’ex ospedale “L. Bianchi”) e/o possa ottenere dal Comune in
comodato idonei locali ove trasferirvi il Poliambulatorio;
CONSIDERATO
CHE
la cittadinanza - in nome della quale le Istituzioni
governano - ha più volte affermato, scritto, gridato che
UN VIOLENTO ATTACCO AL DIRITTO ALLA SALUTE
PERCHÈ
COSTRINGERÀ OLTRE 30.000 UTENTI (BAMBINI, ANZIANI, MALATI,
INVALIDI) A
TRASBORDI PRESSO AMBULATORI LONTANI 4 – 5
CHILOMETRI ALMENO;
il consigliere della Municipalità 3 Stella
San Carlo all’Arena del Comune di Napoli,
Francesco Ruotolo
in rappresentanza dei bisogni e dei
diritti della cittadinanza di questa Municipalità
ha iniziato
alle ore 8 di martedì 29 ottobre 2013
UN DIGIUNO NONVIOLENTO
presso l’ingresso
del Poliambulatorio, ripromettendosi di continuarlo fino
a tutto il 31 ottobre, ultimo giorno di apertura del Poliambulatorio
a tutto il 31 ottobre, ultimo giorno di apertura del Poliambulatorio
AFFINCHÉ in questo momento decisivo
in cui sembrano non esservi provvedimenti in sintonia con
la
volontà popolare, ignorata e calpestata,
QUESTO ATTO
di servizio alla Cittadinanza, costituisca
L’ESTREMO APPELLO ALLA COSCIENZA, ALLA SENSIBILITÀ POLITICA
ED UMANA
del
Presidente Stefano Caldoro, del Direttore generale Ernesto Esposito e del
Sindaco Luigi De Magistris, affinché si proroghi il funzionamento del Poliambulatorio in via
Carlo De Marco, per consentirne il trasferimento – nei tempi necessari – in
idonei locali, in prossimità degli oltre 30.000 utenti. Napoli, 29 ottobre 2013 [francesco ruotolo]
abisso ecologico
Stiamo
andando nel silenzio generale verso un altro importante appuntamento
internazionale: la Conferenza delle Parti (COP 19) che si terrà a Varsavia,
11-12 novembre. Eppure non c’è nell'agenda dei nostri politici. E questo
nonostante il quinto Rapporto IPCC ( Panel Internazionale per i Cambiamenti
Climatici) presentato a Stoccolma il 27 settembre scorso e frutto di una ricerca scientifica durata sei
anni. Il Rapporto afferma che la concentrazione di CO2 (anidride carbonica)
nell'atmosfera è al limite di guardia e tra dieci anni saremo fuori dall'area
di sicurezza. Le emissioni di gas serra continuano a crescere del 2-3% l’anno.
Andando avanti così, gli scienziati dell’IPCC dicono che , a fine secolo, la
temperatura potrebbe arrivare a 5,5 gradi. Gli scienziati indicano anche le
cause responsabili di questo processo: i
combustibili fossili (petrolio, carbone e metano) e la deforestazione. E la
comunità scientifica concorda che la colpa è dell’uomo.
Il
clima è impazzito e la Madre Terra non sopporta più il più vorace degli
animali: l’uomo. Ci attende una tragedia con conseguenze devastanti per
l’umanità(scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, tempeste come
Sandy, centinaia di milioni di rifugiati climatici). E’ in atto un biocidi,
un genocidio. “Moralmente noi abbiamo sviluppato una risposta al
suicidio, all'omicidio, al genocidio - ha scritto il teologo ecologista Thomas
Berry - ma ora ci troviamo a confrontarci con il biocidio, l’uccisione
di sistemi vitali, e il genocidio, l’uccisione del Pianeta Terra nelle
sue strutture vitali e funzionali. Queste opere sono un male maggiore di quanto
abbiamo conosciuto fino ad oggi, male per il quale non abbiamo principi né
etici, né morali di giudizio. Una semplice dottrina della custodia del creato
non sembra più adeguata per affrontare problemi così gravi.” E’ una situazione che interpella tutti,
credenti e non. Giustamente lo stesso Berry afferma che “la più significativa
divisione tra gli esseri umani non è basata né su nazionalità né sull'etnia né
sulla religione, ma piuttosto è una divisione fra coloro che dedicano la loro
vita a sfruttare la terra in una maniera deleteria, distruggendola, e coloro
che si dedicano a preservare la terra in tutto il suo naturale
splendore.”. Credenti e non sono
convocati oggi nella storia a un salto di qualità per affrontare una situazione
così grave e minacciosa. E’ in ballo la vita, è in ballo il futuro
dell’umanità.
Lo
stiamo toccando con mano qui in Campania, una terra avvelenata da rifiuti
tossici, dai fuochi di materiali
tossici, dalle megadiscariche… Noi stiamo morendo di tumori, leucemie. Lo stiamo toccando con mano a Taranto
avvelenata dall'inquinamento industriale, con quasi novemila malati di cancro,
con piombo nel sangue dei bambini e diossine nel latte materno. Nel microcosmo
osserviamo quello che avviene nel macrocosmo: la Madre Terra è violentata,
avvelenata, degradata; non sopporta più la specie umana.
Sono
però profondamente convinto che ce la possiamo fare partendo dalle nostre
realtà locali. Per questo c’è bisogno di un grande lavoro di informazione e
coscientizzazione che porti a una rivoluzione culturale (è agghiacciante il
silenzio dei media su questi temi!). Una rivoluzione culturale che chiede a
tutti: stile di vita più sobrio ed essenziale; riciclaggio totale dei rifiuti ,opponendoci
agli inceneritori; bilancio energetico nazionale che riduca del 30% le
emissioni di gas serra entro il 2020; sostegno al Piano della Commissione
Europea che prevede una riduzione per tappe dell’80%delle emissioni di gas
serra entro il 2050; un fondo per le nazioni del Sud del mondo per fronteggiare
i cambiamenti climatici, ricordando il
nostro debito ecologico nei loro confronti.
E’
partendo da queste basi che dobbiamo mobilitarci, dal basso, come cittadinanza
attiva, per forzare i governi e la politica a una svolta epocale. Purtroppo in
questi anni abbiamo in larga parte fallito sia a livello locale che nazionale
ed internazionale. Basterebbe, a livello mondiale, ricordare il fallimento
delle varie Conferenze delle Parti (COP) sui cambiamenti climatici, da
Copenhagen (2009) a Durban (2010), da Cancun (2011) a Doha (2012). Il prossimo
appuntamento importante sarà a Varsavia dove si terrà la COP19 (11-12 novembre
2013). Dopo un Rapporto così duro dell’IPCC sulla situazione climatica del
Pianeta, non possiamo accettare un altro fallimento a Varsavia. L’IPCC afferma
che il disastro ambientale potrebbe essere evitato se in pochi anni si
dimezzassero le emissioni di gas serra causate dall'uso di petrolio, carbone e
metano. Ma manca la volontà politica per farlo. Infatti dopo il fallimento del
vertice del 2009 a Copenhagen i governanti si sono affidati agli impegni
volontari di riduzione del CO2, rimandando al 2020 una cura più efficace… “Proseguendo
su questa strada- ha scritto il teologo della liberazione Leonardo Boff - ci
troveremo di fronte, e non manca molto, a un abisso ecologico. Come ai tempi
di Noè, continuiamo a mangiare, a bere, e ad apparecchiare la tavola del
Titanic che sta affondando. La casa sta prendendo fuoco e mentiamo agli altri
dicendo che non è niente.” [Alex
Zanotelli]
"che sarà di san severo"
“Che sarà, che sarà, che sarà…
che sarà di San Severo chi lo sa!”. Cantavo questa canzone, insieme con i miei
amici della parrocchia, quando don Michele e don Giuseppe Rassello ci
informarono che il mandato parrocchiale era finito e che entrambi erano stati
assegnati a luoghi differenti. La basilica di San Severo prima del loro arrivo
era pressoché abbandonata. Negli anni ‘80/90, invece, divenne uno splendore: i
due preti riuscirono a mettere su attività straordinarie e rivoluzionarie
come il campeggio estivo, le attività ludiche, il doposcuola, una mensa per i
poveri. Ricordo che molte persone che visitavano il quartiere cercavano di conoscere e capire chi erano questi due uomini che stavano
“trasformando” le abitudini della gente del rione. La piccola catacomba divenne
attrazione straordinaria, così come un gruppo enorme di giovani e giovanissimi.
Io appartenevo a quello degli adolescenti, eravamo circa 100, poi c’erano i
grandi e i bambini. Per circa 10 anni nel rione Sanità la Basilica di San Severo
divenne un simbolo per gli abitanti del quartiere, così come i parroco e il suo
vice.
A vederla adesso non si direbbe,
gli annali “illustri, nobilissimi e perfetti da fare invidia a principi e reali”,
sono scomparsi del tutto. Il piccolo cortile antistante la basilica è stato
trasformato in campo di calcetto. Il portale della chiesa è semidistrutto, dalla
facciata cadono calcinacci e pezzi di intonaco in bilico, colpa delle pallonate
e dell’incuria. Non è che io sia un fautore della bellezza, di Basiliche a
Napoli ce ne sono tante, ma la tristezza mi assale nel momenti in cui
attraverso la piazzetta, un tempo ricca di ragazzi e ragazze, oggi lasciata in “agonia”.
Dietro, Salita Cinesi, infestata dai continui rifiuti ingombranti. Quando si entra
pezzi di umidità scrostati invadono la navata centrale. Ricordo che don
Giuseppe Rassello diceva sempre: “questa basilica è viva”. Oggi invece è in fin
di vita e muore in una eterna agonia. Non mi interessa spendere tanti soldi per
restaurarla, per me può restare anche così, meglio investire risorse in un
altro modo. Questo che ho scritto è solo un ricordo nostalgico, un ricordo che
mi fa pensare che anche tra le pietre c’è disuguaglianza. [+blogger]
marechiaro non si tocca
Siamo venuti a conoscenza del fatto che in questi giorni è in atto
una forte campagna di propaganda denigratoria contro il Centro di Marechiaro
per fare in modo che una parte della struttura sia ceduta alla succursale della
scuola Cimarosa di Posillipo. Rivolgiamo un appello al Sindaco De Magistris e all' Assessore al Welfare Gaeta
affinché si opponga... no a manovre del genere.
Sarebbe un'ingiustizia cedere una struttura che da anni ospita in
tutti i mesi dell'anno ragazzi provenienti da tutti i quartieri della città in
particolare quelli di tutte le scuole, delle associazioni territoriali e
parrocchie delle periferie degradate per destinarla ai ragazzi di cui la
maggior parte VA A SCUOLA CON IL SUV e che abita un in un quartiere come
Posillipo che è servito da molte altre scuole ampie e spaziose ed a poca
distanza.
MARECHIARO E' ED E' SEMPRE STATA DEI RAGAZZI DELLA SANITA', DI
SCAMPIA DI PONTICELLI, DI BARRA, DI PIANURA, DEI TRIBUNALI, DI MERCATO. AI
NOSTRI RAGAZZI QUESTA CITTA' HA GIA' TOLTO TROPPO!
Sosteniamo il gruppo Marechiaro nella battaglia per difendere il Centro. Scriviamo
tutti sulla pagina Luigi De Magistris Sindaco di Napoli e Assessorato Welfare
Comune di Napoli chiedendo a gran voce : Marechiaro non si tocca! [collettivo marechiaro]
francesco si è convertito
Francesco continua a fare dichiarazioni "shock": "le lobby gay in Vaticano, i preti che vogliono per forza diventare vescovi, la banca che non serve a nulla, bla, bla, bla...". Mi chiedo: chi sono questi gay destabilizzatori? E gli arrampicatori della fede? Perché, non capisco, chiudono lo Ior? Se un papa non vuole, come previsto, una stanza grande e dei servitori, perché non si stabilisce una volte per tutte di seguire il concilio vaticano II? A che serve girare in una utilitaria in Brasile quando il viaggio e l'organizzazione sono costati milioni di euro?
Non servono dichiarazioni sensazionalistiche, roba da festival. Giovanni XXIII scrisse e produsse documenti (leggi), che nessuno ha mai seguito. Papa Luciani aveva già pronti degli atti ma tacque per sempre. Qualche giorno fa un prete mi ha detto: “ è vero, Jorge Mario Bergoglio quand’era vescovo ha taciuto la dittatura e nell’era Menem non ha praticamente fatto nulla, poi sembra che ci sia stata una conversione”.
Se scendere dal piedistallo è uno slogan vecchio per infangare i cattolici, è pur vero che quest'ultimi non hanno mai fatto nulla per provare che il piedistallo è solo una invenzione mediatica. Se il papa si è convertito ai poveri meglio, ma un altro grande comunicatore proprio non lo sopporto. I mass media sono una cosa, la realtà è un’altra. [+blogger]
l'ossario chiarisce
Prendiamo atto della rispostadell’Assessore e del riconoscimento che si è trattato di un errore, naturalmente anche per noi la questione è chiusa. Non abbiamo nulla contro le
diverse associazioni che a pagamento fanno visite guidate al cimitero
delle Fontanelle, anzi siamo fermamente convinti che il bene debba essere
gestito in forma d’impresa culturale e dare lavoro. Proprio per questi motivi
abbiamo deciso di limitare ad una sola visita mensile le nostre visite guidate
gratuite.
Ciò nonostante riteniamo di dover
cogliere l’occasione per rinnovare alcuni rilievi critici. In primo
luogo, nei confronti delle altre associazioni che, a nostro parere, attraverso
le loro ripropongono stancamente quella visione della città cosiddetta
postmoderna che si è affermata negli ultimi decenni: una Napoli decaduta,
nell’immaginario collettivo, da città dei lumi, della musica e delle scienza a
superstiziosa ed esoterica città della morte. Ciò è per noi fonte di
grande rammarico poiché, come noto, da tempo l’associazione I-care fontanelle
si sforza di promuovere una diversa impostazione, finalizzata ad analizzare e
comprendere il ruolo del cimitero nella più ampia vicenda storica della città.
In secondo luogo e soprattutto, i nostri rilievi critici e il nostro rammarico
si rivolgono nei confronti del Comune che, in modo costante attraverso le
diverse amministrazioni, ha dimostrato di non voler affrontare il problema
della gestione del cimitero e, più a monte, di rifiutarsi di prendere atto che
si tratta di un cimitero, storico, ma pur sempre un cimitero. Inoltre le
informazioni sul cimitero proposte dal sito del Comune sono a dir poco
approssimative e ciò è un vero peccato, dato che si tratta di un sito
istituzionale che avrebbe tutti gli strumenti, economici e culturali, per
essere di alto profilo. Pigrizia, ignoranza. Forse solo superficialità.
Infine, cogliamo la disponibilità
dell’Assessore a incontrarsi con le associazioni del quartiere sul futuro del
cimitero delle Fontanelle. L’esperienza ci porta a essere scettici, ma con
ottimismo e tenacia andiamo avanti. Il documento della Rete della Sanità, già a
conoscenza dell’Assessorato, può fornire la base di un prossimo incontro. [Rocco Civitelli - Ass. I care ]
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Ho qualche dubbio sul primo punto.
Non sono molto d’accordo sul
primo punto dell’articolo. In questo caso sarebbe meglio che se ne occupasse il
Comune. Attraverso la sua gestione creare posti di lavoro e di responsabilità per
il Cimitero delle Fontanelle. Già diverse e troppe associazioni hanno mostrato intenzione
di voler occuparsene, di voler speculare senza averne le competenze e i
permessi previsti. La dice lunga l’errore commesso sul sito del Comune di
Napoli. L’assessore previsto deve
assumersi la responsabilità istituzionale, per tali errori bisognerebbe
dimettersi. Bisogna che i beni pubblici siano pubblici e non privati, come l’assurda
gestione del sottosuolo di Napoli, del tutto impropria e illegale, che sta facendo arricchire una, due, al massimo
tre persone. [+blogger]
[s]miracolo italiano
Non so cosa credere maggiormente se al miracolo di san
Gennaro oppure alle parole pronunciate ieri sera da Silvio Berlusconi. Sarebbe
bello che tutti potessero avere la possibilità di fare quello che ha fatto l’ex
presidente del consiglio, monopolizzare tre reti per difendersi da un terzo
grado di giudizio. Ci sono ragazzini che marciscono in galera per aver commesso
uno scippo, gente che lavora e che non viene pagata, sarebbe bello far parlare
tutti quei “salariati” disoccupati o inoccupati (anche con la laurea) che ad un
colloquio di lavoro si sentono dire: “400 euro mensili, una giornata intera di
lavoro… c’è gente che è disposta a lavorare per meno”.
Ho chiesto anche io il miracolo a san Gennaro. Mio padre è
stato licenziato diversi anni fa, dopo aver lavorato 40 anni con la stessa
azienda, senza ricevere il trattamento di fine rapporto né i contributi pensionistici. Ma purtroppo il
sangue non si è liquefatto. La storia è più complicata e tragica ma avrò il
tempo di scriverla (se ne avrò voglia) la prossima volta. La televisione ieri
ha trasmesso la [s]democrazia in diretta, stamattina il [s]miracolo napoletano.
La passione, l’affetto, la verità si misurano con il
consenso, così come lo schermo proietta la sensazione che migliaia, milioni di
persone annuiscono come automi. Tutti dettano il proprio accordo, le riprese
creano senso pacifico e di affratellamento così come, ad esempio, la telecamere
accesa 24 ore su 24 sulla tomba di padre Pio. Quello di Berlusconi è un
linguaggio seminatrice, è un fallo di
Priapo che crea la situazione magica. Il sangue di san Gennaro fa applaudire “inconsapevolmente”.
La sintonia digitale è solo una sensazione, la realtà e il pensiero sono ben altro.
Tutti possiamo credere a Berlusconi; tutti possiamo credere al miracolo del
sangue; tutti possiamo lavorare per 400 euro al mese. Viva la libertà.
[+blogger]
il credo a ma'lula
Stamane, al primo caffè, la tv parlava dei cecchini, che imperversano a Ma’lula, occupata dai ribelli siriani. Ricordo quella mattina, che ci arrivai. Montagne, nude come scogli infuocati, rosse di ferro. Grumi di case, cubi malconci di calce e mattoni, sgretolati dal vento, in bilico su crinali impossibili. Capre e capre a brucare erba invisibile. Un sole rovente, incessante, esasperante sul tuo corpo, che non ha più liquidi per sudare. Bambini dagli occhi enormi, muti, sorpresi di te, che ti seguono, tendendoti una mano che non sa chiedere. Si scende, per un viottolo, in una voragine infernale. Quale paura, quali orrori, spinsero i monaci a costruire un convento, così celato? Il Mar Sarkis ti ricorda che S. Sergio, come un'infinità di altri santi, è di qui. Paolo l'hai lasciato, a terra, a Damasco, fulminato da Dio.
La Siria possiede più di un centinaio di insediamenti paleocristiani, a ricordarti che Gesù stava a pochi passi da qui. Il cristianesimo vive in un reticolo di musulmani sciti e sunniti, curdi, armeni. Il monaco, che ci accoglie, ci porta su, per gradini sconnessi, a una terrazza che dà sul azzurro del cielo. Il convento de Mar Taqla o santa Tecla è difronte, chiuso in caverne irregolari, quasi bocche fameliche. Il vento caldo del deserto lascia sabbia negli occhi e tra i denti. Il monaco mi porge un bicchiere d'acqua, che si appanna, tanto è fredda la sorgente, una verde fessura nella parete rocciosa della chiesa. - "É l'unico luogo, al mondo”, - ha una voce calda, in un italiano quasi perfetto, che sa stupirti – “dove si parla ancora l'aramaico dei tempi di Cristo. É tramandato solo oralmente. Ne abbiamo perso la grafia. Ora, sentirete dalla mia voce il suo Credo, con la sua stessa sonorità di linguaggio" Ricordo quel suono. [lucio paolo ranieri]
giù le armi
Per bloccare l’attacco alla Siria, per scongiurare il flagello di un’altra guerra, papa Francesco ci chiama domani 7 settembre a una giornata di preghiera e di digiuno. Un’occasione per ribadire al governo italiano il no all’acquisto dei caccia F-35 e a una spesa militare annua di 26 miliardi di euro. Il nostro dev’essere un “no” secco alla guerra in Siria. Dovremmo aver capito dalle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia e Mali che questi interventi armati, che hanno ucciso civili innocenti, donne e bambini, non hanno risolto nulla. Basta con la guerra! «L’intervento americano in Siria nasce nell’illusione di una “guerra lampo” – ha scritto il massimo poeta arabo, il siriano Adonis. Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata sia il regime siriano. La guerra è un’attrazione demoniaca».
Per questo ascoltiamo il grido accorato di papa Francesco: «Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione». Ed esorta la comunità internazionale «a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in Siria, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana». Anche noi oggi ci uniamo a papa Francesco e a tutti gli uomini/donne di buona volontà per dire “no” a un attacco militare contro la Siria che mieterebbe altre vittime innocenti oltre ai centomila morti e ai sei milioni di rifugiati siriani. «Troppi interessi di parte – ha scritto il papa al leader russo Putin – hanno impedito finora l’inutile massacro!».
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha già deciso l’attacco. Aspetta solo il consenso del Congresso. Non così il presidente francese Hollande che è già pronto. Purtroppo Obama è prigioniero del “complesso militarindustriale americano”(così lo definiva Eisenhower, presidente Usa negli anni ’50), che investe oltre 700 miliardi di dollari all’anno nella difesa. Queste armi servono a difendere lo stile di vita del 20% del mondo che consuma l’80% delle risorse del pianeta. La guerra è insita in questo nostro sistema di morte. Ma noi non ci rassegniamo, siamo anche noi prigionieri di quell’antico sogno del profeta Isaia: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, non impareranno più l’arte della guerra”.
Per questo, credenti e non credenti, ma amanti della pace, accogliamo l’invito di papa Francesco a digiunare, possibilmente insieme, davanti alle chiese o nelle piazze. E i credenti di tutte le religioni si ritrovino nelle chiese, nei luoghi di culto, nelle sinagoghe e nelle moschee, a pregare l’unico Dio, che è il Dio della vita e non della morte. Ma non basta pregare e digiunare se non ci impegniamo a costruire la pace nella quotidianità con un impegno serio. Noi italiani siamo chiamati a: accettare la nonviolenza attiva e viverla nelle nostre relazioni familiari, sociali, culturali, religiose; premere perché il governo italiano non accetti di partecipare alla guerra in Siria e non permetta l’uso delle nostre basi militari per questo attacco; rifiutare che il governo italiano spenda 26 miliardi di euro nella difesa come ha fatto lo scorso anno (3 milioni di euro ogni ora!); annullare l’acquisto dei 90 cacciabombardieri F-35, che ci costeranno 15 miliardi di euro; rifiutare che Sigonella (Sicilia) diventi la capitale mondiale dei droni e Niscemi (Sicilia) diventi il più importante centro mondiale delle comunicazioni militari.
Solo così questa giornata di preghiera e di digiuno potrà essere efficace e far ripartire con forza in questo paese, un movimento unitario per la pace (non è concepibile che le varie realtà che operano in Italia per la pace non riescono a creare un unico grande movimento!). La Pace può e deve sbocciare sulla faccia della Terra. [alex zanotelli - articolo del 6/9/'13 fonte nigrizia.it]
chi ha letto il libro
Vincenzo Minei volontario della rete Sanità e abitante del rione ha scritto una recensione sul libro di don Antonio Loffredo "Noi del rione sanità", pubblichiamo integralmente la mail inviataci il giorno 3/9/'13
Tra i libri che mi hanno accompagnato questa estate c'era il libro di
Antonio Loffredo intitolato "Noi del Rione Sanità" edito da Mondadori. Il
libro, che l'autore apre con una ipotetica lettera al padre ormai scomparso,
tenta di dare voce e volti a quella che è un'esperienza forse unica nel suo
genere, cioè scommettere sulle risorse in loco, puntando sul recupero della
storia e della bellezza di un quartiere, la Sanità che si è ritrovata nel corso
dei secoli ad essere da passaggio obbligato per il centro di Napoli, ad una
sorta di ghetto nel cuore della città. Ed è proprio per cercare di uscire da
questo isolamento non solo fisico, rappresentato visivamente dal "tremendo
ponte" di età murattiana, ma anche mentale che l'autore del libro, insieme a
quei ragazzi nel frattempo diventati giovani uomini e donne, molti dei quali
conosco personalmente da piccoli, hanno avviato tramite le varie cooperative
che vanno dalla valorizzazione degli antichi cimiteri paleocristiani alla
formazione e all'arte come il teatro e la musica classica.
Scritto in un buon
italiano, con molte licenze verso l'immaginifico, come è nello stile
dell'autore, il libro presenta tuttavia alcune lacune, che è doveroso
sottolineare. Anzitutto, mi dissocio assolutamente dagli attacchi a priori
contro l'autore, che molti hanno accusato di volere trasformare il quartiere in
una bomboniera per cacciare via i locali o chi accusa i componenti della Rete
Sanità (che tra l'altro nel libro non viene nemmeno menzionata nemmeno in poche
righe), di essere solo capaci di rosicare e di parlare. Simili atteggiamenti
non fanno che creare conflitto e divisione. Il dissenso è giusto e doveroso, ma
deve sempre svolgersi in uno spirito costruttivo e non su idee preconcette, il
puro volontariato da una parte e il privato sociale visto come il demonio e il
male assoluto. E riguardo appunto al privato sociale, il cosiddetto terzo
settore, proprio perchè punta a creare lavoro deve avere almeno un minimo di
ritorno economico. Va inoltre rispettato il lavoro di tante persone che nelle
idee e nei sogni del Loffredo ci hanno creduto e ci credono, partendo
praticamente da zero e arrivando ad avere riconoscimenti nazionali spesso
superando i labirinti delle pastoie burocratiche.
E fin qui ho evidenziato i
pregi, passiamo ai limiti: doverose le pagine in cui si nominano suor Rosetta e
suor Lucia, o padre Alex, tuttavia l'autore dimentica di citare la Rete del
Rione Sanità di cui egli stesso fece parte per un periodo (dimenticanza?).
L'iniziativa della scuola di italiano per stranieri che ha sede presso
l'Istituto Ozanam, portata avanti con notevoli sforzi da suor Lucia e di cui
chi scrive fa parte da ormai due anni, va ricordato, è stata un'iniziativa
della Rete, ma non lo scrivo in spirito di polemica, ma solo per aggiungere un
tassello che evidentemente manca.
Quanto alla cosiddetta Operazione San
Gennaro, sul progetto di diciamo così riqualificazione delle catacombe dedicate
al patrono cittadino e che è stata la miccia che ha innescato le polemiche,
siamo sicuri che sia conveniente farci delle piscine o delle discoteche? Certo
non sono d'accordo con chi afferma a priori che il rione "è bello così com'è",
ed è giusto cercare di migliorarlo, ma bisogna partire dalla mente e
soprattutto dal cuore delle persone, solo così si possono ottenere risultati
duraturi. Poi le catacombe, la musica, sono si tutte cose molto belle, ma in un
quartiere che ha una tradizione artigianale che sta scomparendo, non sarebbe
meglio puntare al rilancio degli antichi mestieri di guantai e calzolai,
riadattandoli ovviamente alle nuove esigenze del mercato del lavoro? Va
benissimo il progetto di Comunità Locale, e il modello da seguire potrebbe
essere quello di Messina, purchè sia salvaguardata l'anima autentica del rione,
associandomi alle perplessità di chi teme uno snaturamento del quartiere stesso
tipo quello avvenuto a Taormina.
Sono sicuro che don Antò, da persona
intelligente qual è saprà accogliere queste mie osservazioni, tra l'altro da
lui stesso richieste al sottoscritto con lo spirito giusto senza sentirsi
offeso e, mettendo da parte i risentimenti personali anche chi finora ha
alimentato solo la polemica, possiamo tenere tutti presente che quello che
conta di più è il quartiere e non i piccoli protagonismi personali [vincenzo minei]
chiariscono anche gli altri
L’articolo di Mastandrea mi ha fatto pensare a un problema centrale degli intellettuali italiani, almeno dal mio punto di vista: l‘incapacità di entrare in contatto reciproco con l’uomo comune. Ovviamente l’autore aveva delle buone intenzioni, e altrettanto ovviamente si è servito piuttosto degli esperti dotti che delle persone su cui voleva scrivere. Ha attraversato il quartiere assieme a Ermanno Rea, ha discusso con Padre Alex Zanotelli, e infine ha tratto le sue conclusioni secondo uno schema abbastanza “provato”, cioè secondo quella alleanza di sentimentalismo e denuncia che io, come straniero, trovo spesso nei confronti del giornalismo sul popolo.
Come ha menzionato Stefano de Matteis, autore del celebre libro sull’ “antropologia della città del teatro”, l’autocoscienza della borghesia napoletana non si è mai realizzata a pieno. Invece di rispecchiarsi nei comportamenti e nelle strategie del popolo la borghesia ha preferito il compromesso (le canzoni dolci, le cronache) , come dice de Matteis, evitando così allo stesso tempo di riconoscere se stessa e di autocriticarsi. In questa linea di un assistenzialismo “rosa”, privo di autocoscienza e altresì lontano dal prendere atto delle risorse del ceto basso, vedo anche l’articolo recentemente apparso sul “Manifesto”. E’ da diversi mesi che abito e studio nel rione Sanità. [Ulrich Van Loyen]
la risposta non ci convince
Nel 1934 il fotografo Robert Capa pubblicò una delle sue più famose
fotografie, “il miliziano colpito a morte” che riscosse un grande successo e
divenne un’ icona degli orrori della guerra. La foto in questione suscitò però
anche molte polemiche: secondo alcuni testimoni, il miliziano non morì in quel
luogo; altri giurarono di ave visto i negativi delle foto scattate in seguito
le quali avrebbero riprodotto lo stesso miliziano che rialzarsi, correva. Credo
che il lavoro di un giornalista non sia lontano da quello del fotografo, quando
quest’ultimo “fotografa” e descrive ciò che gli sta intorno, e per quanto in
buona fede, il suo lavoro si differenzia da quello dello scienziato sociale,
che a scapito della sintesi, crea l’ossatura della propria ricerca in modo da
evitare gli ostacoli che da sempre si trovano sul “cammino” verso una solida
analisi scientifica: etnocentrismo, preconcetti, luoghi comuni, bias cognitivi
e così via. Capisco che il suo lavoro di giornalista non richiede lo
giustificarsi di una qualsivoglia linea metodologica (anche se è ovvio che in
qualsiasi lavoro si applica una visione e una linea da seguire) ciononostante,
in quanto giornalista, lei non può ignorare la pericolosità di un certo tipo di
“fotografie”: quando nel suo articolo scrive frasi come: “una buona parte dei
ragazzi... non ha mai visto il mare..” oppure “la disgregazione sociale appena
mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato”, quando lei cita la
frase di Alex Zanotelli estrapolandola da un contesto diverso e incollandola
nel suo articolo, lei cade purtroppo nello stereotipo e nel luogo comune anche
se in buona fede. Che significa “una buona parte”? Quanti ragazzi ha visto? Cosa
intende, per ragazzi? Bambini?, adolescenti? Da quale fonte ha attinto questa
informazione? Questa variabile è presa in considerazione come indicatore di
quale fenomeno in particolare? Su quali basi lei afferma che l’unica
appartenenza comune fra i giovani del rione Sanità sia il tifo sfegatato? Come
ha escluso le altre forme possibili? E’ per questo motivo che la letteratura
scientifica è meno fruibile di quella giornalistica, non potendo, per motivi
metodologici, sintetizzare un lavoro in due pagine di giornale e soprattutto
perché, uno scienziato sociale, sempre e a-priori, deve esplicitare la sua
metodologia e con essa gli ostacoli che lo portano ad una eventuale distorsione
del fenomeno da descrivere. Io credo sia nei punti sopra citati, il fulcro
della discordanza di punti di vista fra lei e il Sig. Caiafa, fra il giornalista
e il sociologo. Non metto in dubbio l’onestà intellettuale che ha nel suo lavoro,
ma con un po’ di umiltà dovrebbe chiedersi se le sue frasi “totalizzanti”
(“l’unica appartenenza, ”l’unico modello”.. ecc.) descrivono la realtà
complessa e varia di un rione dove vivono 65mila persone e dove probabilmente
non esiste solo il sottoproletariato e la camorra come modello (e in ogni caso,
se già uno solo degli abitanti di questo quartiere smentisce quest’affermazione,
la generalizzazione risulta falsa in sé). Il suo lavoro è ben lontano da
un tipo di ricerca di stampo sociologico, ma lei mi dirà, è un giornalista non
un sociologo. Guardare la foto di Capa, ha aiutato i suoi contemporanei nella
conoscenza degli eventi avvenuti durante la guerra civile spagnola? Certamente
no, ma lui da ottimo fotografo ne volle fare il simbolo della brutalità della
guerra, sinonimo di morte e sofferenza e non certo un trattato di storia. Il
suo articolo avrebbe potuto essere almeno una bella fotografia: una foto per denunciare
il fenomeno della povertà, della disoccupazione, della disgregazione familiare,
della malavita organizzata, della mancanza dei mezzi forniti per arginare tali
problematiche, avrebbe potuto sì prendere come esempio il rione sanità, ma
inserendolo in un contesto più ampio e meno stereotipato. Ma a mio parere, è
invece proprio descivendo il rione sanità in modo così estremo e totalizzante
che ha toppato. Perché in guerra ci sono miliziani che muoiono ma la guerra non
è la foto di un miliziano che muore.
Nota aggiuntiva riguardante la risposta pubblicata del Sig. Mastandrea
Nel suo articolo di risposta lei scrive: “Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla” Non vedo assolutamente nel testo del Sig. Caiafa una qualsivoglia giustificazione alla camorra. Potrebbe indicarmela? Quando lei scrive: “In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa”. Non mi sembra che il suo articolo parlasse d’influsso della politica sul quartiere, né di situazione italiana, né della città di Napoli in generale. Il suo articolo prende come esempio - quasi come archetipo della decadenza e della camorra - il quartiere e i suoi abitanti, questi ultimi descritti come massa incolta e decadente, una massa che i pochi «illuminati» cercano faticosamente di emancipare. E’ così che vede il rione Sanità? E’ questa l’idea che ha sviluppato e che vuole descrivere? In ogni caso è questa l’impressione che ho avuto leggendo il suo articolo. Non sarebbe l’unico a pensarla così, questa visione è molto diffusa anche fra certi intellettuali «radical chic» ma è appunto la visione che critico e che ritengo distorta e fuorviante. La realtà è sempre più complessa e meno semplicistica che certe immagini stereotipate. E’ questo approccio che, mi sembra di capire, critichi il Sig. Caiafa e che critico con forza anch’io - e a ragione!: lo stereotipo viaggia veloce come la luce, marca l’immaginario collettivo, crea stigmatizzazioni, giustifica la sua stessa immagine distorta al punto che gli stessi abitanti del quartiere interpretino la realtà così come proposta dai media e la veicolino a loro volta. E’ questo il fulcro della critica non certo il giustificazionismo di cui lei parla e dal quale si difende. [Leandra Figliuolo]
Nel suo articolo di risposta lei scrive: “Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla” Non vedo assolutamente nel testo del Sig. Caiafa una qualsivoglia giustificazione alla camorra. Potrebbe indicarmela? Quando lei scrive: “In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa”. Non mi sembra che il suo articolo parlasse d’influsso della politica sul quartiere, né di situazione italiana, né della città di Napoli in generale. Il suo articolo prende come esempio - quasi come archetipo della decadenza e della camorra - il quartiere e i suoi abitanti, questi ultimi descritti come massa incolta e decadente, una massa che i pochi «illuminati» cercano faticosamente di emancipare. E’ così che vede il rione Sanità? E’ questa l’idea che ha sviluppato e che vuole descrivere? In ogni caso è questa l’impressione che ho avuto leggendo il suo articolo. Non sarebbe l’unico a pensarla così, questa visione è molto diffusa anche fra certi intellettuali «radical chic» ma è appunto la visione che critico e che ritengo distorta e fuorviante. La realtà è sempre più complessa e meno semplicistica che certe immagini stereotipate. E’ questo approccio che, mi sembra di capire, critichi il Sig. Caiafa e che critico con forza anch’io - e a ragione!: lo stereotipo viaggia veloce come la luce, marca l’immaginario collettivo, crea stigmatizzazioni, giustifica la sua stessa immagine distorta al punto che gli stessi abitanti del quartiere interpretino la realtà così come proposta dai media e la veicolino a loro volta. E’ questo il fulcro della critica non certo il giustificazionismo di cui lei parla e dal quale si difende. [Leandra Figliuolo]
ieri su "il manifesto"
Lettera alla redazione de “Il Manifesto” Alla cortese attenzione della direttrice Norma Rangieri
Cara direttrice le scrivo per avere chiarezza e se possibile pubblicare una smentita in relazione all’articolo pubblicato sul suo giornale il 30 giugno di quest’anno, articolo che parlava del rione Sanità, Napoli. Sono un cittadino del quartiere, volontario da circa 10 anni e studioso del luogo. La prego di leggere attentamente, spero in un riscontro positivo e ulteriori spiegazioni. Con stima.
Smentita
Il 30/06/13 il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diventare “veline” in tv e i ragazzi pensano solo al motorino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per questo che buona parte dei ragazzi di questa enclave di 67 mila abitanti incastonata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Plebiscito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere. Si continua a legge: “…la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato, quasi una religione, per la squadra di calcio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre (e siamo tantissimi). Mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione per qualche emigrato in provincia e nel nord Italia. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella rione sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino. Da anni lo ripeto e lo scrivo sul blog del rione Sanità, se non cambiamo linguaggio, se non incominciamo a trattare questa gente da esseri umani, se non consideriamo la loro dignità non ricaveremo un bel niente né dalla gloria né dalla nostra stessa presunzione. E’ un errore esprimere i nostri giudizi di valore senza considerare le altre variabili come la povertà, la storia, la singola esistenza. Sul giornale si legge ancora: “L'aspetto peggiore sono i morti ammazzati per strada, il modello socioeconomico camorrista considerato l'unico possibile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [Antonio Caiafa - quartieresanita.org]
Il 30/06/13 il Manifesto ha pubblicato un articolo che parlava del rione Sanità, scritto da Angelo Mastrandrea dal titolo: Sott’o ponte della Sanità, dove la vita è tutta un teatro. La prima affermazione che sbilancia è quella di Zanotelli, il comboniano ipoteticamente avrebbe affermato: “Qui il sogno delle ragazze è diventare “veline” in tv e i ragazzi pensano solo al motorino e alla droga”. Verificheremo. Ma da quando frequento Alex non l’ho mai sentito dire una cosa simile. L’altra affermazione arbitraria ed illogica è quella dell’articolista: “Sarà per questo che buona parte dei ragazzi di questa enclave di 67 mila abitanti incastonata nel cuore della città, a un passo dal salotto buono di piazza Plebiscito, non ha mai visto il mare”. Sono nato e vivo da 41 anni nel rione, praticamente da sempre, e vi assicuro che stupidaggini del genere non le ho mai sentite, se Mastrandrea mi trova un/a solo/a ragazzo/a del rione che non ha mai visto il mare giuro che chiudo il blog e tutte le aree internet che ho dedicato a questo quartiere. Si continua a legge: “…la disgregazione sociale appena mitigata dall'unica appartenenza comune: il tifo sfegatato, quasi una religione, per la squadra di calcio del Napoli”. Io e la mia famiglia siamo cittadini del quartiere da sempre (e siamo tantissimi). Mia nonna era poverissima, cosi povera che a volte doveva mendicare per sfamare i suoi 8 figli. Oggi viviamo quasi tutti nel rione, eccezione per qualche emigrato in provincia e nel nord Italia. Non tutti però tifiamo Napoli: i miei due cognati sono uno interista e l’altro milanista, il fratello di mia moglie è juventino: i miei nipoti sono chi milanista, chi napoletano, chi addirittura romanista. Non abbiamo mai tifato sfegatatamente, pochissime volte siamo andati alla stadio, al "pallone" domenicale preferiamo il bosco di Capodimonte, la montagna, in estate il campeggio. Ci sono più juventini nella rione sanità che in un qualsiasi altro quartiere di Torino. Da anni lo ripeto e lo scrivo sul blog del rione Sanità, se non cambiamo linguaggio, se non incominciamo a trattare questa gente da esseri umani, se non consideriamo la loro dignità non ricaveremo un bel niente né dalla gloria né dalla nostra stessa presunzione. E’ un errore esprimere i nostri giudizi di valore senza considerare le altre variabili come la povertà, la storia, la singola esistenza. Sul giornale si legge ancora: “L'aspetto peggiore sono i morti ammazzati per strada, il modello socioeconomico camorrista considerato l'unico possibile …”. Il mio modello economico e quella della mia famiglia non è stato quello camorristico ma quello operaio. Diversi miei parenti vendono la frutta, altri lavorano come macellai, autisti. Alcuni di noi invece ci siamo laureati e per fortuna ci teniamo alla larga da gente priva di scrupoli che non “affolla” solo la Sanità ma Napoli, il sud, il centro e il bel nord Italia. [Antonio Caiafa - quartieresanita.org]
La Risposta del Giornalista
Gentile Antonio Caiafa, il reportage in questione riguardava il fermento sociale e culturale del Rione Sanità, un quartiere napoletano generalmente ritenuto “difficile” (vogliamo mettere in discussione anche questo?): il teatro “sott’o ponte” in una chiesa sconsacrata, il lavoro delle cooperative di ragazzi organizzate da un prete “di frontiera”, don Antonio Loffredo, che ad esse ha dedicato un bel libro, “Noi del Rione Sanità”, appena pubblicato da Mondadori. Da blogger informato delle vicende del rione, avrà saputo che alla presentazione, alla libreria Feltrinelli di piazza dei Martini, hanno partecipato decine di giovani del quartiere, e ne hanno discusso con don Antonio Loffredo, il sociologo Vincenzo Moretti che alla Sanità ha dedicato un bel libro ed Ermanno Rea, che mi ha accompagnato nella mia scorribanda giornalistica raccontandomi, tra i vicoli e nelle cave di tufo, com’era il quartiere ai tempi in cui, ragazzino, andava dai nonni nella zona più povera, i Cristallini. Se avesse partecipato, avrebbe potuto fornire il suo punto di vista e, parlando come ho fatto io con i giovani sottratti alla strada da don Antonio, avrebbe scoperto che una delle attività consiste nel far conoscere il mare ai ragazzini che non l’hanno mai visto. Mi dispiace contestarle tutto, ma non mi risulta che Alex Zanotelli abbia smentito le sue affermazioni, per cui respingo gentilmente, ma fermamente, al mittente ogni illazione. Aggiungo che il punto di vista di Zanotelli è persino più duro: sostiene di aver trovato più voglia di reagire tra i baraccati di Korogocho che a Napoli. Ancora, mi dispiace contraddirla, ma la camorra purtroppo esiste e non c’è nulla che possa giustificarla. Da meridionale come lei, e di estrazione affatto borghese, quando ascolto discorsi giustificazionisti fondati su presunti torti storici o esimenti quali la povertà penso che la rivoluzione meridionale, ad opera dei meridionali stessi come sarebbe piaciuto a un antifascista liberale qual era Guido Dorso, è ancora ben lungi dal maturare. In ogni modo, sono pronto a rimangiarmi tutto il giorno in cui riuscirà a dimostrarmi che vent’anni di egemonia televisiva e politica berlusconiana non hanno avuto alcun influsso anche sugli abitanti del suo quartiere, ma soprattutto che alla Sanità, e in tutta la città, tifare Napoli o Juventus è più o meno la stessa cosa. [Angelo Mastrandrea]
Pubblicato il 23/08/2013 sul giornale "Il Manifesto" nella sezione Lettere alla redazione.
l'incompetenza di alcuni giornalisti
INIZIATIVA CONTRO ALCUNI GIORNALISTI INCOMPETENTI.
Volevo chiedervi, se possibile, (sempre se lo ritenete giusto), di mandare una mail di protesta alla redazione de Il Manifesto. Il 30/6/2013 è stato scritto un articolo (purtroppo era postato interamente in rete, adesso, non so perché, si vede solo l’introduzione (il manifesto), tradotto anche in altre lingue (vedi commenti all’articolo del blog del rione sanità). Visto che è vergognoso (nell’articolo di "smentita" potete leggere alcune singole assurde affermazioni dell’autore con altre varie citazioni (quartieresanita.org), vi prego di sostenere questa iniziativa visto che ho già scritto alla cortese attenzione della direttrice del giornale di cui sopra ricevendo in cambio un silenzio umiliante. Se inviamo più mail non possono snobbarci, devono prendere in considerazione la dignità della gente del rione.
PER NON FARTI PERDERE TEMPO COPIA E INCOLLA QUESTE POCHE RIGHE. Questi gli unici indirizzi mail presi dal sito de “Il Manifesto”.
redazione@ilmanifesto.it
amministrazione@ilmanifesto.it
(testo da copiare e incollare)
Alla cortese attenzione della Direttrice de Il Manifesto
Dopo la pubblicazione poco rispettosa del 30/06/2012 nei confronti dei circa 60mila abitanti che vivono nel rione Sanità, firmato da Angelo Mastrandrea, dal titolo “Sotto il ponte della Sanità dove la vita è tutta un teatro”, chiedo alla direttrice Norma Rangeri di smentire facendo chiarezza sulle affermazioni scritte e pubblicate dal giornale “Il Manifesto”. Per una giusta e corretta informazione, perché la partecipazione e la libertà di pensiero siano più forti del pressappochismo e della gloria - www.quartieresanita.org (http://www.quartieresanita.org/2013/07/il-manifesto-scimmiotta.html) - grazie.